Parreno: Hypothesis

Curata da Andrea Lissoni all'HangarBicocca, la prima antologica italiana dell’artista francese si lascia percorrere nell’oscurità, per almeno due ore tonde, in uno stato di vigile attesa.

Philippe Parreno
La luce albina di un freddo mezzogiorno artico si distende lungo i muri dell’HangarBicocca di Milano come sopra un grande parasole nero. Il sole è un sole cereo, che arde d’inusitata fiamma, generando una trasvolata di onde proiettate, lenta di movenze, che si ripete con semplice meccanismo e varia frequenza entro un dato intervallo di tempo.
Philippe Parreno
In apertura: Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano. Above: Philippe Parreno, Danny the Street (2006-2015), dettaglio. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Figurine nere sciamano senza affrettarsi entro un grande schermo bianco, immacolato come la superficie della Luna in una notte di plenilunio, prima di affondare, senza preavviso, in una plumbea oscurità. Al di là, tutto il celeste dei precari palazzoni di Kiefer. Un pianoforte a coda esala un effluvio di note dolcissime. Le corde pizzicate da falangi vellutate, invisibili. Voci aliene vibrano altere, sintetiche. Da una parete vuota e scura fa capolino, come un’apparizione, una qualche immagine conturbante: una seppia mastodontica dalle squame iridescenti, l’acerbo volto di una giovinetta dai capelli e le orbite viola, un radioso nugolo di lucciole. Di tanto in tanto, irrompe inaspettato lo scroscio tonante di un acquazzone. Lo squillo argentino di un telefono. Il fiato di Marilyn Monroe.
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Questa ultima età dell’esperienza umana – automizzata, robotica, inorganica – evocata da Philippe Parreno con la mostra “Hypothesis”, prima antologica italiana dell’artista francese che, per forza del proprio nome, richiama alla mente “Hypnosis”, la recente esposizione allestita questa estate nella Wade Thompson Drill Hall di Park Avenue Armony, a New York – scava in chi la visita un singolarissimo senso di estraneità, di passare come inosservato, sconosciuto. Per tutto dove si allunghino gambe o braccia, lo spazio espositivo prende una consistenza siderale. La stella di Another Day with Another Sun (2014) – un fascio di luce traghettato da una rotaia sospesa che attraversa, da parte a parte, la navata del museo – scende adagio verso il tramonto, risale su ed è l’alba, di nuovo s’abbassa a ponente. Le diciannove bianche sculture in plexiglas dai luccichii intermittenti di Danny the Street (2006-2015) – una fantomatica Via Lattea di Marquees allineate, di quelle che un tempo si usava trovare all’entrata dei teatri, soprattutto statunitensi, con sopra i titoli degli spettacoli – levitano a diverse altezze dal suolo, come piccole astronavi parcheggiate.
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Allo stesso modo, restano sospesi, in orbita, i sette solidi in plastica trasparente, lattiginosi e come soffusi di nebbia, che formano Set Elements for Walkaround Time (1968) di Jasper Johns: un graspo di elementi di scena con tutte le vaghe figure del Grande Vetro di Duchamp stampigliate sopra (realizzato in origine per una pièce di Merce Cunningham), la cui carica d’impenetrabilità pare disporsi naturalmente lungo le rotte galattiche tracciate da Parreno. “Hypothesis” si lascia percorrere così, nell’oscurità, con il naso all’insù, per almeno, diciamo, due ore tonde, in uno stato di vigile attesa. Ha un che di anguillesco, d’imprendibile – esagerando un pochino, di sovversivo. Casse e riflettori rispondono a una coreografia ben oliata e oleosa, fluida, sorretta da una semplice tastiera Master Keyboard. Dal buio pesto germoglia un accordo, una melodia, una vibrazione tanto potente da riempire una cattedrale, che si rimbocca, ci raggiunge, ci sospinge, ci travolge. Poi si frantuma, si disperde. Un battito di ciglia, e il buio si fa luce. E in questi aspri passaggi dal buio alla luce, e dalla luce al buio, si resta come intontiti e si deve riaggiustare la vista ogni volta.
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Lungo Danny the Street s’annidano nove tra i film più apprezzati di Parreno – c’è chi si siede, rimanendone assai rapito, e chi continua a vagolare prediligendo una visione per frammenti. Lentamente affiorano immagini cariche di ambiguità e malia: la selenitica Annlee di Anywhere Out of the World (2000); il mollusco oversize di Alien Seasons (2002); le spire di coleotteri di With a Rhythmic Instinction to be Able to Travel Beyond Existing Forces of Life (2014); l’interminabile festino di Snow Dancing (1995); l’inaccessibile altura di Mont Analogue (2001); il profilo d’un bue e le lanterne infuocate di The Boy from Mars (2003); le creature mostruose e gli stretti budelli della Chinatown newyorkese di Invisibleboy (2010-15). E poi, gli interni lustri e asfissianti del Waldorf Astoria, depositati nelle pupille di Marilyn (2012), la sua robotica grafia stilé, la sua lingua genuina… È invece una folla in trance, ammaliata della chimera di un pianista inesistente, a muovere i fili del più recente filmThe Crowd (2015), le cui alienate figure infradiciate di luce porporina, accosciate o bell’e tirate sul pavimento, hanno indirizzato la campagna promozionale della mostra.
