Alla Biennale 2024 non perderti questi 10 padiglioni

Tra Giardini, Arsenale e centro storico è facile perdersi a Venezia, nella vastissima Biennale d’Arte di quest’anno. E perdere tempo: per evitarlo, ecco la nostra guida con la mappa dei padiglioni immancabili.

di Giorgia Aprosio e Carla Tozzi con Alessandro Scarano

La 60ª Esposizione Internazionale di Venezia, curata da Adriano Pedrosa e intitolata “Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere”, ha finalmente aperto, prima a stampa e addetti del settore, e dal 20 aprile al pubblico.

Come abbiamo anticipato qui, la mostra è divisa per la prima volta in due parti: un “Nucleo contemporaneo” con artisti del nostro tempo e un “Nucleo storico” con opere del XX secolo provenienti da diverse regioni del mondo.

Il tema scelto, “Stranieri Ovunque - Foreigners Everywhere”, esamina i processi che portano a definire l’altro come “straniero”, inteso come estraneo, impegnandosi a restituire la diversità con una particolare attenzione a quelle che storicamente troppo a lungo sono state considerate “culture altre”.

Padiglione centrale. Courtesy La Biennale

Particolare attenzione è quindi dedicata al tema decoloniale con lo spoiler che arriva già all’ingresso con la facciata del Padiglione Centrale dei Giardini completamente dipinta dal collettivo indigeno Mahku, un intervento che sicuramente verrà ricordato come il manifesto dell’edizione firmata da Pedrosa.

L’inclusione di molteplici collettivi, e con questi di un modo di pensare all’arte in maniera condivisa, talvolta diffusa e rizomatica, è un altro dei fili conduttori che lega gli artisti presentati. Più che concentrarsi sul delineare le massime eccellenze nazionali, il curatore sembra aver messo a punto una coerente operazione tematica su larga scala che comincia con la selezione degli artisti e passa attraverso un fitto programma di interventi performativi. Un notevole cambiamento, con un risultato che ricorda più l’ultima Documenta 15 che la Biennale d’arte come l’avevamo lasciata.

Se si è stranieri ovunque, non si è a casa in nessun posto e forse dappertutto: la riflessione sulle strutture dell’abitare è uno dei tanti temi che attraversano questa Biennale.

Tra le eccellenze di questa edizione, la quadreria collocata alle Corderie dell’Arsenale che ospita, tra gli altri, opere di Aligi Sassu, Domenico Gnoli, Mario Tozzi e Simone Forti. Le opere sono montate sui celeberrimi cavalletti di vetro disegnati da Lina Bo Bardi,  organizzati in mostra con la stessa modalità con cui solitamente vengono presentati in quella che è un pò “la casa” di Pedrosa, Direttore artistico della collezione permanente del Masp di San Paolo.

Courtesy La Biennale

Se si è stranieri ovunque, d’altronde, non si è a casa in nessun posto e forse dappertutto: la riflessione sulle strutture dell’abitare è un altro dei tanti temi che attraversano questa Biennale, a partire dall’iconica casa mobile “Topak Ev” di Nil Yalter posizionata all’ingresso della mostra centrale; passando per le Corderie, con la struttura di tessuti indaco di Antonio Jose Guzman e Iva Jonkovic e la grande architettura “Aguacero” dell’artista Daniel Otero Torres, che tratta il tema dell’approvvigionamento idrico in America Latina, e il padiglione “altro” pensato per i Giardini dall’artista Sol Calero.

Con circa 90 paesi coinvolti, ai quali si aggiungono 30 eventi collaterali e 332 artisti in mostra, la Biennale d’Arte si conferma una rassegna ampissima e diffusa, in grado di far venire il mal di piedi anche al migliore dei podisti. A cui si aggiungono gli eventi collaterali, le performance, le mostre organizzate da musei e gallerie che contribuiscono a trasformare la Laguna in un vero e proprio think tank a cielo aperto. Scarpe comode, qualche anticipazione e la lista dei 10 padiglioni assolutamente da non perdere sono gli elementi essenziali per chiunque si avventuri a scoprirla da qui al 24 novembre 2024.

1. Lussemburgo, A comparative Dialogue Act

Piastrelle metalliche con incise le note espositive sono posizionate sopra grandi altoparlanti che fanno vibrare delicatamente la superficie all’arrivo delle onde sonore. Il padiglione Lussemburgo è un’infrastruttura per la trasmissione del suono. Le quattro pareti - che sarebbe meglio chiamare ‘muri sonori’ - sono l’elemento centrale dell’intervento realizzato dall’artista Andrea Mancini e dal collettivo Every Island.

Queste particolari pareti fungeranno da strumento durante le performance che attiveranno lo spazio nel corso della Biennale e, quando nessun artista è presente, riprodurranno una libreria di suoni registrati e brani realizzati durante le residenze. Il progetto prevede un programma di residenze d’artista che trasformerà ciclicamente lo spazio in un luogo di produzione artistica attraverso la collaborazione inedita tra quattro artisti emergenti di diverse provenienze: la musicista e performer spagnola Bella Báguena, l’artista transdisciplinare francese Célin Jiang, l’artista turca Selin Davasse e l’artista svedese Stina Fors.

