Design Week – Report dall’Islanda

Dedicata al tema “Play”, Design March – la settimana del design di Reykjavík – trasforma il rigido inverno islandese in una grande concentrazione di energia in cui si parla di realtà virtuale, autoproduzione e riciclo.

Design March, image from the festival
Arrivando in Islanda a metà marzo, non ci si può certo aspettare una calda accoglienza; in aggiunta, quest’anno Design March – la settimana del design di Reykjavík inaugurata nel 2009 – è stata colpita da due potenti tempeste; la gente del luogo non ricordava un inverno così rigido negli ultimi 19 anni, tanto da chiudere l’aeroporto di Keflavík.

Questa edizione dal tema “Play” ha aperto le sue giornate negli spazi dell’auditorium Harpa, il più grande per capienza della Scandinavia, costruito dagli architetti danesi Henning Larsen Architects in collaborazione con l’artista Olafur Eliasson, dall’affaccio mozzafiato sulle acque che bagnano la capitale.

Dall’aspetto austero e cinerino, in linea con lo stereotipo delle atmosfere del luogo e avvolta da una luce che non si può davvero avere altrove, i diamanti violacei che punteggiano la facciata hanno accolto la folla venuta ad ascoltare i relatori dal profilo internazionale della prima giornata di talk.

Design March, image from the festival
Design March, un'immagine dell'evento
Lo spagnolo Martí Guixé, che nel programma si è definito ex-designer, ha aperto le danze raccontando come si consideri atipico nella sua professione – ossia un designer che non ama il design di prodotto; l’architetto belga Julien De Smedt, con tre studi sparsi per il mondo tra Copenaghen, Bruxelles e Shanghai, ha affascinato e piacevolmente intrattenuto la platea con pirotecnici progetti architettonici, ironizzando sulla sua attività con una tabella che riportava gli ultimi risultati dello studio JDSAchitects: 289 progetti proposti, 26 edifici realizzati (con una media del 9% circa).
Ma sono diverse le committenze in gestazione tra cui un trampolino per il salto con gli sci – il precedente firmato da un architetto di chiara fama è a Bergisel, in Austria, opera di Zaha Hadid. Anthony Dunne ha introdotto i progetti portati avanti con la socia (e compagna nella vita Fiona Raby – si sono conosciuti al college e mai più lasciati), mentre di recente è stata annunciata la fine della collaborazione con la RCA di Londra: il loro è un mondo dove di design tangibile, nel senso più tradizionale del termine, c’è ben poco, in favore di un forte approccio esperienziale e didattico, contraddistinto dalla peculiare e affascinante speculazione intellettuale da cui nasce. “È bello lavorare con i giovani e con gli studenti perché è con loro che accadrà il futuro”, spiega. E prosegue al tavolo del talk successivo Playing Like Professionals, dove il focus è il design d’interfaccia come creazione di realtà parallele e fittizie, un esempio fra i tanti: i videogiochi.
Design March, image from the festival
Design March, un'immagine dell'evento

In questo contesto di grafica interattiva, composto di verità virtuali e universi alternativi, brilla la testimonianza di Nils Winberg (interaction designer per Gagarin) che ha ragionato su visual artificiali ma più che verosimili. La realtà è univoca? Ognuno ha la propria opinione dato che non appena ci muoviamo siamo noi stessi a creare la nostra. Si parla di mondi immaginari e creatività sintetica grazie all’utilizzo di tecnologie sofisticate e allo sviluppo di macchine androidi fino alla presentazione di un video sulla pedofilia sostenuto dalle Nazioni Unite, in cui si racconta il metodo utilizzato con successo per identificare oltre 1.000 pedofili nel mondo che sfruttavano la prostituzione minorile nelle Filippine, seduti davanti allo schermo di un computer – senza comprare un biglietto d’aereo. Quindi incontrollabile e accessibile.

La protagonista del video si chiama SWEETIE ed è una bambina-robot: è stata realizzata al digitalmente per salvare bambini in carne e ossa.

