di Antonello Ferraro

Frei Otto. Das Gesamtwerk. Leicht bauen – Natürlich gestalten, A cura di Winfried Nerdinger Birkhäuser, Basel 2005 (pp. 400, € 78,00)

Nel 1950 un giovane studente tedesco di architettura della Technische Universität di Berlino decide di intraprendere un viaggio di studi negli Stati Uniti, per conoscere da vicino le opere di Frank Lloyd Wright, Eero Saarinen, Erich Mendelsohn, Mies van der Rohe. Quale pilota dell’aviazione tedesca è appena scampato alla guerra. “Le città in fiamme viste dall’alto sono uno dei semestri più duri per uno studente di architettura!”.

Quel giovane si chiama Frei Otto. Non sa ancora che l’incontro con Mies sarà una rivelazione, che lo segnerà per tutta la vita. E più di tutto non sa, che diventerà lui stesso uno dei più geniali interpreti dell’architettura della seconda metà del XX° secolo. Testimonianza vivente della longevità degli architetti – pensiamo al nostro Ignazio Gardella piuttosto che a Philip Johnson – il 31 maggio scorso Frei Otto ha compiuto il suo ottantesimo compleanno. Un’occasione imperdibile per colmare un vuoto e dedicargli una monografia completa sulla sua opera, edita da Birkhäuser (disponibile sia in tedesco che in inglese) e curata da Winfried Nerdinger, storico dell’architettura e direttore del Museo di Architettura di Monaco di Baviera.

Questo libro è un omaggio dovuto ad un protagonista audace, schivo quanto modesto, eppure decisissimo nel sostenere le proprie idee. Una di queste si fonda proprio su quel “less is more” di Mies, che da quel mitico incontro non lo ha mai più abbandonato e si è rivelato sempre come una sorta di monito. Questa sua predisposizione piuttosto al levare, alla sottrazione di peso, ha non di meno le sue origini nella sua appartenenza ad una famiglia di scultori ed al suo stesso apprendistato giovanile da scultore. Viene in mente ancora Italo Calvino con la prima delle sue Lezioni americane, quella sulla leggerezza, quando parla di Lucrezio come il poeta dell’invisibile: “La poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, così come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo”.

Secondo Oswald Mathias Ungers, Frei Otto al contrario delle sue intenzioni di superare la natura con l’architettura ha costantemente cercato di capire le leggi costruttive della natura. Al suo interesse per pareti e muri, per i corpi chiusi, Frei Otto ha opposto quello, mai abbandonato, per le membrane, per le case a vetri, in sostanza per la trasparenza. La ricerca e l’interdisciplinarità dell’attività progettuale di Frei Otto sono scandagliate in profondità nei diversi saggi che occupano la prima parte del volume. Tra questi troviamo quello di Ulrich Kull sui suoi rapporti con la biologia e in particolare con il biologo e antropologo Johann-Gerhard Helmcke, che portò alla fondazione del gruppo di ricerca “Biologie und Bauen” (Biologia e Costruire) e che ebbe come obbiettivo principale non quello “di trasferire sistemi o forme della natura nella tecnica o nell’architettura, quanto piuttosto la conoscenza e la descrizione dei fenomeni fisici sia nella natura vivente e non che nella tecnica”.

Il saggio di Eberhard Möller sul principio del ‘Leichtbau’, o costruzione leggera, affronta un altro dei temi fondamentali dell’opera di Frei Otto: “La forma di costruzioni relativamente leggere solo di rado è casuale. Piuttosto è il risultato di processi di sviluppo ed ottimizzazione, che seguono il principio della riduzione della propria massa. Questo è il principio che noi chiamiamo del Leichtbau”.

Quanto materiale occorre realmente per costruire? A questa domanda Otto risponde spesso citando Bucky Fuller, il quale sosteneva che se si volesse davvero sapere quanto economico fosse un edificio, inteso in senso energetico, questo lo si dovrebbe poter pesare! Potendo arrivare alla conclusione che quello che costruiamo potrebbe reggere alle sollecitazioni della natura (neve, vento, terremoti) impiegando solo l’uno per cento se non l’uno per mille dei materiali solitamente utilizzati. Sperimentare è evidentemente la sola strada possibile per sostenere tesi così ‘audaci’.

