Arena

La mostra al CoCA di Toruń in Polonia, è un laboratorio sperimentale, una vetrina dell’avvicinamento tra arte e politica che si è verificato negli ultimi decenni. È l’indice della spettacolarizzazione del nostro tempo e del potere dei principali media nella creazione dell’immagine della realtà.

Adrian Tranquilli, Dopo l'Occidente, CoCA, Torun
In un paese caratterizzato da una polarizzazione politica tanto diffusa come la Polonia – dove la società è frantumata in più schieramenti radicali, incapaci di comunicare tra loro (la destra religiosa, il centro progressista, la sinistra atea), e dove questo conflitto si è concentrato nel momento in cui, il 10 aprile 2010, cadde l’aeroplano presidenziale – ogni mostra che tocchi il delicato tema della politica e dell’arte è una grande sfida.
Per di più spesso l’arte contemporanea in Polonia suscita ostilità: molte mostre sono bersaglio di proteste perché accusate di “offendere il sentimento religioso” del popolo cattolico. Non sorprende nessuno vedere, in piazza Zbawiciela, l’ennesimo incendio dell’Arcobaleno, forse la più famosa tra le recenti installazioni d’arte (l’opera di Julita Wójcik è stata bruciata cinque volte da esponenti nazionalisti, che esprimevano la loro indignazione per la diffusione della “propaganda omosessuale”).
Adrian Tranquilli, After the West, 2014, installation view in the Centre of Contemporary Art Znaki Czasu
Adrian Tranquilli, After the West, 2014, veduta dell'installazione, Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy l'artista. Photo: Wojciech Olech
Rimangono quindi delle scelte difficili: con un tema scottante e arduo fin nel nome come “arte e politica” come evitare di scadere nel semplice commento politico, nella sensazione ovvia, nella cancellazione di qualunque specifica scelta politica? E c’è poi bisogno di un orientamento politico in arte? L’arte deve nutrirsi di politica o non è invece l’opposto: la politica trae vantaggio dall’arte, in una simbiosi che dà luogo alla propaganda?

Questi e molti altri problemi trovano risposta nella mostra Arena, aperta al CoCA, il centro d’arte contemporanea di Toruń, una delle istituzioni polacche più interessanti nel settore dell’arte contemporanea. La curatrice Dobrila Denegri, che è anche direttrice artistica del centro, ha abilmente evitato di cadere in qualunque estremismo. La politica – onnipresente nella mostra – acquisisce un carattere mondiale, universale, al di là di ogni disputa locale. E per di più il titolo aggiunge una dimensione più vasta alla mostra. Che cos’è la politica, se non uno spettacolo mediatico?

Gli eventi della politica, come le guerre e le elezioni, hanno la parte del leone nell’informazione e rappresentano un continuo spettacolo. I politici stessi hanno acquisito una condizione sociale paragonabile a quella dei divi. Altrettanto spesso sono i portavoce del potere legislativo, invitati a parlare nei telegiornali del mattino o nei programmi d’intrattenimento. Sotto questo aspetto politica e arte hanno un tratto comune: subiscono entrambe un processo di spettacolarizzazione, costituendo un palcoscenico per lo scontro di tendenze diverse. Contemporaneamente entrambi i campi sono la cartina di tornasole dell’atmosfera sociale, dello stato dell’economia e dello sviluppo di una determinata cultura.