2. Giappone, Compose

Una struttura fatta di tubi e cavi intrecciati corre lungo l’intero spazio del padiglione disegnato dall’architetto Takamasa Yoshizaka nel 1956: ispirata dagli espedienti adottati nelle stazioni della metropolitana di Tokyo per fermare le perdite d’acqua, Yuko Mohri presenta due opere che fanno della cooperazione il fulcro del suo progetto per la Biennale di quest’anno, con l’idea che far fronte alle emergenze e alle crisi del mondo contemporaneo possa essere motivo di ingegno e creatività.

L’intero spazio è inondato da odori, luci e suoni generati dagli elettrodi inseriti in alcuni frutti, che riescono a convertire l’umidità in impulsi elettrici. L’intensità della luce e dei suoni si affievolisce man mano che i frutti avvizziscono e iniziano il processo di decomposizione. Tutto intorno il gocciolio del sistema di tubi genera un senso di movimento continuo, in uno spazio che sembra godere di vita propria.

3. Francia

Uno spazio acquatico, nel quale muoversi come in una danza, immergendosi totalmente nell’immaginario poetico di Julien Creuzet (Parigi, 1986): il Padiglione Francia si trasforma in un luogo d’incontro, in cui confluiscono storie, simbolismi e tradizioni, riferimenti a una geografia fluida che dalla Martinica - paese in cui l’artista ha vissuto per molti anni prima di tornare a Parigi per intraprendere gli studi artistici - guarda verso l’Africa, risuonando tra le onde della laguna veneziana.

L’installazione conta più di ottanta sculture, fitte reti colorate sospese all’interno delle sale del padiglione e presenze marine fitomorfe fluttuano nell’aria mentre sullo sfondo, all’interno di grandi schermi, si muovono creature divine che invitano i visitatori a lasciarsi trasportare in questo luogo lontano, dove riconciliarsi con i propri sensi.

4. Paesi Bassi, The international celebration of blasphemy and the sacred

The International Celebration of Blasphemy and the Sacred, CATPC, Renzo Martens, Hicham Khalidi, 2024. Foto Peter Tijhuis

Il progetto del padiglione olandese non è solo un’intenzione, un’ispirazione, ma una realtà che parla di decolonizzazione in maniera concreta. Il collettivo Catpc raccoglie artisti congolesi che lavorano nelle piantagioni e che attraverso la creazione e vendita di opere d’arte, sono riusciti a riappropriarsi delle proprie terre, trasformandole in sistemi agroforestali. Le sculture in mostra sono realizzate con argilla proveniente dalle foreste secolari situate nei pressi di Lusanga nella Repubblica Democratica del Congo, e poi rilavorate con olio di palma e cacao ad Amsterdam.

La denuncia di Catpc riguarda necessità di una presa di coscienza da parte delle istituzioni d’arte rispetto alla provenienza dei finanziamenti che le sostengono, evidenziando il paradosso per cui le multinazionali che sfruttano i lavoratori nelle piantagioni siano anche promotrici di progetti a sostegno dell’arte e della cultura.

5. Australia, kith and kin

“kith and kin” è un memoriale dedicato a ogni essere vivente che abbia mai vissuto che parte dalla personale storia genealogica dell'artista Archie Moore. Si tratta di un vasto grafico genealogico disegnato a mano che mostra i suoi collegamenti con le Prime Nazioni, abbracciando più di 2.400 generazioni e 65.000 anni. Il fragile intervento, che si estende fino al soffitto del padiglione, ricorda una mappa celeste degli antenati Kamilaroi e Bigambul ed è realizzato in gesso su pareti di lavagna.

Il grafico rappresenta al contempo una cruda rappresentazione del declino delle lingue e dei dialetti australiani delle Prime Nazioni andati persi sotto la colonizzazione: nello schema appaiono chiari i momenti di cancellazione tra i nomi che corrono paralleli alle atrocità inflitte alle comunità delle Prime Nazioni. I termini “kith” e “kin”, scelti come titolo dell'esposizione, sono oggi usati in coppia per indicare genericamente “amici e parenti”, così come i nomi degli antenati di Moore, anche loro hanno perso nel corso del tempo l’antica accezione legata ai concetti di “conterraneo” e di “terra d’origine”.

6. Repubblica Ceca, Il cuore di una giraffa in cattività è dodici chili più leggero

Il padiglione della Repubblica Ceca presenta per la prima volta in Italia il progetto "Il cuore di una giraffa in cattività pesa dodici chili in meno" dell'artista Eva Koťátková. L’intervento artistico racconta la storia di Lenka, catturata in Kenya nel 1954 e trasportata allo Zoo di Praga, dove divenne la prima giraffa cecoslovacca. Lenka sopravvisse alla cattività solo due anni e anche dopo la morte rimase oggetto di sguardi curiosi. Il suo corpo sottoposto a tassidermia fu donato al Museo Nazionale di Praga, dove rimase esposto come semplice artefatto museale fino al 2000. L'intero progetto nasce e si sviluppa in un'ottica collaborativa: l'artista ha lavorato in collaborazione con Himali Singh Soin, David Soin Tappeser (Hylozoic / Desires), Gesturing Towards Decolonial Futures e gruppi di bambini e anziani.