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Nato nella città portuale di Orano, in Algeria, Philippe Parreno è un signore molto contegnoso con certe idee balde e potenti. Quando comincia il vento della sua arte, all’inizio degli anni Novanta, anziché firmare opere concluse e recluse nella propria immagine (Fleurs, del 1987, è un comune bouquet di fiori stracotto in un’inquadratura fuori fuoco; C’est une oeuvre d’art pendant onze mais de l’année et en décembre c’est Noël, del 1993, è un disadorno albero di Natale; Speech Bubbles, del 1997, è una nube di bigi palloncini a forma di fumetto), s’interessa – complice Daniel Buren – alle forme di produzione, esibizione e godimento che queste chiamano in causa. Bada molto, pure, da subito, al tema dell’autorialità e del copyright (qui merita ricordare il significativo progetto No Ghost Just a Shell, del 1999-2003, ideato con Pierre Huyghe). Soprattutto, non concepisce il suo lavoro se non in combutta con altri. Prova ne è uno dei suoi primi video, Ou (1996), una clip di 20 secondi in cui si vede una giovane con addosso una t-shirt di Topolino, seguita da 6 minuti di elencazione di tutte le persone, le idee, gli agganci che hanno portato alla creazione dell’opera.
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
“Hypothesis” conta su un rosario di nomi ugualmente esteso. Liam Gillick ha avuto parte attiva nella creazione di Another Day with Another Sun; Tino Sehgal ha contribuito con una traccia audio, e così Antony Hegarty, degli Antony and the Johnsons. Gli assolo di pianoforte sono di Mikhail Rudy. La direzione musicale di Nicolas Becker, le arie delle Marquees di Agoria, Ranjana Leyendecker, Robert AA Lowe, Mirwais, Thomas Bartlett. Altri crediti ingrossano questa lista. Andrea Lissoni, curatore della mostra, andrebbe promosso a generale a cinque stellette per il bel lavoro fatto. Pure, tra i compositori che hanno concorso alla tentacolare coreografia messa in piedi da Parreno, figurano anche alcuni disc jockey, e moltissimi sconosciuti. Perché accade che, di tanto in tanto, la spina dorsale di “Hypothesis” venga torta dal brusco irrompere, a sorpresa, delle alte frequenze di una radio nazionale, sulle cui onde sonore l’esposizione naviga per alcuni secondi. All’improvviso la luce s’accende. Le pareti del museo si denudano d’ogni parato, prestandosi a precario rifugio di una incontrollata folata di canzoni, jingle, risa sguaiate, futili ciance. L’effetto è quello di una baraonda da mercato. 
Philippe Parreno
Philippe Parreno “Hypothesis”, vista della mostra all'HangarBicocca, Milano. Per gentile concessione dell'artista; Pilar Corrias Gallery; Gladstone Gallery; Esther Schipper; Fondazione HangarBicocca, Milano
Fiotti di voci scollacciate portano in scena lo spettacolo più spicciolo e improvvisato del cantante che promuove il suo ultimo disco, della réclame di un dentifricio portentoso, del notiziario delle sei. Uno spettacolo carico di tanta verità umana e di così temibile mediocrità, che non va a intoppare con gli astrali architravi della mostra ma, anzi, aggiunge alienazione ad alienazione. Una bimbetta a nome Sally, ci fa sapere il deejay Riccardo Ciulli, oggi compie gli anni. Immersi negli ovattati spazi stellari di Parreno assistiamo al tradizionale spegnimento delle candeline, Fffffff, con un certo distacco, un po’ come il Dr. Floyd di 2001: Odissea nello spazio presenziava, con scarso entusiasmo, da un’astronave a milioni di miglia dalla Terra, al compleanno della figlioletta. È poi la volta di uno scienziato che, senza troppi complimenti, raschia via ogni certezza sull’universo. Tanto per dirne una, non è buio. O meglio, lo è per noi umani. Ma i granchi, ad esempio, lo vedono radioso. Pufff. Le luci si smorzano. La radio tace. La galassia “Hypothesis” si rimette in moto. Scende la notte. Ma dopo pochi minuti, è di nuovo l’alba. Un’alba chiarissima, da illuminare l’universo. E ci si sente un po’ uomini e un po’ granchi.
© riproduzione riservata

fino al 14 febbraio 2016
Philippe Parreno Hypothesis
HangarBicocca
via Chiese 2, Milano

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