
Quando nel 1984 Renato Pozzetto ne “Il Ragazzo di Campagna” filma l’iconica scena del monolocale in cui tutti gli elementi domestici sono pieghevoli in un’ironica riflessione sulla vita di città, non avrebbe forse immaginato che in futuro la nostra quotidianità sarebbe stata profondamente popolata da questa idea progettuale.
Oggi, d’altronde, ci svegliamo in letti che spesso si richiudono in divani, viaggiamo verso il lavoro su mezzi di locomozione elettrica pieghevoli, come bici o monopattini. Chi usufruisce dei mezzi pubblici, poi, lo fa estraendo abbonamento o carte contactless da portafogli pieghevoli, prima di sedersi davanti a laptop anch’essi foldable. Se il tempo libero è scandito dalla lettura, ci troviamo di fronte ad alcuni dei primi e più classici esempi di design pieghevole, mentre la fetta di pizza piegata a metà consumata nella pausa pranzo ci ricorda che l’uomo si orienta quasi istintivamente verso questa soluzione. Per non parlare dello strumento essenziale alle nostre attività giornaliere, dal lavoro all’intrattenimento, ovvero lo smartphone anch’esso oggi diventato pieghevole, come il nuovissimo Honor Magic VS.
Eppure, la storia del design pieghevole affonda radici in un passato anche molto remoto. Ecco perchè, alla luce delle nostre pratiche contemporanee, merita di essere riscoperta.

Quando nel 1971 Brionvega lancia la sua campagna pubblicitaria “Dimensioni Brionvega”, che presenta in ordine di grandezza tutti i suoi prodotti, a catturare l’attenzione del pubblico è – per assurdo – il più piccolo e apparentemente celato dei suoi design: la radio TS207.
È colorata, compatta, maneggevole, ma soprattutto pieghevole. Una soluzione progettuale che la rende un instant classic, che oggi serve a ricordarci come la storia del design sia attraversata da piccole grandi rivoluzioni pieghevoli.
È come se ogni generazione avesse la sua icona di design pieghevole entrata a fare parte della quotidianità, plasmando memorie e legandosi inevitabilmente all’evoluzione del nostro costume. Si pensi, per esempio, ai paraventi che hanno segnato, per decenni, una società in cui la nudità era tabù, anche nella vita coniugale, diventando oggetto di arredo spesso esotico ma anche custode di intimità e miccia, di fantasie e seduzione.
Se chi è cresciuto a cavallo tra i ‘60 e i ‘70 associano la radio TS 207 alla giovinezza trascorsa a cercare la giusta frequenza, per scoprire il risultato di una partita o ascoltare la propria canzone del cuore, per un altro paio di generazioni il design pieghevole diventa la madeleine proustiana che riporta istantaneamente a galla i pomeriggi passati a giocare con le console portatili Nintendo, come il Gameboy Advance SP (2003), DS (2004) e 3DS (2011).
Analogamente, il telefono Grillo del 1967 di Zanuso e Sapper per Siemens racconta di tempi in cui si aspettava per ore attaccati alla cornetta per la telefonata di una cotta giovanile, mentre i flip phone a fine anni Novanta e metà Duemila, ci ricordano dei primi disattesi SMS romantici, agli albori della telefonia mobile.
D’altronde la pieghevolezza è un attributo che porta necessariamente con sé il concetto di trasportabilità, quello che oggi chiameremmo “on the go”. Una vocazione che risponde alle necessità dell’uomo, nomadico sin dall’alba dei tempi. Ecco che la mobilità urbana è oggi costellata di monopattini elettrici e biciclette pieghevoli, come quelle di Brompton e Tenways.
Cambiano le tecnologie impiegate, i gusti e i device, ma l’attitudine progettuale rimane immutata. Un gioco, antico e semplice, come quello degli origami diventa così ispirazione per l’omonimo termo-paravento di Alberto Meda, prodotto da Tubes.
Il design pieghevole, potremmo sostenere, nasce con scopi prettamente pragmatici, finendo per plasmarci e, infine, diventare nostra estensione, tanto funzionale quanto iconografica.
