Chile is part of the preservation debate that runs through the veins of this year’s Biennale, a debate instigated by OMA with its Cronocaos exhibit.
Chile faces the delicate issue of reconstructing the areas that were struck by an earthquake on February 27. Sebastian Gray, the curator of the Chilean pavilion, speaks of a paradox: “This year marks Chile’s bicentennial anniversary of independence from Spain. What should have been a moment of joy, an opportunity to build new monuments and emblematic places, has become a time to reflect on the deeper values of our cultural heritage, both physical and intangible. For Chilean architects, this is the challenge of a lifetime: to restore beauty, to preserve history, to build sensibly.”
The 8.8-magnitude earthquake did not cause much damage to contemporary buildings thanks to stringent building codes put in place after devastating earthquakes in 1939 and 1960. The few modern structures that did crumble are ascribed to lax neoliberal construction practices, much to the indignation of the building community. Heavier destruction was wrought on Chile’s coastal regions and its rural heartland: traditional adobe structures and buildings of simple masonry are now gone forever.
Chile has become a reference model thanks to the wide-ranging debate that its predicament has fostered among its architects, who immediately drafted shared guidelines for all emergency constructions, not only in the wake of the catastrophe, but also for the future, as soon as the housing issue for the homeless has been resolved.
Read more
Il Cile si inserisce nel dibattito sulla preservazione che
corre sottotraccia per tutta la Biennale (ingenerato dal
Cronocaos di OMA) affrontando la delicatissima questione
della ricostruzione delle aree distrutte dal terremoto del 27
febbraio scorso. “Paradossalmente, il Cile festeggia
quest’anno il bicentenario della sua indipendenza. Ciò che
normalmente sarebbe stato un momento di gioia e
l’opportunità di costruire nuovi monumenti e luoghi
emblematici, diventa piuttosto un tempo per riflettere sui
valori più profondi del nostro patrimonio culturale, tanto
fisico come intangibile. Per gli architetti cileni, questa è la
sfida di tutta una vita: ripristinare la bellezza, preservare
la storia, costruire con saggezza”, sostiene Sebastian
Gray, curatore del padiglione cileno.
L’intensità di 8.8 gradi della scala Richter, malgrado non
abbia causato sostanziali danni all’architettura
contemporanea e moderna costruita secondo rigidissimi
criteri antisismici – (a parte qualche caso ascrivibile alla
deriva neoliberista che ha sollevato un profondo sdegno
all’interno della comunità dei costruttori) – ha però causato
la devastazione delle regioni costiere e di quelle rurali
dell’interno distruggendo la maggior parte delle costruzioni
tradizionali in adobe che caratterizzano appunto
l’architettura rurale cilena.
Il caso del Cile appare esemplare per l’ampio dibattito che
ha saputo innescare proprio all’interno della comunità degli
architetti della straordinaria scuola cilena che si è subito
mobilitata per approntare un quadro di riferimento
condiviso per ogni intervento d’emergenza, non solo
nell’immediatezza della catastrofe, ma anche per il futuro,
non appena la fase essenziale dell’alloggio dei senza tetto
sarà superata.
Continua a leggere
Chile 8.8, Chilean Pavilion /Arsenale
View Article details
- Francesca Picchi
- 03 September 2010
