Oltre il Brutalismo

Con “Plato”,  il fotografo Alex Schoelcher tenta di scoprire cosa ci sia dietro la facciata del Brutalismo, stile architettonico tra i più amati (e odiati).  

Libri e cataloghi, mostre (anche interattive), kit di montaggio, siti catalogatori e soprattutto un profluvio di feed e hashtag su Instagram: gli ultimi cinque anni verranno sicuramente ricordati per la riscoperta del Brutalismo. 

Assodato che si possa qui sorvolare sull’origine del termine e la definizione dello stile, sarebbe interessante soffermarsi sul perché il cemento a vista condito con utilitarismo e monumentalismo sia diventato nuovamente così popolare senza la spinta ideologica che ne ha caratterizzato l’obbligatoria affermazione originale. 

Banale efficacia grafica della geometria? Desiderio di concretezza in un mondo sempre più fluido? Malcelato bisogno di una guida paternalistica (anche in campo estetico) in un momento di confusione democratica?

Qualunque siano le ragioni, Alex Schoelcher ha deciso di bypassarle e di andare oltre la facciata, di aggirare la superficialità dello sguardo contemporaneo e indagare cosa c’è dietro al Brutalismo. Letteralmente. 

Dalla serie “Plato” di Alex Schoelcher
Dalla serie “Plato” di Alex Schoelcher

Padre francese e madre iraniana, infanzia in Nigeria, Siria, Olanda e Regno Unito, studi e attuale residenza in Australia, il fotografo globetrotter ha quindi passato una caldissima settimana estiva a Tiblisi con gli inquilini del Nutsubidze Plato 1, uno dei mostruosi — e quindi, per i cultori del Brutalismo, bellissimi — complessi abitativi eretti in Georgia durante l’invasione Sovietica. Rimasto sostanzialmente inalterato (leggi: mai ristrutturato, un destino tecnicamente e filosoficamente insito nel Dna di molte opere appartenenti allo stesso filone)dalla sua costruzione a metà degli anni ’70, l’edifico è il set perfetto per i personaggi di “Plato”, che Schoelcher, cresciuto nel solco tracciato da Charlie Crane, Pieter Hugo e Chris Nunn, definisce la sua prima serie documentaria ufficiale. 

Ai dettagli della vita quotidiana, incorniciati da un’architettura così invasiva da risultare paradossalmente scontata, si alternano le espressioni di chi in questa architettura passa la propria vita, e a cui il senso del culto per il béton brut— ingombrante eredità di un passato non del tutto svanito — con ogni probabilità continua a sfuggire.

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