Il nuovo Honor Magic Vs, nella miglior tradizione del design pieghevole, accoglie infatti una duplice sfida, ovvero quella di offrire una superficie estesa tanto di lavoro quanto di intrattenimento, pur rispondendo alla necessità del pubblico d’oggi di fare ritorno a device compatti e maneggevoli, dopo anni di iperboliche escalation di dimensioni.
Con uno schermo ampio, sia aperto che chiuso, si qualifica come lo smartphone che va incontro alle esigenze dello scrittore o del lavoratore in viaggio, ma anche di chi desidera un telefono che sia compagno di intrattenimento, per la lettura e la visione di video.
Lo sviluppo progettuale è infatti tra gli elementi più sorprendenti del telefono che, riducendo le componenti strutturali a 4 dalle 92 della precedente generazione, può fare affidamento su una cerniera superleggera che assicura fino a 400.000 chiusure, ovvero una media di 100 al giorno per più di dieci anni.
D’altronde non è difficile pensare a quello che può essere considerato un suo antenato, cioè il libro, con la relativa evoluzione delle tecniche di rilegatura. Ma anche il quotidiano, pensato per essere letto, piegato, trasportato in mano, sotto il braccio o nella tasca della giacca. Eppure il telefono è oggi anche un juke-box sempre a portata di mano, evoluzione – si potrebbe sostenere – delle fonovaligie, come quelle Phillips o Lesa, che per prime consentirono di ascoltare i supporti in vinile anche fuori dalle mura domestiche attraverso un sistema di custodie, maniglie e cerniere.
Il design pieghevole è, anche nei casi in apparenza più anonimi, parte integrante della nostra quotidianità. Si pensi alla sedia, un must dell’interior design diventato poi icona pop quando sottratta alla scrivania dei giudici e utilizzata, per esempio, negli incontri di wrestling.
La sedia, cambiando nella forma e nei materiali, ha infatti continuato a incarnare un classico oggetto di design pieghevole, capace di armonizzare funzionalità e ricerca estetica attraverso i secoli. Ci sono quelle lignee del XVI secolo, come quella che Lina Bo Bardi portò con sé in Sudamerica per arredare la Casa de Vidro a San Paolo del Brasile, ma anche quelle da campo nate per scopi bellici e diventate icone del design, come la Tripolina di Joseph B. Fenby, a sua volta ispiratrice della Kenya di Vico Magistretti, seppur non foldable.
E, ancora, la tradizionale sedia da regista, fonte di un’iconografia intramontabile che associamo – tra gli altri – a Federico Fellini, la Multichair di Joe Colombo per B Line, o la Plia di Giancarlo Piretti, forse la più versatile e riconoscibile tra queste sedute.
Corsi e ricorsi del nostro costume, come le porte pieghevoli che distinguevano molte reggie e ville nobiliari tra ‘500 e ‘800, poi rilette e stravolte da Klemens Torggler con la sua Flip Panel Door.
Gli interni, si sa, sono anche una questione di moda. La fashion industry non poteva, infatti, esimersi dal rendere la tecnologia pieghevole un suo cardine. Dalla borsa Bao Bao di Issey Miyake e dalla storica Pliage di Longchamp, alle calzature Furoshiki di Vibram. Non è certo un caso, d’altronde, se i pantaloni migliori sono quelli con la piega.
Come dimenticarsi, poi, di occhiali da sole come i Persol 714, nati come accessorio pieghevole e strettamente funzionale per i tranvieri di Torino negli anni ‘50 e poi elevati a icona atemporale di stile da Steve McQueen ne “Il Caso Thomas Crown”.
Pieghevole potrebbe essere anche la società del futuro, come suggerisce la visione distopica dell’autrice Hao Jingfang, che con il suo “Pechino Pieghevole” (2012) immagina una metropoli piegata in tre parti divise per classe sociale, al fine di gestire al meglio le ormai scarse risorse del pianeta.
Oggi, in una società che ha così tanto assimilato le tecnologie pieghevoli quasi da non rendersene più conto, ripartire dallo smartphone – estensione tecnologica della nostra coscienza – è importante per riaccendere un discorso su questa filosofia progettuale, e anche di vita. E Honor ha appena posto un importante nuovo tassello per la sua evoluzione.