Il centro italiano dove si sta lavorando al vaccino per il Covid-19

 

Gli architetti Susanna Mirza e Alberto Pietroforte ci guidano nel centro di biotecnologie Reithera, azienda che sta lavorando al vaccino per il Covid-19. Con un saggio fotografico di Marco Cappelletti.    

Gli spazi che richiedono un grande sforzo tecnico e tecnologico non compaiono spesso nelle cronache dell’architettura. Questo forse proprio perché le caratteristiche di tali ambienti lasciano (solo apparentemente) poco spazio all’espressione architettonica. Non è il caso però del centro di ricerca e produzione di biotecnologie Reithera, progettato da MEPS Energiaeambiente a Castel Romano, a sud di Roma.

I progettisti raccontano appunto che “in Italia, c’è la tendenza a concepire questi spazi puramente in termini di requisiti igienico-ambientali che li rendono talmente complessi da essere il più delle volte affidati a realizzatori, senza che l’architettura intesa come progetto dello spazio possa intervenire”. La sede di Reithera parte da presupposti differenti: per il professore e scienziato Riccardo Cortese – il committente, mancato prima di veder realizzata la sua visione – doveva essere “un luogo di comunità e di scambio”.

Dettaglio dell’area di lavoro all’interno dei laboratori dedicati alla ricerca sperimentale

La storia di Reithera inizia nel 2007, quando Cortese fonda la startup Okairos, una comunità di scienziati-imprenditori che sviluppa, fra gli altri, il vaccino per l’ebola. Il centro di ricerca si trasforma poi in azienda nel 2013 e prende il nome attuale all’acquisto da parte di GlaxoSmithKline. Oggi, dalla sede progettata da Susanna Mirza e Alberto Pietroforte, Reithera sta lavorando a un vaccino per il Covid-19, in consorzio con Leukocare di Monaco e Univercells di Bruxelles.

La nuova sede di Reithera è immersa nel parco del Tecnopolo di Castel Romano, luogo destinato a alla ricerca tecnologica e scientifica di avanguardia sin dagli anni Sessanta, quando è stato concepito. L’edificio preesistente su cui hanno lavorato i progettisti fu realizzato da Finmeccanica nel 1966 e conteneva principalmente uffici.

Veduta dei laboratori di produzione (GMP) attraverso i passbox di passaggio dei materiali. Dall’interno si vede il parco del Tecnopolo di Castel Romano

Insisteva sull’edificio “un vincolo di secondo ordine” precisa Susanna, “il che significa che doveva essere tutelato l’aspetto esteriore”. I progettisti hanno incontrato un ulteriore problema nella prestazione energetica dell’edificio, che fu costruito “in modo tecnologicamente innovativo, con luci di 20 metri e aggetti di quasi 7, con il meglio che in quegli anni si poteva avere ma che” continua Alberto “concettualmente rimaneva legato agli anni Sessanta, un momento in cui si pensava che le risorse fossero illimitate e la prestazione energetica di un edificio non era un tema centrale come oggi. Il duplice obiettivo per Susanna e Alberto è stato quindi quello di “dare una qualità prestazionale contemporanea adeguata, salvaguardando però l’immagine originale della costruzione moderna”.

Per questo secondo punto, il restauro delle facciate è stato un tema fondamentale del progetto. Qui, le lamelle di alluminio che formano il courtain wall esterno e gli infissi retrostanti sono stati recuperati, così come i brise-soleil, che si è scelto di automatizzare per garantire un maggior  comfort degli ambienti. Gli interni si sono invece dovuti smantellare pressoché nella loro totalità, recuperando puntualmente ciò che era coerente con le attività del centro scientifico. Si è scelto di arredare gli uffici con moquette e boiserie di noce nazionale per mantenere un linguaggio in tono con quello originario dell’edificio. Laminati e pvc sono stati invece scelti per le due tipologie di laboratorio, dovendone garantire la sterilità.

La vestizione nella changing room prima di accedere ai laboratori di produzione (GMP)

Le nuove funzioni sono state poi ripartite nei quattro livelli. I progettisti raccontano che la sfida più grande è stata l’area di produzione GMP (Good Manufacturing Practice)“ovvero i laboratori sterili di produzione dei farmaci e dei vaccini che ha costi di realizzazione e mantenimento che, rispetto a un edificio normale, hanno sempre uno zero in più”. Questo perché gli standard di sicurezza di questi laboratori devono essere elevatissimi per poter essere certificati: “lo abbiamo concepito come un’astronave, un luogo completamente sigillato rispetto all’ambiente circostante”.

Per entrare in questi ambienti – in cui “vengono prodotte le molecole alla base dei farmaci” – si passa attraverso tre changing room “perché l’uomo è un elemento contaminante dove ci si veste con tute, calzari, guanti, raggiungendo anche quattro strati di protezione”. La natura di questi spazi implica il disegno di soglie, di una serie di percorsi che si articolano in corridoi e passaggi, risolti attraverso superfici vetrate e l’uso del colore. I pavimenti e i soffitti sono tutti raccordati da ‘sgusci’ per garantire l’efficacia nella pulizia, i serramenti sono tutti a filo rispetto alle pareti. La tenuta della ‘scatola’ però non basta a garantire la sterilità perché ci devono essere costantemente “una temperatura media di 19 C° e 80 ricambi d’aria sterile l’ora: bastano 40 secondi per sostituire interamente l’aria di queste stanze”.

Le aree tecniche che garantiscono il funzionamento dei laboratori 24 ore su 24

Per chi ci lavora, questi spazi diventano quindi facilmente alienanti e proprio per questo i progettisti hanno cercato una relazione il più possibile intensa fra interno ed esterno, con il parco e con il mare in lontananza. La percezione del passaggio del tempo nella giornata e delle stagioni è importantissimo poiché “in questi ambienti: ci sono disturbi dei bioritmi che i lavoratori di questo campo possono facilmente sviluppare”.

Come architetti, Susanna e Alberto hanno portato avanti una battaglia per tutelare le qualità spaziali dell’edificio, dall’inserimento organico nel progetto architettonico degli aspetti tecnici fino al mantenimento della permeabilità visiva con l’esterno. Non sono questi dettagli, sono anzi la differenza fra il progetto inteso come risoluzione tecnica di esigenze funzionali e la creazione delle condizioni del benessere di chi vive uno spazio: “questo, ovvero la cura delle persone – oltre alla questione formale e all’integrazione fra i vari aspetti del progetto – è per noi uno degli scopi principali del lavoro di un architetto”.

Immagine di apertura: l’area di lavoro all’interno dei laboratori dedicati alla ricerca sperimentale. Saggio fotografico di Marco Cappelletti con DSL Studio.

Progetto:
Reithera
Luogo:
Castel Romano, Roma
Programma:
laboratori di ricerca e produzione di biotecnologie
Architetti:
Susanna Mirza, Alberto Pietroforte
Coordinamento e direzione lavori:
Marcello Mirza
Progettazione integrata, antincendio, strutture e sicurezza:
MEPS Energiaeambiente
Area:
7.000 mq
Completamento:
2018

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