Una sperimentazione che si avvale costantemente dell’ausilio di modelli, fino alla scala 1:1! Molti di questi sono preziosamente documentati nella seconda parte del volume (quella relativa al regesto dei progetti), che si avvale di una straordinaria documentazione fotografica. Da sottolineare è anche la vasta riproduzione di disegni e schizzi originali, oltre ad una ricca bibliografia di e su Frei Otto. Le sue prime realizzazioni sono il risultato delle ricerche sulle tensostrutture. La maggior parte delle quali è destinata a manifestazioni temporanee, come quelle per la Bundesgartenschau (Esposizione nazionale di orticoltura) di Kassel del 1955 e di Colonia del 1957, nonché quella del 1963 ad Amburgo. Da queste tensostrutture fisse derivano anche le prime coperture trasformabili che, avvalendosi dello stesso sistema di sospensioni su cavi di acciaio, permettono grazie ad un meccanismo mobile a motore una flessibilità ulteriore degli edifici a cui queste sono destinate.

Il progetto per l’edificio sperimentale, che diventerà la sede dell’Institut für leichte Flächentragwerke (Istituto per le superfici portanti piane leggere), farà da prototipo per il padiglione tedesco all’Esposizione Universale di Montréal del 1967, in collaborazione con Rolf Gutbrod, e realizzato dalla ditta specializzata in coperture a tenda Stromeyer & Co. di Costanza. La consacrazione che ne consegue, a livello di critica internazionale, è confermata pochi anni più avanti dalla realizzazione, in occasione dei giochi olimpici di Monaco del 1972, delle grandi tensostrutture per le coperture a tenda dello Stadio e del Villaggio olimpico (insieme a Günter Behnisch). La copertura trasparente di oltre 60.000 metri quadri in fogli traslucidi di plexiglas è diventata presto, oltre che un vero e proprio emblema della capitale bavarese, soprattutto la metafora di una Germania democratica e desiderosa di riscattarsi dal peso di un passato non troppo lontano.

Gli incarichi internazionali, che seguono alle realizzazioni di Montréal e di Monaco, in particolare quelli in Medio Oriente, saranno forieri di esiti altrettanto fortunati. I progetti per il Centro Congressi e Hotel presso la Mecca del 1974 (con Rolf Gutbrod) e quello del Club Diplomatico a Riad del 1986 attestano la sua sensibilità nei confronti del contesto, seppure con una forte carica espressiva sia alla scala strutturale che a quella formale. Nel corso di una lunga attività di architetto-ingegnere, ricercatore ed inventore, Frei Otto ha concepito molte delle sue visioni, pur restate sulla carta, non come utopie: “La fantasia visionaria non è mai utopica”.

Pensiamo ad esempio al suo progetto-studio di una cupola pneumatica per una città nel circolo polare artico (del 1971, in collaborazione con Kenzo Tange e lo studio Ove Arup & Partners), dove mette a frutto le reiterate ricerche nel campo delle costruzioni pneumatiche. Frei Otto è considerato anche come il pioniere se non uno dei fondatori della cosiddetta architettura ecologica (Ökologisches Bauen). Ma a parte le sterili classificazioni, ciò che conta è la portata delle sue innovazioni. Costruire con la natura e non contro la natura è stata sempre la sua fonte primaria di ispirazione. Questo significa ottenere il maggior risultato con il minor impiego di risorse, di energia, di materiali e di tempo. Un esempio paradigmatico è rappresentato dalle poetiche voliere del Tierpark Hellabrunn di Monaco di Baviera (1978-1980): un altro manifesto dell’architettura sostenibile di Frei Otto, una costruzione leggera come il volo degli animali destinati ad ospitare, senza un inizio e senza una fine.

Il capitolo finale Hommage an Frei Otto conclude simbolicamente il libro con una serie di testimonianze e di ricordi. Da quella di Shigeru Ban (con il quale Otto ha collaborato per la realizzazione del Padiglione giapponese all’Expo 2000 di Hannover), a quella di Rob Krier: “I tuoi edifici avevano il fascino dell’improvvisazione e la loro poesia cresceva dai più semplici e minimalisti mezzi tecnici”. Fino a quella di Sir Norman Foster, che attribuisce a Frei Otto un ruolo di ‘ispiratore’ con il suo distacco da ogni tipo di convenzione e con il suo costante richiamo ai valori della leggerezza e del rispetto della natura.

Antonello Ferraro Architetto