All’interno del padiglione, lo spettatore è invitato ad entrare e sedersi in tunnel realizzati in tessuto che rappresentano grosse sezioni del corpo di Lenka. Al loro interno una serie di voci registrate racconta delle molteplici pieghe che avrebbe potuto prendere la sua storia, ripensando possibili scenari e affrontando il tema della violenza tra specie attraverso voci di bambini, educatori ed anziani.

7. Italia, DUE QUI / TO HEAR

L’ascolto come incontro, e quindi come possibilità di miglioramento di sé stessi nella propria comunità: l’opera di Massimo Bartolini per il padiglione Italia parla alla sensibilità di tutti, lo fa con un invito a fermarsi, a considerare il momento della riflessione come necessario per comprendere il qui e ora.

La scarna struttura dell’edificio dialoga direttamente con il sofisticato progetto curato da Luca Cerizza, pensato seguendo una tripartizione dello spazio, che si apre ai visitatori con la figura mistica del Pensative Bodhisattiva, in un tempo sospeso, rafforzato dal suono della canna d’organo invisibile che crea un continuum con lo spazio principale della Tesa 1. Qui, risuona la composizione scritta da Caterina Barbieri e Kali Malone, in un luogo abitato da una enorme struttura di tubi innocenti percorribile in diverse direzioni, che custodisce al centro una scultura circolare, animata da una pulsazione continua, luogo d’incontro e di meditazione. All’uscita, il Giardino delle Vergini accoglie la composizione di Gavin Bryars, suggerendo nuove relazioni tra uomo e ambiente.

8. Taiwan, Everyday War

Una sala buia e un enorme schermo accolgono il visitatore dopo la rampa di scale al palazzo delle prigioni. Scorrono le immagini di Taipei, ripresa dall'alto, con cinque videocamere aeree, completamente deserta: le strade, i ponti, gli edifici, non c'è presenza umana. Non è Cgi, non è staged: è l'annuale esercitazione del Wanan Air Drill, un assaggio di una guerra annunciata, protagonista dell'opera video a canale singolo Everyday Maneuver di Yuan Goang-Ming. L'artista taiwanese esplora l'ingresso paradossale e crudelissimo della guerra nella normalità delle vite, e lo fa con i video e le installazioni, spesso combinate. Imperdibile Prophecy, un tavolo apparecchiato Ikea ma senza pietanze, dove posate e stoviglie tremano al suono sincopato delle esplosioni.

9. Serbia, Exposition Coloniale

Aleksandar Denić, Exposition Coloniale, 2024. Courtesy Aleksandar Denić

Oltre alla storia ufficiale della memoria, esiste una storia non ufficiale del ricordo. Da questa premessa nasce la mostra "Exposition Coloniale", presentata dalla Serbia alla Biennale di Venezia del 2024. Mentre la facciata del padiglione presenta la monumentale scritta “Jugoslavia”, richiamando una nazione che si è dissolta geopoliticamente a seguito dei conflitti devastanti degli anni Novanta, gli spazi interni sono trasformati negli scenari dei ricordi dell'artista multidisciplinare Aleksandar Denić, da tempo trasferitosi dalla Serbia in Germania.

L'intervento immersivo di Denić evoca suggestioni non chiaramente riconducibili a un luogo o a un tempo specifico, ma piuttosto modelli familiari facilmente identificabili da tutti, inducendo negli spettatori una sensazione di déjà vu. Dalla porta di una sauna emerge vapore, un telefono squilla a cadenza regolare alternandosi al flash di una cabina fotografica. Nella cucina, dei souvenir abitano un acquario senza vita. Manipolati, modificati e costruiti in modo simile a un set cinematografico, gli ambienti del padiglione rievocano un'identità personale e nazionale ormai perduta.

10. Nigeria, Nigeria Imaginary

Nigeria Imaginary at the Nigeria Pavilion at the 60th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia. Courtesy La Biennale

La Nigeria ha scelto un palazzo cinquecentesco nel cuore di Dorsoduro, Palazzo Canal, come sede del proprio padiglione per la Biennale di quest’anno, il cui progetto è stato ispirato dalla storia dell’Mbari Club, un centro culturale fondato nel 1961 a Ibadan da Ulli Beier, punto di riferimento per gli artisti africani, tra i quali anche Wole Soyinka e Chinua Achebe. Proprio come l’Mbari Club, il progetto curato da Aindrea Emelife si propone come un luogo di confronto e laboratorio di idee, attraverso le opere di otto artisti che sperimentando con media diversi - pittura, scultura, installazioni multimediali, realtà aumentata - tracciano un discorso che a partire dall’elaborazione del passato pone le basi per la Nigeria del futuro.

Immagine di apertura: The International Celebration of Blasphemy and the Sacred, CATPC, Renzo Martens, Hicham Khalidi, 2024. Foto Peter Tijhuis

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