100 anni di Lina Bo Bardi

A valle delle mostre in corso e di quelle da poco concluse, dei cataloghi, materiali video e convegni, su Lina Bo Bardi resta molto da scoprire: architetto geniale, designer di cose e animali fantastici, pensatrice, grafica e scenografa raffinatissima.

Lina Bo Bardi
Questa nota per il centesimo anniversario di Lina Bo Bardi, nata a Roma il 5 dicembre 1914, ha carattere di parti-pris, legato alla piattaforma collaborativa LinaProject.com – il progetto aperto al coinvolgimento di studiosi, conoscitori, ammiratori di “Dona Lina” che sto coordinando per l’Università di Firenze, Dipartimento di Architettura.
Lina Bo Bardi
In apertura: Lina Bo Bardi, 1960. Photo © Arquivo ILBPMB. Qui sopra: Casa de Vidro, São Paulo, con Lina Bo Bardi, 1949-1951. Photo Francisco Albuquerque, 1951, © Arquivo ILBPMB
Un senso di attenzione scientifica e di cura insieme emerge dalla visita compiuta in questi giorni agli ordinati scaffali dell’archivio di “Dona Lina” presso l’Instituto Lina Bo e Pietro Maria Bardi a San Paolo – nella famosa Casa de Vidro realizzata dall’architetto come casa per sé e il marito. Mentre fuori da qui, in Europa o in Brasile, grazie a numerose e spesso qualificate iniziative in corso, da poco concluse o ancora da venire – tra cui la mostra del MAXXI con Domus che inaugura a Roma il 19 dicembre “Lina Bo Bardi in Italia. “Tutto quello che volevo, era avere Storia” (realizzata con il supporto di Arper) – per questo centenario emerge finalmente con chiarezza, a livello mondiale, la figura di Lina Bo Bardi come l’architetto donna più importante del XX secolo.
Lina Bo Bardi Together
Vista della mostra "Lina Bo Bardi Together" al Pavillon de l'Arsenal, Parigi
Dopo gli intensi anni della formazione e la laurea a Roma nel 1939, Lina Bo si trasferisce a Milano dove, durante il periodo bellico, lavora soprattutto nel campo editoriale con Gio Ponti per Domus. Nel 1946, sposa Pietro Maria Bardi – già promotore della giovane architettura fascista che si opponeva alla via accademica di Piacentini – e con lui viaggia verso il Brasile insieme a una collezione di “arte occidentale” potenziale base per un museo, occidentale appunto. Inizia così la storia del MASP, prima nella sede temporanea di Largo 7 Aprile a San Paolo, che poi diventerà l’edificio-culto che tutti conosciamo, disegnato da Lina a partire dal 1957 e inaugurato nel 1968, in pieno regime militare e in presenza della regina Elisabetta II.
Lina Bo Bardi Together
Vista della mostra "Lina Bo Bardi Together" all'Architektur Zentrum di Vienna
Frutto eccellente delle radici moderniste europee dell’autrice, la storia del progetto del MASP incarna ancora molto parzialmente le ricerche che Lina stessa compirà a Salvador de Bahia, dove affronta per un numero importante di allestimenti dal 1959 al 1964 l’esistente foyer del Teatro Castro Alves – in tutto simile alla sala espositiva del MASP – ovvero lo spazio che a sua volta anticipa sperimentalmente il Museu de Arte Moderna, da Bahia al Solar de Unhao, realizzato da Lina nel 1963. Arrivata a Bahia per invito dell’illuminato rettore Edgard Santos, che raccoglie attorno a sé artisti migranti talenti formidabili, da Pierre Verger al giovane Glauber Rocha a Mario Cravo – mentre Caetano Veloso e Gilberto Gil, entrambi quasi ventenni, non erano, contrariamente a quanto qualcuno ha scritto, direttamente coinvolti nel gruppo, tuttavia già ammiravano il fascino e l’intelligenza di questa donna straordinaria – è a Salvador che Lina compie il terzo passo.
Lina Bo Bardi
Teatro Oficina, São Paulo, vista da ovest, 1984-1989 © Photo Markus Lanz, 2014
Dopo essersi a suo modo dimessa da italiana e aver scelto la nazionalità brasiliana nel 1953, a Salvador Lina s’incontra con quel mondo che, in effetti, la rende sempre meno comprensibile al pensiero occidentale, men che mai alla lente di marca hegeliana che continua a fare fatica nel ricondurla a opposti dialettici come modernità/tradizione, oriente/occidente ecc. A Salvador de Bahia, infatti, Lina incontra l’Africa, l’anima negra del continente iberoamericano e, contemporaneamente, inizia a lavorare sull’idea ibrida di “arte popolare”; fino a scoprire e dichiarare che “il tempo lineare è un’invenzione dell’Occidente, il tempo non è lineare, è un meraviglioso accavallarsi per cui, in qualsiasi istante, è possibile selezionare punti e inventare soluzioni, senza inizio né fine”. Da quel tempo non lineare, il lavoro di Lina continua ad “aprirsi all’accadimento” – per ricordare il pionieristico libretto monografico di Miotto e Nicolini, pubblicato in Italia nel 1998.
Lina Bo Bardi
MASP – Museu de Arte de São Paulo, São Paulo. Fotomontaggio e disegno di Lina Bo Bardi come sviluppo del concept di progetto, 1957-1968. © Arquivo ILBPMB