Joseph Beuys, <i>Willoughby Sharp Videoviews Joseph Beuys</i>, 1973, installation view
Joseph Beuys, Willoughby Sharp Videoviews Joseph Beuys, 1973, veduta dell'installazione, Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy Electronic Arts Intermix. Photo: Wojciech Olech
Fin dall’ingresso la mostra di Toruń denuncia il suo punto di partenza documentando il progetto Arena di Joseph Beuys, esponendo le fotografie di una manifestazione organizzata dall’artista – appassionato militante e commentatore della politica – a Roma nel 1972. Il discorso che tenne in quell’occasione oggi è scritto con il gesso su lavagne appese alle pareti, in analogia con gli antichi Dieci Comandamenti, proclamati dal demiurgo Beuys. L’artista creava spesso opere autointerpretative sotto forma di lavagne ‘scolastiche’. A Toruń parla a noi, chiedendo un maggior coinvolgimento dell’arte nella vita della società. Delinea anche la sua visione del carattere democratico dell’arte, dato che “tutti sono artisti” e l’arte stessa è la “scienza della libertà”.
Katharina Sieverding, <i>Beuys' Arena</i>, Rome, 31.10.1972, 1972–2014
Katharina Sieverding, Beuys' Arena, Rome, 31.10.1972, 1972–2014, veduta dell'installazione, Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy l'artista e VG Bild-Kunst. Photo: Wojciech Olech

A corredo di queste affermazioni Adrian Tranquilli presenta la sua opera, che occupa interamente una delle sale. Dopo l’Occidente è una sala del trono, in cui le colonne sono fatte da centinaia di maschere di Guy Fawkes, l’attentatore che quattro secoli fa cercò di far esplodere il parlamento britannico, e che è divenuto il simbolo pop dell’opposizione alle istituzioni dopo la pubblicazione del graphic novel e del film V per Vendetta. A questo punto la maschera è diventata il simbolo dell’identità del gruppo di militanti che agiscono sotto il nome di Anonymous, combattendo la limitazione delle libertà civili e la censura di Internet; ed è proprio Internet che permette a chiunque di diventare artista, con la sua incidenza reale sulle trasformazioni politiche in atto (come nel caso della Primavera araba, innescata da azioni proposte sui social media). E tuttavia quel che disturba nell’installazione di Tranquilli è il trono vuoto…

Assenza dell’autorità, del potere, e quindi assenza di una visione che definisca le linee guida dello sviluppo del mondo?

Hans Peter Feldmann, <i>9/12 Frontpage</i>, 2001, installation view
Hans Peter Feldmann, 9/12 Frontpage, 2001, installation view in the Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy of the Sandretto Re Rebaudengo Collection, Torino. Photo: Wojciech Olech

Arena concentra il suo significato nella sala principale del museo. L’ingresso è fiancheggiato da due opere gemelle collocate in due locali laterali. Da un alto c’è 9/11 Frontpage (“Copertina del 9 settembre”) di Hans-Peter Feldmann, che consiste in oltre cento copertine di riviste di tutto il mondo con la notizia dell’attacco al World Trade Center. Questa trasmissione ‘in diretta’, sotto gli occhi dei visitatori, è probabilmente il segno più potente dei nostri tempi, in cui le immagini della caduta dei grattacieli sono diventate le icone del conflitto di valori contemporaneo.

L’opera di Feldmann sta di fronte a un’altra che in qualche modo ne è il riflesso in negativo: Mass Media: today and yesterday (“Mass media ieri e oggi”) di Gustav Metzger presenta un repertorio di giornali sparsi al suolo, che fungono da terreno d’interazione con lo spettatore. Le pareti del locale sono state adattate per accogliere ritagli di articoli, titoli, fotografie. I visitatori possono ritagliare quel che vogliono dai giornali e creare il proprio articolo, il proprio giornale. Oggi chiunque può essere non solo artista, ma anche coautore dei contenuti dell’informazione, sembra suggerire Metzger. Sorge di qui l’ovvia domanda se l’arte sarà a un certo momento controllata dal principio del pay-per-view oppure da un altro: la radicale ottimizzazione dei contenuti.

