Massimiliano Fuksas. PalaFuksas Torino 2006

In attesa di una destinazione precisa, l’edificio torinese prende il nome del suo progettista. Fotografia di Paolo Rosselli. A cura di Matteo Poli

Google Earth: 45 04’ 37.43’’ N, 7 40’ 58.75’’ E

Domus: Cos’è l’edificio di Porta Palazzo?
Massimiliano Fuksas: È difficile dirlo. Non è più un edificio commerciale, perché al momento i negozi sono stati eliminati. Ci faranno esposizioni e performance. Chiamparino non vuole più far entrare i commercianti... Detto proprio brutalmente. All’ultimo piano ci sarà un ristorante.

Domus: È interessante che tu sia diventato programma, che l’edificio oggi si chiami PalaFuksas.
MF: Io mi sono molto arrabbiato, ma non c’è stato niente da fare. Il problema è che nessuno ha il coraggio di dargli un nome… ma dovrebbe essere un Centro espositivo per l’Arte.

Domus: Di cosa hanno paura?
MF: La questione è molto semplice. Il progetto nasceva per i commercianti che stavano in un edificio che era colmo d’amianto, un capannone costruito negli anni Settanta. Nel 1998 il Comune e i commercianti hanno chiesto un finanziamento europeo per un nuovo padiglione; nel frattempo si sono trasferiti in un’area semi-periferica, all’interno di un centro commerciale Auchan. E così oggi molti di loro sono contenti di stare là e dicono che non vogliono più tornare...

Domus: A progetto iniziato aveva già perso i suoi clienti?
MF: Si. Il Comune ha pensato ad altre ipotesi per questo edificio: un Museo del cioccolato, un Centro per il tessile, un luogo per performance e cose del genere… Nel frattempo il quartiere è molto cambiato: hanno rifatto la piazza, hanno sistemato le bancarelle e mano a mano Porta Palazzo è diventata un luogo multietnico e pieno di artisti (all’inizio anche Mario Merz avrebbe dovuto collaborare al nostro progetto). Inoltre il mercato è una delle questioni più spinose, perché è il più bel mercato in Europa, in assoluto, e non deve essere normalizzato.
Insomma: mano a mano che andavamo avanti ci siamo resi conto che questo edificio diventava più ambizioso del suo programma iniziale; infatti, anche se pensato per ospitare dei negozi, stava diventando un edificio capace di ospitare qualsiasi cosa. E oggi è un luogo che se ha una specificità, è semmai quella industriale.

Domus: Le opere oggi esposte sono però poche, si perdono nello spazio...
MF: Carolyn Christov-Bakargiev ci ha chiesto di usare questo spazio per la Triennale, ma non sono riusciti a riempirlo, non avevano idea della sua dimensione: è uno spazio enorme, 3-4.000 metri quadrati che richiedono una grande densità. Tuttavia la vera scoperta offerta dalla Triennale è che seguendo questi oggetti che galleggiano nello spazio si raggiunge il tetto, dove si può camminare e vedere altri lavori esposti.

Domus: Qual è il concetto di base del tuo progetto?
MF: Sono due. Uno è che la copertura funziona come la buccia di una mela, quando la sollevi non ci sono simmetrie e la luce passa tra i tagli residui, tra gli interstizi della spirale. L’altro è una riflessione sui layer, una sperimentazione che facevo intorno al 1998. Questo progetto condivide infatti con il Perez Centre for Peace (che stiamo costruendo a Giaffa) la ricerca sui modi di intersecare e sovrapporre strati diversi, grazie alla gravità. Ma mentre il Peace Centre è in cemento, questo è completamente in vetro e in acciaio.

Domus: E l’architettura dell’edificio?
MF: Come dicevo, la copertura ha dei tagli, che portano la luce naturale all’interno. Non ci sono controsoffitti e la struttura è completamente visibile: i pilastri sono specchiati, la base di una è la testa dell’altra, e viceversa. E tutto questo cambia completamente la giacitura e lo spazio interno.

Domus: Come funziona la circolazione interna?
MF
: Le rampe e le scale mobili partono dal piano terra e collegano la quota della città con il tetto; stanno in un interstizio, tra la facciata esterna e la grande piazza coperta. Al di sotto delle rampe c’è il parcheggio, che ha dei buchi nelle pareti attraverso cui si possono vedere le ghiacciaie. Si crea così un rapporto forte tra i vari piani. Il parcheggio è un luogo vivibile, con oblò in vetro da cui arriva la luce e attraverso i quali si può guardare; e da lì si può andare nelle cupole, bellissime, in laterizio: sono spazi enormi che in futuro potranno essere usati.

Domus: La facciata è autoportante?
MF
: Ognuno dei vetri è una barra spessa, infilata in due profili a C alti 14 metri; le barre non sono incollate e ogni tanto c’è un distanziatore di acciaio per prendere i carichi. I vetri sono di tre colori e creano una tessitura: uno è più verde, uno è più chiaro e l’altro è quasi trasparente.

Domus: Scavando avete trovato quattro ghiacciaie...
MF: È stata una sorpresa, ma il tutto funziona perfettamente: dalla strada vedi l’esterno, Torino e il mercato, e poi ci sono vari layer fino ad arrivare al sottosuolo. Vedi il fuori, il dentro e poi sotto ancora, dove ci sono le ghiacciaie, in un interstizio del garage. Nel film di Filippo Macelloni la facciata in vetro riflette la gente che guarda e ne scompone l’immagine... Però dalla facciata si vedono le persone dall’altra parte che camminano su Porta Palazzo, e gli abitanti dell’edificio.

Domus: Forse è per questo che l’edificio si è perfettamente integrato nella città... Come hai deciso di confrontarti con gli altri edifici di Porta Palazzo?
MF
: Abbiamo conservato la pianta originale, perché funziona bene assieme all’edificio che ha accanto e anche rispetto al disegno della Piazza, divisa in quattro lobi e con alle spalle la quinta dello Juvarra. Si tratta di un vero e proprio sistema.

Domus: Che comunque mantiene la matrice torinesissima della griglia…
MF: Sì, abbiamo progettato il nuovo intervento esattamente dove era l’edificio demolito, non l’ho mosso neanche di 10 cm; il rapporto con l’esistente è molto forte. È un edificio raro: contemporaneo ma costruito in pieno centro storico, sembra esserci sempre stato. È come se occupasse un suo luogo naturale.

Intervista di Matteo Poli
La circolazione avviene grazie a un ballatoio e a delle rampe, sostenute a sbalzo dai pilastri sagomati, che attraversano il vuoto centrale e collegano i piani dell’edificio
La circolazione avviene grazie a un ballatoio e a delle rampe, sostenute a sbalzo dai pilastri sagomati, che attraversano il vuoto centrale e collegano i piani dell’edificio
La facciata esterna dell’edificio è costituita 
da un sistema di strati sovrapposti di vetro sostenuti da coppie di montanti a C d’acciaio; 
in basso ai ricorsi di vetro si sostituiscono progressivamente strati d’acciaio
La facciata esterna dell’edificio è costituita da un sistema di strati sovrapposti di vetro sostenuti da coppie di montanti a C d’acciaio; in basso ai ricorsi di vetro si sostituiscono progressivamente strati d’acciaio
La copertura metallica continua il disegno che ha generato lo spazio sottostante, lasciando passare la luce attraverso piani vetrati verticali e orizzontali
La copertura metallica continua il disegno che ha generato lo spazio sottostante, lasciando passare la luce attraverso piani vetrati verticali e orizzontali

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