Roman Robroek, maestro della fotografia dei luoghi abbandonati

Intervista al fotografo olandese che da oltre dieci anni entra nelle case, nelle fabbriche, nelle chiese disabitate. Gli abbiamo chiesto quale è lo scopo di questa ricerca e quali rischi corre per portare a casa una buona fotografia.

Grandi saloni deserti, pianoforti impolverati, Porsche Carrera d’epoca, affreschi, ma anche edifici industriali e sale di controllo spente. È questo il grande mondo abbandonato in cui si muove il fotografo Roman Robroek. Tutti ambienti carichi di estetica e memoria che troviamo sui social con l’hashtag #abandonedplaces, i luoghi abbandonati del mondo. 

Roman è olandese, quando lo intervistiamo è appena rientrato dall’Italia, dove un giorno spera di trasferirsi per il suo forte interesse verso tutti gli edifici abbandonati che ci si possono trovare. Sono ormai undici anni che fa ricerche online, sulle mappe, di edifici in stato di abbandono. Li individua, li studia, trova il modo per entrare e li fotografa, li documenta.

“Lo scorso anno ho celebrato i dieci anni con un libro che raccoglie tutti i miei lavori” racconta Roman “all’inizio è iniziato come un hobby, qualcosa da fare durante il mio tempo libero. Andavo in Germania con gli amici, trovavo questi luoghi non più abitati che mi incuriosivano e scattavo. Condividevo le mie foto online, ci sono community molto grandi e attive di interessati ai luoghi abbandonati”.

  

In questi anni Roman ha viaggiato in gran parte d’Europa. “Per Germania e Belgio è stato facile” spiega “vivo in una cittadina a dieci minuti dalla Germania e a dieci minuti dal Belgio, sono le fortune che ha l’Olanda. Per un paio d’anni ho passato molto tempo in Belgio. Poi mi sono annoiato, le case iniziavano a sembrarmi uguali. Così viaggiato nella Germania dell’est, dove c’è un’architettura post-soviet molto interessante. E poi in Italia, in Polonia, e in molti altri Paesi”.

I Paesi post-sovietici sono ricchi dell’architettura residenziale brutalista (in realtà, spesso tutt’altro che abbandonata) che da sempre interessa chi fa questo tipo di ricerca. “Ho visto molto brutalismo in Georgia, e nelle regioni tra la Georgia e la Russia” racconta Roman “Ma amo molto di più i luoghi italiani, amo gli affreschi, amo quel genere di architettura e di decorazione. Ho ritrovato qualcosa del genere anche in Austria o Bulgaria”.

Un pianoforte con la luce del sole che entra dalle finestre in un castello abbandonato. ©Roman Robroek

Roman Robroek non si può definire solo il fotografo dei luoghi abbandonati, ma anche degli oggetti abbandonati. “Sì, certo” risponde “pensa ai pianoforti. Sono oggetti troppo pesanti da spostare e portare via, per questo sono rimasti in queste case abbandonate. Sono molto evocativi, interessanti, romantici. Oppure le automobili rimaste nei garage, sono vintage, coperte di polvere, sono incredibili. Amo catturare la storia che è entrata in questi luoghi, immaginare chi ha suonato quel certo pianoforte. Si incontrano presente e passato. Ma c’è anche il futuro, perché questi edifici sono spesso simboli di una comunità, qui dentro ci sono i criteri, gli stili, che guidano il futuro di una comunità”.

Per i fotografi che popolano le community “abandoned places”, una delle domande più ricorrenti è: “come sei riuscito ad entrare? come hai superato le barriere?”. È sicuramente uno degli aspetti interessanti di questi progetti, entrare in edifici chiusi, spesso vietati al pubblico (ad esempio, i capannoni industriali) e trovare il tempo per fotografarli con tutti i criteri della fotografia d’architettura. “Molto spesso non è permesso entrare in questi spazi. Non c’è energia elettrica, non si possono montare flash, bisogna fotografare con la luce naturale. E non bisogna fare rumore mentre si esplorano. E poi bisogna stare naturalmente attenti alla fragilità della struttura, sia per la propria incolumità sia per non rovinare questi luoghi. Per molto tempo sono andato con amici, perché se mi fosse successo qualcosa volevo che qualcuno che mi ritrovasse”.

Monumento ex-sovietico abbandonato con la forma di un UFO ©Roman Robroek

Si dice che l’interesse per i luoghi abbandonati sia arrivato dopo l’undici settembre, quando sono entrati a far parte del nostro immaginario gli edifici urbani in macerie (City of ruins, diceva Bruce Springsteen). La drammatica naturalezza di queste immagini è anche frutto di un utilizzo della luce che non dovrebbe mai avere nulla di artificiale. Roman Robroek scatta esclusivamente con la luce naturale, e lo fa per due ragioni. “Innanzitutto ho capito che con portando il flash o luce artificiale dentro questi luoghi sarei stato visto dall’esterno, e non volevo. La seconda ragione è che voglio mantenere l’ambiente più naturale possibile, così come lo vedo con i miei occhi, infatti non sposto nulla, non pulisco nulla, voglio che tutto appaia così come è in quel momento. Preferisco fotografare all’alba, perché c’è una luce speciale, ma devo essere onesto non amo alzarmi così presto. Così il tramonto è una buona alternativa”.

Il grandangolo e gli obiettivi molto luminosi fanno il resto del lavoro. “Fotografo con una Full Frame. Per quanto riguarda l’obiettivo, ne ho uno molto grandangolare, 16 mm, e un 70mm che mi serve per avvicinare i soggetti. Ma quello che mi interessa di più è la luminosità delle lenti, perché spesso sono spazi molto bui e chiusi dove, appunto, arriva poca luce naturale, quindi solo un obiettivo molto luminoso può farmi cogliere tutti i dettagli”.

La scala principale di un edificio governativo ex-sovietico. ©Roman Robroek


Esiste un mercato risponde per queste foto, oltre alle vivaci comunità online? “Devo dire che il mercato esiste, in questi dieci anni ho sempre lavorato bene” spiega Roman, “sono due le grandi destinazioni. Intanto i collezionisti fine art, interessati alla storia e alla forza estetica di questi edifici. E poi la pubblicazione sui giornali, attraverso le agenzie che veicolano il mio lavoro in Europa e negli Stati Uniti. Infine, appunto, lo scorso anno ho fatto un libro in cui ho raccolto le foto di dieci anni”.

Un ultimo punto riguarda la formazione. Chiediamo a Roman che studi abbia fatto e se, durante i suoi studi – che presumiamo riguardino l’architettura – fosse già interessato ai luoghi abbandonati. “Niente di tutto questo” risponde, ridendo “non ho mai studiato architettura, sono un informatico. Quando ero più giovane, la mia principale occupazione per il tempo libero erano i videogame, non avevo mai usato una macchina fotografica”.

Una Porsche abbandonata in un garage a prendere polvere. ©Roman Robroek

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