“Ogni atto di costruzione è una sfida alla natura”: intervista a Emilio Ambasz

In occasione della nascita dell’Istituto Ambasz al MoMA, abbiamo intervistato il precursore della green architecture: nove domande, nove risposte e molte divagazioni sul nostro rapporto con la natura.

Anticonformista, audace e prolifico. Si possono associare diverse parole al signor Ambasz, e sottendono tutte una visione innovativa e lungimirante dell’architettura e del design.
Oggi, Emilio Ambasz (argentino ma cosmopolita, nato nel 1943) porta ancora lo spirito di un enfant terrible: più che costruire teorie gli piace scrivere favole, più che definirsi un pensatore preferisce dirsi creatore di immagini.

Fatta questa premessa, quest’anno ha portato con sé molti riconoscimenti per Ambasz. Tutto è iniziato questa primavera, quando gli è stato conferito il premio alla carriera alla XXVI edizione del Compasso d’oro ADI. Quest’anno si è celebrato anche il ventesimo anniversario del Fukuoka Prefectural International Hall (1990).
Last but not least, il MoMA – dove ha ricoperto il ruolo di curatore di design dal 1969 al 1976, realizzando anche la mitica mostra “Italy: The New Domestic Landscape” – ha recentemente annunciato la nascita dell’Istituto Emilio Ambasz per lo Studio congiunto del costruito e dell’ambiente naturale.
Ci servono altri motivi per intervistare il signor Ambasz?

“Emilio fra le foglie”, come viene informalmente chiamato nello studio del signor Ambasz, è un ritratto dell’architetto realizzato da James Wines, fondatore dello studio di architettura e design SITE di New York.

Qual è l’eredità della Prefectural International Hall di Fukuoka quando si parla di “green over grey”?
Fukuoka dimostra che si può avere il “green and the grey” – uno sopra l’altro - e allo stesso tempo si può restituire alla comunità il 100% del terreno che l’impronta dell’edificio copre sotto forma di giardini accessibili a tutti dal piano terra. Questo edificio è, per me, una solida prova del fatto che la nozione prevalente: “le città sono per gli edifici, e le periferie sono per i parchi” è un’idea sbagliata e di vedute ristrette. L’edificio di Fukuoka dimostra, una volta per tutte, che si può avere un edificio e il giardino, il 100% dell’edificio, e il 100% del verde che gli utenti e i suoi vicini desiderano.

Emilio Ambasz, Prefectural International Hall, Fukuoka, Giappone, 1990

Quali sono gli esempi che meglio rappresentano la pratica della green architecture oggi, e perché?
Posso riformulare la Sua domanda come “qual è la relazione tra una cultura emergente sensibile al verde, gli edifici ricoperti di piante, e tutte le nuove tecnologie – alcune molto valide, ma molte abbastanza superficiali – che pretendono di produrre ‘green architecture’?”
Partiamo dall’inizio. Il cosiddetto Movimento Verde, nelle sue molteplici forme, di cui la sostenibilità è molto onorevole, è un grande ombrello dove, al momento, non oserei gettare troppa luce perché le ombre cercano ancora il loro corpo. È uno stato di consapevolezza; non costituisce ancora una realtà concettuale perché manca un preciso sistema di discorso filosofico e una struttura teorica che gli permetta di trasmettere un corpus di conoscenze, e di rivalutarlo costantemente.
È un atteggiamento, finora, non è ancora un principio.
Il verde è, al momento, uno stato d’animo che può ancora creare una propria realtà culturale. A tal fine, le tecnologie sono in fase di sviluppo, ma non hanno ancora creato un insieme di metodi affidabili. Non dubito che col tempo ciò avverrà. Il punto chiave è non confondere la pirotecnica tecnologica con l’architettura. Per fare un edificio verde, c’è bisogno di tecnologia, e per creare architettura, c’è bisogno di arte.
Costruire cambia inevitabilmente la natura così come la si trova e la trasforma in una natura fatta dall’uomo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre e, se possibile, compensare la nostra intrusione nel Regno Vegetale. Costruire una casa a basso consumo non è sempre il modo migliore per risparmiare o produrre energia. L’investimento sociale in un metodo comune per la produzione di energia solare, marina o eolica, può rivelarsi molto più produttivo ed efficiente.

Progetto per il Palazzo dei Giardini Verticali, sede ENI al quartiere EUR, Roma, Italia, 1999

Esiste un contesto (o edifici specifici) in cui il verde viene usato in modo improprio in architettura?
Le piante sono vitali e innocenti, se prese da sole. L’uso improprio del verde si verifica quando viene utilizzato come maquillage per valorizzare edifici mediocri e avanzare la pretesa di alcuni architetti di aver prodotto un edificio verde ed ecologico.

