Smetteremo di invecchiare: ma a quale costo?

Una mostra a Basilea crea un percorso tra scienza e finzione per raccontare un mondo, quello della super longevità e di una giovinezza quasi eterna, che potrebbe essere molto più vicino di quanto pensiamo.

Welcome back. Bentornato, bentornati. È questa la scritta che si presenta ai visitatori in fondo al corridoio immacolato e luminoso che fa da spazio d’uscita di “The end of aging”, la mostra sull’invecchiamento allestita al Kulturstiftung Basel H. Geiger di Basilea. O forse non è un messaggio per loro, ma per Kaspar, protagonista del racconto che occupa un buono spazio del volume che accompagna l’esposizione. Dopo un lungo sonno criogenico, Kaspar si sveglia nel futuro in un ospedale abbandonato, proprio come lo spazio che è stato scenografato per ospitare la mostra. “Per molti visitatori l’uscita è un nuovo inizio, perché fanno un nuovo giro”, spiega Michael Schindhelm, creatore (non “curatore”, sottolinea lui stesso) di “The end of aging”, nonché autore del racconto in questione. 

Moriremo giovani, ma dopo una lunga vita.

Raphael Suter

The end of aging, Kulturstiftung Basel H. Geiger, Basilea, Svizzera

Vivere per sempre o prolungare la vita su questo pianeta all’infinito è un sogno che accompagna l’umanità da epoche antichissime e attraversa le narrazioni e i miti di ogni cultura. Solo recentemente è passato a essere un progetto scientifico, spiega a Domus Michael Schindhelm, regista e curatore di lungo corso con un background da scienziato. Ma se negli anni Novanta la prospettiva di vita eterna passava attraverso la fusione tra essere umano e computer, oggi è la biologia che, grazie alla genetica, proietta un futuro in cui vivremo il doppio e soprattutto non invecchieremo proprio. Si chiama “la fine dell’invecchiamento”, la mostra, ma poteva chiamarsi “la fine della sofferenza”. La sofferenza del corpo e della mente che decadono. La statua di una tartaruga accoglie il visitatore all’ingresso: sono creature che vivono fino a 250 anni, spiega Schindhelm, ma il loro corpo resta fino alla morte circa come era a 50. 

Michael Schindhelm. Courtesy Kbh.g

La mostra è organizzata in due fasi, due grandi polarità in dialogo tra di loro. Schindhelm ha creato nella prima un percorso di speculative fiction per raccontare un mondo in cui il sogno della longevità si è avverato. Il visitatore è immerso in uno scenario di fantascienza, con molte eco cyberpunk, ma in qualche modo sta camminando all’interno di un futuro che potrebbe davvero essere il nostro. Per l’occasione gli spazi espositivi della Kulturstiftung Basel H. Geiger sono stati trasformati nella replica di un ospedale abbandonato, con il contributo di Giulio Margheri di Oma, Luca Moscelli, fondatore di Buromosa e il sound designer Till Zehnder. Lo spazio è cupo, postapocalittico, ma al tempo stesso “l’ospedale è una metafora della nostra società”, spiega Schindhelm, “siamo tutti visitatori, in un ospedale”, e dopo che la pandemia ne ha evidenziato il lato oscuro, è anche diventato un “simbolo del trascurare”. 

Alla fine di un percorso tra le stanze buie e graffitate (la firma è quella di Urs Baur, ovvero Black Tiger e Steven Gravino) di un ospedale abbandonato dove le uniche eco di una umanità costretta a vivere per sempre sono incapsulate nei video, il visitatore entra nella grande recovery room. Adagiati come pazienti sui lettini, con le cuffie appoggiate dove dovrebbero esserci le flebo, si assiste alla parte documentaristica della mostra, un montaggio di più di un’ora e in 15 capitoli nel corso del quale intervengono nomi del pantheon della scienza della longevità, come il biologo molecolare Michael N. Hall, il premio Nobel in chimica Venki Ramakrishnan, l'epidemiologa Jess Bone e altri scienziati di livello mondiale.