Gustav Metzger, <i>MASS MEDIA: Today and Yesterday</i>, 1972–2014, installation view in the Centre of Contemporary Art Znaki Czasu
Gustav Metzger, MASS MEDIA: Today and Yesterday, 1972–2014, installation view in the Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy of the artist, Photo: Wojciech Olech
Oltrepassate entrambe le opere si entra nella sala principale. Al centro un’opera del gruppo Uglycute, che consiste in una vera e propria arena al cui centro sono installati degli schermi che mostrano proiezioni video scelte da quattro curatori di tendenze culturali completamente differenti. Jude Anogwith ci porta in Nigeria, uno dei più ricchi mercati cinematografici d’Africa, talvolta soprannominato Nolliwood. I film di questa parte del mondo sono una miscela di contrasti: l’estetica del mondo occidentale esplode a contatto con la realtà locale.
La questione dell’identità viene sollevata anche nelle proiezioni raccolte da Sergio Edelsztein che a sua volta, presenta opere di artisti israeliani. Lavorando in quel paese è difficile sfuggire all’onnipresenza della politica, dato che per gli israeliani il conflitto è una realtà quotidiana. Nelle proiezioni non si vedono solo gli estremismi nazionalisti o religiosi, ma anche le differenze di tradizioni che dividono la società israeliana. Presentare il rapporto tra politica e arte attraverso la videoarte – va detto – è un’ottima scelta: nessun’altra forma d’arte ha un’evoluzione altrettanto dinamica e riesce a rappresentare tanto accuratamente la realtà quando la videoarte.
Michal Rovner, <i>Fresco Scene</i>, 2014, video projection
Michal Rovner, Fresco Scene, 2014, video projection, installation view in the Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy of the artist. Photo: Wojciech Olech
Questa mostra nella mostra – chiassosa polifonia di proiezioni – culmina in un monumentale affresco video intitolato Cracks in Time (“Crepe del tempo”) di Michal Rovner. L’artista israeliano, autore di un’installazione personale al Louvre, ha creato l’opera appositamente per la mostra di Toruń. Presenta uno dei suoi stilemi più noti: le silhouette di persone che si tengono per mano. Centinaia di righe di ‘catene umane’ danno l’impressione di una scrittura mobile. Non sono personaggi creati dal computer ma persone vere registrate dall’artista. Si vedono quindi migliaia di persone che si muovono verso l’infinito: il cammino della vita, il transeunte. La catena umana è afflitta dalle crepe cui fa riferimento il titolo: disastri? Guerre? Il vento impietoso della storia? Questa bella opera melanconica è comunque ricca di una dose di speranza di rinascita continua. Il corteo dell’umanità continua la sua marcia.
Mirosław Bałka, <i>Knocking</i>, 2014
Mirosław Bałka, Knocking, 2014, veduta dell'installazione, Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy l'artista. Photo: Wojciech Olech
Arena di Dobrila Denegri è un laboratorio sperimentale dotato di una rilevante componente narrativa. L’arte non può sfuggire alla politica, come diceva Pericle: “Se non ti interessi di politica non vuol dire che la politica non si interessi a te”. La panoramica universale della curatrice sul complesso problema del rapporti tra arte e politica ha dato vita a una mostra che esprime un messaggio chiaro con un’abile regia. La mostra è scevra da ogni banale sensazionalismo e da ogni amplificazione della volgarità in arte e in politica.
Mona Vătămanu & Florin Tudor, <i>Appointment with History</i>, 2008
Mona Vătămanu & Florin Tudor, Appointment with History, 2008, veduta dell'installazione al Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy gli artisti. Photo: Wojciech Olech
Quella che Denegri ha creato a Toruń è un’arena vera e propria: la mostra è accompagnata da un ampio programma di conferenze, laboratori e dibattiti, con la presenza di artisti e di curatori di ogni paese. Inoltre la mostra ha una sua appendice – Il silenzio di Marcel Duchamp è sopravvalutato – ancora una volta riferita alle opere di Beuys e alla sua critica alla passività dell’arte di fronte ai problemi sociali: ogni mese Piotr Lisowski, curatore di questa mostra collaterale, invita un giovane artista polacco a creare un’opera dedicata all’esclusione sociale, alla manipolazione, all’anarchia e alla sopravvivenza.
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Adelita Husni-Bey, <i>Postcards from the Desert Island</i>, 2010–2011
Adelita Husni-Bey, Postcards from the Desert Island, 2010–2011, veduta dell'installazione, Centre of Contemporary Art Znaki Czasu, courtesy l'artista. Photo: Wojciech Olech

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