CityRadio: la radio ripensata, senza togliere l’avventura

Una chiacchierata con Emanuele Pizzolorusso, che per Palomar ha disegnato una radio dal sapore funzionalista che si collega allo smartphone, con cui fare il giro del mondo. In lizza per il Compasso d’Oro 2022.

Uno scatolotto giocoso, un rettangolo con una manopola su uno dei lati corti. Lo speaker sulla destra, per il resto la parte frontale è interamente occupata da una griglia che è un viaggio intorno al mondo: da Pechino a Berlino, dall’Havana a Londra. E poi New York, Cairo e altre che si possono aggiungere. Si presenta così la CityRadio di Palomar, disegnata da Emanuele Pizzolorusso, che per l’azienda di Firenze ha già firmato le Crumpled Maps e vinto un Compasso d’Oro con Lucetta. “Come apparecchio credo che la radio tradizionale sia in via d’estinzione, mentre lo strumento di comunicazione di massa, la radio che ascoltiamo, è più vivo che mai”, racconta il designer a Domus, sottolineando che oggi ascoltiamo la la radio in auto, sullo smartphone, in forma di podcast. “Progettare un apparecchio radio oggi significa prima di tutto prendere atto di questo e cercare di sfruttare le nuove possibilità che il digitale offre”.

Photo courtesy Palomar

La CityRadio è appunto il tentativo di fare un apparecchio radio che stia al passo con i tempi, il ripensamento di un classico del design che concorrerà al prossimo Compasso d’Oro 2022 ed è stato incluso nell’Adi Index 2020. I suoi nove pulsanti sulla parte frontale permettono di collegarsi con le stazioni radio di nove diverse città del pianeta. C’è un tasto per scorrere tra le diverse stazioni, uno per memorizzare quella preferita di ogni metropoli. È un giro del mondo semplice ma ipnotico, con un fascino accresciuto da questi mesi di lockdown. In realtà il progetto, spiega Pizzolorusso, risale a prima dell’emergenza sanitaria. “L’idea infatti mi era venuta già qualche anno fa, ne avevo parlato a Fabio Palchetti di Palomar”. Non se ne era fatto nulla, non se ne fece nulla. Poi “si è guardato il progetto da una prospettiva leggermente diversa, si è trovata insieme una chiave, ed è partito”.

Dispositivo dei nostri giorni, la CityRadio vive in simbiosi con lo smartphone e con la app dedicata, che fa da ponte radio – attraverso la connessione bluetooth – con i segnali radio provenienti dalle maggiori città del pianeta (l’elenco si può cambiare ed estendere, nella confezione ci sono appositi tasti di ricambio). Una volta impostato l’abbinamento telefono-radio, è quest’ultima che si fa protagonista dell’ascolto. Forse qui sta l’unico vero punto debole di questo dispositivo, che non si collega direttamente a un wi-fi, ma ha sempre bisogno della mediazione del collegamento bluetooth per agganciarsi ai flussi delle stazioni radio.

Photo courtesy Palomar

“L’approccio nel concept della City Radio è quello di un’interazione il più possibile analogica e tattile”, racconta Pizzolorusso, spiegando come la app sia un espediente tecnico, da tenere il più possibile lontano dall’utente. “Mi rendo conto che è un approccio un po’ controcorrente”, dice. 

E poi precisa il suo concetto: ovvero che gli smartphone e i loro schermi non facciano altro che simulare elementi fisici. Ma che in questa simulazione imperfetta – “almeno per ora” –, non si possa che creare un disagio, alle volte impercettibile. Vedi quando digitiamo sulla tastiera virtuale, o usiamo i comandi touch anziché un controller fisico per giocare. “Credo che l’interfaccia digitale ideale sia quella che non si distingue dall’oggetto fisico. Dunque con una sua tattilità effettiva”. 

Oggetto fisico che in questo caso è una radio, disegnata con un certo sapore funzionalista, e con evidenti richiami agli apparecchi tascabili di Dieter Rams per Braun, che insieme alle Brionvega di Sapper e Zanuso sono stati anticipatori degli smartphone, per Pizzolorusso. Uno spunto più diretto arriva dagli apparecchi precedenti agli anni ‘50, “dove sulle cosiddette scale parlanti comparivano nomi di città o di reti radiofoniche nazionali e internazionali, spesso misteriose ed esotiche”, spiega il designer. 

Photo courtesy Palomar

“Sono cresciuto con CD e riviste musicali e conosco bene il fascino di scoprire un gruppo nuovo, o aggiungere un album al proprio piccolo archivio. Si trattava di piccole finestre su mondi, un modo per dare spazio all’immaginazione”, ricorda il designer. Oggi Spotify ha banalizzato l’immaginazione, perché “mi dispiega davanti centinaia di band che possono piacermi, e di cui posso ascoltare subito l’intera discografia”. E dunque “la faccenda smette di essere interessante. Cessa ogni stimolo all’immaginazione. Non si tratta di una visione passatista la mia, ma della curiosità di capire come si possa dare forma al mondo nell’era digitale senza questi ‘effetti collaterali’”.

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