Credo che la recente pandemia abbia innescato un rinnovato bisogno della natura. Quali pensi che saranno le conseguenze per l’architettura e le città in cui viviamo?
Dobbiamo creare immagini alternative che propongano una vita migliore nel guidare le nostre azioni verso il futuro, se non vogliamo perpetuare il presente. Credo che qualsiasi progetto architettonico che non tenti di proporre nuove, o migliori, modalità di esistenza non sia etico. Questo compito può scaglionare l’immaginazione e paralizzare la speranza, ma non possiamo sottrarci al suo perseguimento.

Emilio Ambasz, Ospedale dell’Angelo, Mestre, Italia, 2008

Una volta ha affermato che l’ornamento è un elemento architettonico tradizionale che si è perso durante il Movimento Moderno e che lo ha recuperato nel suo lavoro usando la natura come ornamento ‘performativo’. Quanto può un progettista controllare il comportamento di un elemento vivente?
I più grandi amici delle piante sono i giardinieri: loro sanno che le piante, come i bambini, hanno un temperamento e un modo di esistere tutto loro. Possono tagliarle e a volte rigirarle, ma non oserebbero mai costringere una pianta a comportarsi contro i suoi processi ereditari programmati. Solo alcuni professionisti userebbero le piante per imitare elementi architettonici. Come quando le palme vengono usate per simulare le colonne e, così facendo, non riescono nel loro compito previsto a proiettare ombra, proprio perché sono palme, con scarsi elementi verdi per proiettare ombra, che spuntano così lontano dal terreno che raramente riescono a rinfrescare.
Poiché con il nostro tentativo di addomesticare la Natura abbiamo creato una seconda Natura artificiale, intrinsecamente legata a quella che abbiamo trovato. Credo che dovremmo ridefinire l’architettura come un aspetto della natura fatta dall’uomo. Tuttavia, per farlo, dobbiamo prima di tutto ridefinire il significato contemporaneo della Natura.

Emilio Ambasz, Lucille Halsell Conservatory al San Antonio Boranical Center, San Antonio, Texas, USA, 1982

In che modo la natura si integra all’architettura nel suo approccio?
Un’architettura in consonanza dinamica con una Natura artificiale – specificando la metodologia della mia pratica inventiva – comporta compiti specializzati. Il primo, empirico, è quello di costruire una cartografia degli elementi del Regno Vegetale e Minerale, e anche, perché no, del Regno Animale, così come delle tecniche di produzione che popolano il giardino fatto dall’uomo. Il secondo, normativo, per sviluppare un programma di bisogni e desideri individuali nel contesto di un ampio programma di bisogni sociali, per guidare l’uso empirico della cartografia vegetale. Il terzo, sintetico, per dare forme a nuove strutture, architettoniche e vegetali, che permettano all’uomo di conciliare le sue paure e i suoi desideri con i limiti imposti dall’ambito empirico e le pressioni del campo normativo. Il campo operativo dell’architetto può essere cambiato, ma il compito trascendente rimane lo stesso, dando al pragmatico una forma poetica.

Emilio Ambasz, Casa de Retiro Espiritual, Siviglia, Spagna, 1975

Come si è sentito alla notizia di questo premio ADI per la carriera?
La mia scommessa esistenziale è sulla poesia, e l’impegno per la giustizia è, per me, una delle condizioni necessarie (ma non sufficienti) a raggiungere tale cima.
La giustizia, sia sociale che morale, è una presunzione della mente. La giustizia non esiste in Natura, ma nonostante questo fatto crudele, sento molto fortemente che è nostro imperativo etico perseguirne l’attuazione sulla terra. Anche se sappiamo che è una struttura delicata tenuta assieme da materiale etereo come l’abnegazione e l’altruismo, ma destinata a crollare di notte, dobbiamo ricostruirla ogni mattina.
Permettetemi di stare un attimo fuori dal regno della falsa modestia per rispondere onestamente alla vostra domanda numero 7: mi rallegro di quei rari casi in cui la giustizia è fatta.


Cosa ha imparato dalle piante durante la sua carriera?
Le piante sono per me come le donne, una specie affascinante e diversa. È amandole che ho imparato molto, anche se non posso sempre affermare di capirle. Per quanto riguarda gli uomini, mi assomigliano, e siccome pretendo di conoscermi troppo bene, raramente mi elogiano. Preferisco rimanere fedele alle donne e alle piante, a volte possono deludermi, ma non mi annoiano mai.

Qual è il messaggio fondamentale che vuole trasmettere ai giovani professionisti di oggi?
Mi permetta di ripeterlo: se non vogliamo perpetuare il presente, dobbiamo creare immagini alternative che propongano una vita migliore per guidare le nostre azioni nel futuro. Credo che qualsiasi progetto architettonico che non tenti di proporre nuove, o migliori, modalità di esistenza non sia etico. Questo compito può paralizzare l’immaginazione e la speranza, ma non possiamo sottrarci al suo perseguimento.

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