The end of aging, Kulturstiftung Basel H. Geiger, Basilea, Svizzera

“Accostare finzione e non-fiction permette ai visitatori di fare esperienze nella spazio e lasciarsi provocare”, spiega Schindhelm, che ha creato la mostra come l’accostamento tra una parte “immaginativa” e una “illuminante”: come spiega lui, “l’arte comunica alla pancia e al cuore, la scienza al cervello”. Servivano dunque entrambe per un tema così complesso. Dopo la recovery room si accede al corridoio bianco, “welcome back”: “molte persone non escono, restano molto a lungo”. 

“Non fare mai mostra noiose!”, questa l’indicazione che Sybille Geiger, scomparsa tre anni fa, ha dato a Raphael Suter, ex giornalista della Basler Zeitung e oggi direttore della fondazione che porta il nome Geiger – intitolata al nonno di Sybille, Hermann, creatore di una delle più importanti aziende farmaceutiche svizzere. Con cui Sybille volle sempre avere poco a che fare: nata nel 1930, fin da giovane seguì la passione per l’arte, spiega Suter, trasferendosi a Parigi - dove frequentava tra gli altri Giacometti e Tinguely –, specializzandosi come costumista teatrale, a Berlino e poi Lucerna, lavorando anche negli spaghetti western. Si sposa con un italiano e va a vivere in Toscana.

The end of aging, Kulturstiftung Basel H. Geiger, Basilea, Svizzera

Una vita bella ma tutto sommato normale fino a quando l’azienda di famiglia non viene rilevata da una grande multinazionale. A quel punto, Geiger si trova a essere tra le persone più ricche della Svizzera. E decide di destinare i soldi per aprire una fondazione, nel 2019, prima a Cecina, dove viveva, e poi di muoverla a Basilea. “Non siamo una galleria e non vogliamo fare quello che fanno gli altri”, spiega Raphael Suter, ripercorrendo la storia delle mostre fin qui allestite al Kbh.G: nell’essere unici c’è anche la scelta di creare un libro per ogni esposizione che viene donato ai visitatori. Ogni mostra è gratis e Suter ha grande libertà di budget. Racconta a Domus alcune delle passate esposizioni proprio scorrendo tra i libri, nei luminosi spazi di una ex fabbrica convertita in museo da Christ & Gantenbein. I temi sono tantissimi: si passa dalla fotografia alla musica all’ecologia. Ogni volta lo spazio viene completamente trasformato. Questa volta in ospedale, quasi un paradosso per un edificio che si affaccia sull’Universitätsspital.

Tornando a “The end of aging”, durante la nostra conversazione, Suter cita un passaggio dell’intervista di Ramakrishnan: “Quando siamo giovani vogliamo diventare ricchi, quando siamo ricchi vogliamo diventare giovani”. Una frase esemplare, che ricorda il lato probabilmente più distopico della ricerca dell’immortalità: quello di essere legato a doppio filo con la ricchezza.

Non siamo una galleria e non vogliamo fare quello che fanno gli altri.

Raphael Suter

Chantal Convertini. Foto Raphael Suter

 Tutti desideriamo la longevità, spesso per chi ha tutto diventa un’ossessione, come splendidamente metaforizzato dalle teste delle celebs della serie animata Futurama, che non a caso debuttò proprio a fine anni Novanta, o amplificato dalla leggenda urbana sulla testa criogenizzata di Walt Disney. La pietra filosofale della leggenda era al tempo stesso capace di tramutare qualsiasi metallo in oro e di fare da elisir da lunga vita; oggi viaggiamo verso un mondo futuro in cui l’1% è bellissimo, si nutre in maniera sublime, viene educato nelle migliori scuole e - soprattutto - vive per lunghissimo tempo. Gli altri forse no. 

Ci sono voluti due anni per creare questa mostra. “Ho imparato molto”, spiega Michael Schindhelm. Stare a contatto con gli esperti della longevità lo ha convinto che nel futuro “moriremo giovani, ma dopo una lunga vita”. Dopo “The end of aging”, che chiude a luglio, debutterà al Kbh.G un’altra mostra di Schindlhelm, questa volta dedicata alla Bali post-coloniale, vista attraverso la vita di Walter Spies, pittore e musicista tedesco che ci si trasferì sul finire degli anni Venti, promuovendo per primo la cultura balinese in Occidente e modificandone a sua volta la traiettoria. 

Mostra:
The end of aging
Dove:
Kulturstiftung Basel H. Geiger, Basilea, Svizzera
Date:
dal 3 maggio al 21 luglio 2024

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