Progettare sistemi sociali

Nicolas Laisné e Dimitri Roussel raccontano il loro modo di operare che, facendo appello a un’intensità progettuale rara, tiene conto dei cambiamenti in atto a livello sociale e ambientale.

Nicolas Laisné Dimitri Roussel

Ci sono diversi modi di essere all’avanguardia oggi in architettura: perché si innovano le forme; perché s’immaginano nuovi usi; o, ancora, perché si sperimentano nuovi materiali. Lo studio francese Laisné Roussel è presente su tutti e tre questi fronti.

Per loro, ogni progetto viene vissuto come terreno fertile di sperimentazione dove immaginare altri modi di vita e di lavoro. Dopo le esperienze con Jean Nouvel e Steven Holl, Nicolas Laisné e Dimitri Roussel hanno aperto il loro studio nel 2003 e si sono affacciati sulla scena internazionale dopo aver vinto nel 2014 il concorso “Architecture du XXI Siécle-Folies architecturales” della città di Montpellier, in equipe con Sou Fujimoto e Manal Rachdi-OXO Architects. A partire da quel progetto, singolare per il coraggio e la forza espressiva, Laisné Roussel ha inanellato una serie di concorsi vinti – fra i quali il campus a Saclay dell’Ecole Polytechnique e il progetto Jardin Habité a Parigi – dove i due soci mettono in mostra un’intensità progettuale rara che tiene conto dei cambiamenti in atto a livello sociale e ambientale.

 

Il loro network include non soltanto architetti – oltre a Fujimoto stanno adesso collaborando con SO-IL e Marcio Kogan – ma sociologi, urbanisti, fotografi e attivisti. La loro riflessione architettonica passa per una ricerca che si estende all’urbanistica e che conta nella loro produzione alloggi, uffici e campus universitari. Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro architettura e le loro strategie.

Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: In Francia, oggi, i politici, le città e le comunità mettono a disposizione terreni o edifici in cattivo stato, chiedendo agli architetti di offrire idee innovative e programmi che rispondano alle domande di una società contemporanea in rapida trasformazione. “Réinventer Paris”, “Réinventer la Seine”, “Inventons la Métropole du Grand Paris” vanno tutti verso questa direzione. Laisné Roussel ha vinto il concorso per uno dei 22 siti di “Réinventer Paris” e siete stati selezionati per un sito del progetto “Réinventer la Seine”. Qual è la vostra strategia?

Nicolas Laisné, Dimitri Roussel: È sicuramente un momento particolare e questo tipo di concorsi ci obbliga a parlare con tanti operatori diversi. I politici hanno dichiarato la fine del clientelismo, in favore di qualità e innovazione. Le città hanno intenzione soprattutto di vendere a chi propone idee innovative. Questo spinge gli imprenditori a puntare su progetti che apportino qualcosa in più in termini d’innovazione sociale. Per esempio, per quanto riguarda il progetto vincitore del sito Pitet-Curnonsky abbiamo proposto il tema del “giardino abitato”. Un edificio interamente in legno con spazi comuni per l’agricoltura urbana; una pelle esterna in griglia metallica sulla quale crescono piante rampicanti, ma soprattutto abbiamo lavorato anche con l’associazione Conciergerie Solidaire, che offre servizi di prossimità per facilitare la vita dei quartieri. È guidata da giovani che prendono in gestione il piano terra dell’immobile e offrono servizi di varia natura (portineria, baby-sitting, corsi di yoga o di recitazione). Pensiamo che questo tipo d’integrazione fra architettura e utilizzatori non sarebbe stata possibile senza un concorso come “Ré-inventer Paris”. I progetti di architettura fino a ora non chiedevano di relazionarsi con associazioni o attori culturali presenti sul territorio.

Laisné Roussel, Torre residenziale a San Isidro, Perù
Laisné Roussel, Torre residenziale a San Isidro, Perù

Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Parigi è una città che ha già fatto più volte da apripista nell’innovazione urbana e può fare ancora una volta da modello per l’innovazione sociale e culturale. Siamo convinti che sia arrivato un momento in cui bisogna passare a una società post-individualista e rinforzare la sperimentazione in ambito dell’architettura relazionale. Qual è la vostra posizione in merito?

Nicolas Laisné, Dimitri Roussel: Per il progetto di “Ré-inventer la Seine” siamo andati a cercare attori locali appropriati alle ergonomie del luogo. Abbiamo coinvolto varie persone che vivono al bordo della Senna e una fondazione d’arte contemporanea che si trova in zona. Attenzione, però, non si tratta solo di rinforzare i legami fra le realtà esistenti in loco – già di per sé un obiettivo ambizioso –, ma anche di attirare nuovi attori e nuove energie. I progetti di architettura non sono più soltanto edifici che soddisfano un programma, ma diventano sistemi sociali di utilizzazione. Il ruolo dell’architetto è aggregare tutti questi attori – ingegneri, promotori, immobiliaristi, politica, futuri utilizzatori, associazioni e abitanti – e mediare. Questi concorsi ci chiedono di fare rete per rinforzare l’innovazione in ambito sociale, artistico e culturale, con una visione del progetto veramente aperta e inclusiva.

Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Nel vostro linguaggio architettonico vi è un elemento che persiste: il balcone. Nei primi progetti, come Elvira o Berge du Lac, il balcone nasceva da slittamenti dei piani e da geometrie date da risultanze. Progetto dopo progetto – il concorso per la Torre Canopia a Lima – il balcone è divenuto un elemento a sé. Ci viene in mente una caratteristica propria all’architettura giapponese: ovvero la creazione di spazi intermedi che fanno sì che non vi sia una definizione netta fra dentro e fuori, ma una gradualità del campo semantico che definisce gli spazi del progetto. Il progetto diventa più ricco e immaginiamo che siano ben accetti dagli utilizzatori, ma quanto incidono sui costi generali della struttura? Come reagiscono le imprese costruttrici?

Nicolas Laisné, Dimitri Roussel: Sì, assolutamente, il balcone fa parte della nostra ricerca. A un certo punto, avevamo coniato lo slogan “Le dernier étage à tous les étages” (“l’ultimo piano a tutti i piani”). Nel concorso per Lima – che non abbiamo vinto – abbiamo sperimentato l’utilizzo del balcone come elemento in sé. Questo ci ha portato a spingerlo al massimo nell’Arbre Blanc a Montpellier, dove il balcone connota in modo fortissimo il progetto. Nel nostro ultimo progetto Nice Méridia, il balcone si allunga e diventa passerella di collegamento esterna in cui concentriamo tutta la circolazione dell’edificio. Nei nostri progetti, i balconi misurano 10-20 mq; sono spazi di vita, dove è possibile mettere un tavolo e godersi la vista del cielo.

Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: Ci sono due vostri progetti – la scala a Saint Ouen e l’installazione vegetale Haut Dehors – che sembrano incarnare in modo forte lo spirito della vostra produzione architettonica.

Nicolas Laisné, Dimitri Roussel: È proprio con questi due piccoli progetti che apriamo le nostre conferenze. La scala a Saint Ouen è il nostro primo progetto insieme, non avevamo budget e nemmeno troppo lavoro, passavamo il tempo con gli artigiani in loco, a realizzare il disegno di questo progetto. In questo intervento ci sono la spinta verso l’alto ed elementi rarefatti, come fossero pixel o balconi. Haut Dehors integra la natura, il riflesso di una parete a specchio che moltiplica la misure delle mensole a sbalzo. Siamo affascinati dal salto di scala, grande e piccola, che permette di sperimentare e ci costringe a curare il dettaglio, permettendo un’ambivalenza fra piccoli e grandi progetti.

Laisné Roussel Pitet-Curnonsky a Parigi
Progetto per il sito Pitet-Curnonsky a Parigi, proposta per il concorso Reinventer Paris

Salvator-John A. Liotta, Fabienne Louyot: I vostri progetti utilizzano materiali semplici quali legno, vetro, acciaio, cemento ma vi è anche un grande utilizzo del verde e di griglie e cavi per integrarlo in modo organico al progetto. A tracciare una linea evolutiva, direi che siete passati gradualmente verso colori chiari, integrando la trasparenza come materiale di progetto. Cosa ha determinato questa transizione?

Nicolas Laisné, Dimitri Roussel: Quello delle risorse è un vero argomento di discussione. Non si possono chiudere gli occhi davanti al cambiamento di paradigma in atto. L’80% della nostra produzione attuale di edifici è in legno. Per Canopia, progetto di alloggi a Bordeaux, abbiamo previsto vigneti sul tetto, che saranno gestiti da un’associazione capace di animare la vita di questo edificio. Ci siamo resi conto che questo edificio è unico nel suo genere. Per ritornare al discorso sul balcone, il nostro progetto Nice Meridia è una sorta di Beaubourg sommato all’Arbre Blanc. Qui, il ruolo dei materiali è determinante per questioni energetiche, legno e trasparenze. Potendo oggi lavorare ovunque, l’ufficio diventa un luogo dove si va per incontrare gente, espandere il proprio network e scambiare idee. È un prototipo di quello che speriamo diventino gli uffici di domani. A prescindere dalla dimensione, sappiamo che ci possiamo spingere verso altezze prima impensabili con le costruzioni in legno. Infine, abbiamo l’impressione che il fatto di costruire in legno riposizioni e ridia importanza al ruolo dell’architetto, come se vi fosse una riconquista dei progetti grazie a questo materiale.

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