Anselm Kiefer e Wim Wenders sono nati entrambi in Germania nel 1945: Kiefer l’8 marzo, mentre il primo plotone statunitense attraversava il ponte di Ludendorff, sul Reno, a Remagen, accelerando la conclusione della seconda Guerra mondiale; Wenders invece è nato il 14 agosto, una settimana dopo il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki.
La condivisione del contesto storico e sociale, quello di una nazione disastrata dal nazismo e dalle drammatiche conseguenze del conflitto mondiale, aggiunge un ulteriore livello di lettura al documentario Anselm. firmato dalla regia di Wim Wenders e dedicato alla vita e all’opera di Anselm Kiefer, presentato in anteprima al Festival di Cannes.
Nella Germania del dopoguerra, come descrive Wenders nel discorso tenuto a Munchner Kammerspiele il 10 novembre 1991 (pubblicato nella raccolta L’atto di vedere, Meltemi, 2022), “[Dietro di noi c’era un buco nero,] tutti guardavano rapiti in avanti, impegnati com’erano nella ricostruzione, si lavorava per il miracolo e questo miracolo economico fu possibile soltanto con un incredibile sforzo di rimozione. L’incredibile risultato non era appunto una nuova fenice, ma il dimenticare le ceneri da cui si risollevava”.
Attraverso gli occhi di Wenders vediamo Kiefer all’opera, che si aggira in bicicletta nella monumentalità di quegli spazi, che lavora con i suoi assistenti e stende sulla tela l’impasto del colore con una spatola, come fosse cemento, che con il piombo, il fuoco e l’acqua, brucia, scarnifica e dà corpo alle sue opere.
Kiefer e Wenders fanno parte della prima generazione di artisti che negli anni Sessanta ha obbligato la Germania a guardare in faccia il proprio passato.
Se il regista tedesco cercò nella distanza geografica dal proprio paese il punto di partenza per attraversare e superare la pesantezza taciuta della storia tedesca, Anselm Kiefer fece della catarsi la motivazione alla base della sua vocazione artistica.
I due si incontrano per la prima volta nel 1991, dopo la mostra alla Neue Nationalgalerie di Berlino, e solo nel 2019 Kiefer invita Wenders a Barjac, per mostrargli questo indefinibile e magnifico luogo che aveva creato, dove le sue opere riposano come brace sotto la cenere, nella natura del sud della Francia.
Nel 2020 iniziano le riprese che porteranno Wenders in tutti i luoghi, reali e metaforici, della produzione di Kiefer: oltre a Barjac, girano nell’atelier di Croissy, nello studio a Hornbach nell’Odenwald e nel paese natale di Kiefer.
Attraverso gli occhi di Wenders vediamo Kiefer all’opera, che si aggira in bicicletta nella monumentalità di quegli spazi, che lavora con i suoi assistenti e stende sulla tela l’impasto del colore con una spatola, come fosse cemento, che con il piombo, il fuoco e l’acqua, brucia, scarnifica e dà corpo alle sue opere. Il momento della creazione in atelier, del confronto con una materia che si crea nel suo venire distrutta, è intervallato da eco storiche, filosofiche e poetiche.
Da una parte i riferimenti a Martin Heidegger e al suo silenzio, dall’altra le parole del poeta ebreo Paul Celan, quest’ultimo imprescindibile per comprendere la pratica dell’artista tedesco: se Theodor Adorno nel 1949 sostiene che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”, Celan e Kiefer vedono nell’arte e nella poesia gli unici strumenti possibili per attraversare e superare la narrazione storica, e in definitiva, il vuoto lasciato dal silenzio di una nazione; il linguaggio poetico e visivo di Wenders permette di mostrare ciò che è indicibile, per riuscire a guardare al di là delle omissioni e delle negazioni.
Wenders inserisce nella pellicola degli spezzoni di filmati originali e interviste che segnano alcune delle tappe fondamentali della vita e della carriera di Kiefer: dai suoi studi con Joseph Beuys – che vediamo tornare più avanti in un catalogo nelle mani dell’artista tedesco – alla controversa partecipazione al padiglione tedesco della Biennale di Venezia del 1980, alle mostre negli Stati Uniti di Chicago, Los Angeles e New York, e poi l’esposizione del 1991 alla Neue Nationalgalerie di Berlino, per arrivare alla monumentale personale del 2022 a Venezia.
A rendere più viva la narrazione, incontriamo in vari momenti del film un Kiefer bambino – interpretato da Anton Wenders, nipote del regista – e un Kiefer giovane adulto, impersonato da Damien Kiefer, figlio dell’artista, per scrutare ancora più a fondo il significato dell’equivalenza tra la vita dell’artista e la sua arte.
Questo documentario, che continua la serie di opere biografiche che Wenders ha realizzato nel corso della sua carriera – la precedente era quella dedicata a Pina Bausch nel 2011 – è un modo per accedere con grazia allo scenario di immagini e suggestioni proprie delle opere di Anselm Kiefer, che vivono in un tempo presente e sospeso insieme, pesantissime nella loro imponenza e leggerissime nel loro essere.