Design March, image from the festival
Design March, un'immagine dell'evento
Durante tutto l’anno, Reykjavík è letteralmente invasa dal design autoprodotto, tema importante per un paese come l’Islanda, che non ha una facoltà di design e quindi si va spesso a studiare all’estero. Gli Islandesi si sentono isolati e forse proprio per questo motivo il 95% delle case della nazione ha un collegamento alla rete - pur essendo pochi abitanti sono quindi piuttosto internazionali forse anche perché Reykjavik è sulle rotte per New York e Asia - Icelandair promuove in modo efficace questo stop-over. Per i designer locali uno degli scogli maggiori è trasformare un prototipo, la cui realizzazione ha già un prezzo fuori mercato, in un prodotto industriale. Un ottimo lavoro lo fa Anthony Bacigalupo e la sua Reykjavicktrading con esperienza di auto-produzione e auto-distribuzione. “Siamo un Paese senza materie prime”, spiega Katrin Olina, una delle designer più note a livello internazionale con una formazione a Parigi ed esperienze a Londra e Hong Kong, attualmente alle prese con una residenza d’artista a Helsinki. “Qui non abbiamo aziende in grado di produrre; il design industriale è davvero un mondo tutto da scoprire e sviluppare in Islanda”.
Olina presenta una serie di piccoli oggetti d’arredo ispirati al folklore locale che narra di diverse leggende legate ai cavalli; Reading Horse, titolo del progetto di Olina, è nato dalla collaborazione con la fonderia Studlaberg nella regione a nord del paese di Skagafjordur ed è dedicato a chi ama la lettura – gli islandesi sono grandi appassionati di letteratura e adorano i libri, circa il 10% dell’intera popolazione pubblica almeno un’opera durante la propria vita. Colui che consuma tanti libri viene chiamato appunto “reading horse” e da qui il rimando al cavallo selvaggio islandese, una razza importata dagli abitanti tra il IX e il X secolo (Skagafjordur è il regno di questa specie) nata “da una combinazione fra la passione per la lettura e questo straordinario animale; “due simbologie importanti per la cultura del nostro Paese”, aggiunge. Si tratta di oggetti da tenere vicino al divano per celebrare l’arte del dedicarsi a sé: un mini-portalibri (solo pochi e buoni) con i piedi in legno massello, nella varianti che includono anche l’accessorio della lampada per leggere o un piccolo tavolino da appoggio.
Design March, image from the festival
Design March, un'immagine dell'evento
Olina è la nipote di Theódóra Thoroddsen, attivista politica che nella seconda metà del secolo scorso partecipò con il marito all’indipendenza dell’Islanda dalla Danimarca (1946) e ci tiene a sottolineare come le origini di questo luogo (un tempo isola di pescatori) siano profondamente radicate negli abitanti. Si dice anche che gli islandesi abbiano uno strano senso dell’umorismo: questa considerazione sta alla base del progetto congiunto dal titolo “1+1+1 Surprise!” realizzato dal designer svedese Petra Lilja, dall’islandese Hugdetta e dal finlandese Aalto Aalto. L’idea del trio è partire da una precisa tipologia di oggetto, in questo caso la lampada, come unico brief progettuale per sviluppare insieme un nuovo prodotto.  Ma i tre designer hanno lavorato singolarmente,  in modo autonomo senza scambiarsi alcuna informazione e solo nella mattina del 12 marzo, ossia in occasione dell’inaugurazione della mostra, hanno svelato la propria idea l’uno all’altro. Tutti e tre, per coincidenza, hanno presentato un nuovo prodotto nato dal concetto di riutilizzo: Petra Lilja, avendo da poco collaborato con un’azienda che produce scope in saggina, propone una lampada dal paralume appunto in saggina, con stelo in metallo e base in legno.

Gli altri designer utilizzano elementi “riciclati da altri progetti o rimasti in studio per qualche ragione”: Hugdetta presenta un paralume in alluminio e osso di pesce dall’opacità lunare e il decoro quasi tribale mentre Aalto Aalto usa linee pulite per assemblare tutti e tre questi materiali, il metallo, l’alluminio e il legno. In una terra come questa non poteva mancare un progetto ispirato al vulcano che si esprime in una deliziosa collezione di vetri dai colori saturi: il collettivo multidisciplinare IIIF (Agla Stefànsdòttir, Sigrùn Halla Unnarsdòttir e Thibaut Allgayer) con base tra Reykjavík e Copenaghen, firma la collaborazione prodotta da CIAV in Meisenthal, la manifattura francese di vetro soffiato. Per finire questa panoramica è necessario citare anche la visita a Icelandic Museum of Design and Applied Arts di Gardabaer dove nella mostra East: Designs from Nowhere c’è un progetto anche del britannico Max Lamb.

Le attenzioni della comunità internazionale del design per questo piccolo festival pieno di energia sono giustamente in grande crescita.

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