Umani in quarantena, la natura conquista le città: esercizi di coesistenza

Lepri nei giardini di Milano, delfini nel porto di Cagliari, i canali di Venezia popolati di pesci. Mentre il mondo è chiuso in casa per il Coronavirus, la natura guadagna rapidamente nuovi spazi urbani. Cosa c’insegna tutto questo?

Sono bastate poche settimane di fermo causa Coronavirus perché la natura cominciasse a uscire dagli interstizi, dove di solito è relegata dalla presenza dell’uomo, conquistando le strade, i giardini e le piazze delle grandi città italiane insolitamente quiete dopo essersi svuotate dal traffico e dalle persone chiuse in casa per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Mentre mezzo pianeta è come sospeso e perfino le Olimpiadi oltre a migliaia di eventi (tra cui il Salone) sono stati cancellati o rimandati, la natura non si ferma. Anzi una delle più belle primavere di sempre – aria pulita, cielo terso, cinguettio assordante – è sbocciata puntuale nel pieno della pandemia. 

A Milano vengono avvistati cigni nei Navigli e minilepri in un giardinetto di quartiere, tra la ferrovia e la tangenziale. A Venezia le acque dei canali tornano cristalline e piene di pesci, e i germani si posano sulle fermate del vaporetto. I delfini nuotano nel porto di Cagliari mentre i cinghiali, la sera, scorrazzano nelle vie di Sassari in cerca di cibo. Pensieri contrastanti affiorano in questi giorni: c’è la meraviglia per la natura in città, lo stupore di respirare l’aria pulita. E, insieme, ci sono il senso di colpa e la sensazione di essere andati troppo oltre nel nostro rapporto con il pianeta e le sue risorse. Quale lezione possiamo trarre da tutto questo? L’abbiamo chiesto a tre esperti: Peter Del Tredici, botanico americano e professore alla GSD di Harvard; Menno Schilthuizen, biologo evoluzionista e ricercatore a Leida; e Giovanni Bellotti, architetto docente e ricercatore italiano di base a Rotterdam (che è anche l’autore dei disegni di questo articolo).

Peter Del Tredici

Botanico, attivo ad Harvard e all’Arnold Arboretum di Boston dal 1972, Peter Del Tredici è convinto della grande capacità della natura di riempire ogni vuoto. “La natura aborre il vuoto: le erbacce crescono nella terra incolta; gli uccelli sono sempre pronti a colonizzare ogni tipo di habitat umano, dalle sporgenze delle costruzioni alle discariche di detriti nei laghi e fino alle vecchie miniere”, spiega. “Quello che stiamo osservando è un comportamento opportunistico per sfruttare le risorse che in questo momento non sono usate dalle persone. È questa caratteristica universale combinata con l’adattabilità che permette alla natura di affrontare i rapidi cambiamenti (soprattutto climatici)”, prosegue. Venendo alla diffusione del virus Covid-19, Del Tredici spiega che la vede come la perfetta manifestazione della globalizzazione del mondo in cui viviamo, dell’abbattimento delle barriere fisiche che tenevano separate popolazioni di organismi, e che ora non lo fanno più. “Il Covid-19 è arrivato da Wuhan viaggiando con le persone in aereo e la densità della popolazione urbana gli ha permesso di propagarsi in modo esplosivo. La diffusione del virus è un modo naturale di sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione e dall’urbanizzazione”, prosegue il biologo americano. “Le aree densamente popolate sono una risorsa non sfruttata dal punto di vista del Covid-19. Gli esseri umani hanno convertito la maggior parte del pianeta in una ‘fabbrica’ progettata per nutrire, ospitare, vestire e trasportare se stessi. Una grande percentuale della produzione primaria netta del pianeta è stata trasformata in beni destinati a promuovere il benessere umano. Il fatto che Covid-19 (e altri virus) sia saltato da un animale selvatico alla popolazione umana fornisce una potente metafora della natura che si riafferma di fronte sfruttamento umano”.

Menno Schilthuizen

Il biologo evoluzionista olandese, autore del libro Darwin comes to town, spiega che la natura sembra pronta a costruire un nuovo ecosistema urbano. “È davvero sorprendente la rapidità con cui animali e piante rispondono a questo cambiamento piuttosto sottile del nostro comportamento”, racconta. “Per me questa è la dimostrazione dell’adattabilità della natura, ma soprattutto del nostro impatto sugli spazi vitali di altre specie: con poche settimane di relativa inattività, gli animali stanno già cambiando il loro comportamento per colmare le lacune provocate dalla nostra mancanza di attività. Naturalmente, queste risposte a breve termine non sono cambiamenti evolutivi, ma cambiamenti opportunistici in un comportamento già flessibile”. Il biologo spiega che si tratta di comportamenti normali in natura dove è tutta una questione di competizione che si tratti dello spazio, del cibo o di altre risorse. “Allo stesso tempo, però”, prosegue, “molte specie urbane dipendono dalle nostre attività economiche. Nella mia città natale, Leida, i gabbiani reali, le taccole e le folaghe dei canali dipendono dal cibo di scarto del mercato aperto due volte alla settimana nel centro della città. Ora che quel mercato non ha più luogo, questi uccelli urbani sono in difficoltà. Alcuni possono essere sufficientemente inventivi da trovare altri modi per procurarsi il cibo o diventare più aggressivi nella loro caccia. Altri potrebbero morire di fame. Questi rapidi e temporanei cambiamenti nell’ecologia della città ci mostrano chiaramente quanto le nostre vite si siano fortemente intrecciate con quelle degli animali selvatici”.

Giovanni Bellotti

“Questa interruzione forzata è un’occasione per riflettere sulla prossimità tra gli animali e l’uomo, l’occasione per negoziare nuove forme di prossimita' e distanza”, aggiunge Giovanni Bellotti, architetto italiano ma di stanza a Rotterdam dove ha fondato Studio Ossidiana con Alessandra Covini. Nella sua ricerca The Wild City (2011, The Why Factory), Bellotti (con Eric Revellé) ipotizzava cosa sarebbe successo a una città senza manutenzione dopo 5, 10, 50 e 100 anni. La città nel suo studio diventa il luogo dove design, botanica e architettura s’incontrano in una cornice bucolica e selvaggia. “La pandemia di Coronavirus ci fa scoprire una soglia diversa di wilderness”, spiega. “Anzi ci rende consapevoli che non ci sono più confini: gli umani sono dappertutto, non c’è più un esterno, viviamo tutti in un grande interno planetario, senza spazi per isolarci, o in cui isolare altre specie. Sempre più spesso i nostri sono esercizi di coesistenza con il mondo naturale. E spostare la soglia, anche di poco, porta a riscoprire la fauna e la flora che cambiano in un batter d’occhio, nel giro di una marea. Questa nuova strana normalità andrebbe coltivata per riscoprire altri tipi di bellezza e di comportamenti. C’è la paura, ma anche lo stupore della scoperta”.

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