Quando – dopo il golpe militare – Lina torna a lavorare a San Paolo, continua a impegnarsi senza sosta in una serie di mostre e iniziative intese come azioni politico-ideologiche sempre al limite della denuncia sociale. Terminata la dittatura nel 1985, Lina porta a compimento l’opera forse più straordinaria della propria carriera, il SESC Pompeia, 1977-1986 (niente di più formidabile della visita delle due mostre in situ, con catalogo e materiali video), industria dismessa trasformata in luogo di cultura, socialità e sport insieme.

Richiamata a Salvador da Gilberto Gil, nella sua nuova veste di presidente della Fondazione Gregorio de Mattos, allestisce tra l’altro la Casa do Benin, museo-centro culturale dedicato alla storia della schiavitù – su preciso mandato di realizzare un luogo “irritante rispetto all'eurocentrismo dominante” insieme con l’etnografo di nascita francese Pierre Verger; un progetto che, sublimando e tematizzando l’intrinseco altrove proprio del Museo d’Occidente, si sarebbe completato sull’altra sponda dell’Oceano, a Ouidah in Benin, con la Maison du Bresil.

A valle delle mostre in corso e di quelle da poco concluse (tra queste anche “Lina Bo Bardi Together”, organizzata da Arper, che sta girando il mondo e che proprio oggi inaugura a Treviso), dei relativi e utili cataloghi, dei libri, dei materiali video e documentari (su tutti: il film Precise Poetry), dei convegni che contribuiscono anche a riportare attenzione sul multiforme ingegno di questa donna (vedi il recente convegno alla Sapienza), su Lina resta molto da scoprire: architetto geniale, designer di cose e di animali fantastici, pensatrice, grafica e scenografa raffinatissima. 

Lina Bo Bardi
SESC – Fabrica da Pompeia, São Paulo, 1977-1986. © Photo Markus Lanz, 2014
Per esempio, quando anche gli archivi di Pietro Maria Bardi saranno altrettanto ordinati al pari di quelli di Lina, sarà da indagare ancora l’indubbiamente ricchissimo rapporto – di soli luoghi comuni genericamente discusso – della coppia, sul quale Anna Carboncini offre un primo interessante contributo (vedi il catalogo Lina Bo Bardi 100 – Brazil’s alternative Path To Modernism, 2014 p.184-191). Così come, dopo aver considerato la tecnica museografico-allestitiva di Lina, come avviene nel recentissimo e brillante catalogo di Maneiras de Expor – Arquitectura espositiva de Lina Bo Bardi, 2014, la strada è pronta per indagare il punto di vista curatorial-museografico, che fa parte del dialogo quotidiano tra Dona Lina e il Professor Bardi, coniugi-complici messaggeri tra due continenti diversi. Due continenti che per l'inafferrabile Lina diventano tre, apparentemente sempre meno lontani.

© riproduzione riservata

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