Glaucocamaleo

Glaucocamaleo è il primo lungometraggio di Luca Trevisani. Presentato all'ultima edizione del Festival del Cinema di Roma nella sezione dedicata di CinemaXXI, il prossimo 22 marzo sarà oggetto di una mostra personale dell'artista al Museo Marino Marini di Firenze.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo
La visione complessiva del film di Luca Trevisani non è data solo dal succedersi delle sequenze, ibride, fantascientifiche, ma dal percorso che ogni ripresa di oggetto, luogo e suono intraprende, accostando set artificiali a paesaggi naturali, legati da un'unica voce narrante: quella di Kary Mullis.
Il biochimico statunitense dalle visioni tutt'altro che ortodosse, si chiede cosa ci sia là fuori da misurare. Tutto c'è là fuori e tutto subisce spostamenti e micro cambiamenti, come questo film che nella trasformazione, nella mistura di linguaggi cinematografici, costruisce il proprio tessuto narrativo e la propria potenza visiva. Ma dove siamo? Dove si manifesta questa natura, in quali sotterranei, scanalature e solchi defluisce l'acqua, elemento protagonista di questa dimensione? Proviamo a immaginare di ri-descrivere alcune scene di Glaucocamaleo, a partire dai paesaggi originali in cui hanno trovato forma e concepimento.

Martina Angelotti: La prima apparizione di un ‘paesaggio’, mi è stata suggerita dalle prime battute dei due attori. Con il racconto il paesaggio prende forma, viaggiando sulla terra velocissimo, attraversa spazi multiformi e si materializza in vario modo. Ogni luogo assume la propria funzione, in termini di immaginazione e di usabilità. Ho sentito pareri discordanti sulla prima scena del film: troppo narrativa, troppo fiction, troppo recitata, avulsa, criptica, imperscrutabile. Credo che la scelta di mettere due attori in apertura, sia utile per contestualizzare l'ambiente/cinema, il formato e il linguaggio/cinema: un espediente che si fa carico della tradizione, che riattiva i codici della forma narrativa, che fa presagire un inizio di racconto che non si deve ‘capire’ ma soprattutto ‘visualizzare’.

Luca Trevisani: Sono felice di quanto dici, incarna le mie intenzioni, e se ti sono arrivate, allora la cosa funziona. L'inizio è un punto volutamente ostico, abbastanza ambiguo, deliberatamente non risolto. Tutto il film gioca con registri differenti, è come l'incastro di formati linguistici e codici diversi uniti in una convivenza forzata, che produce senso, ma senza però definire una direzione univoca. È una gioiosa coesistenza rumorosa.

Quello che rende Glaucocamaleo un film, e non un esperimento di video arte, o un video di lunga durata, è proprio questo tentativo di produrre senso tramite tanti diversi codici, metodi e linguaggi che sono stati usati, piegati, distorti per soddisfare le esigenze comunicative. La tradizione è usata, con leggerezza, e nel dialogo è proprio il lavoro sonoro, come in tutto il resto del film, a esplicitare la ‘costruzione’ artificiosa e irrealistica. Il missaggio audio è importante come la location, entrambi sottolineano quanto l'inizio sia una bolla onirica e astratta, plausibile come un cantante in playback che muove le labbra fuorisincrono. Il film inizia con un dialogo, per poi diventare un racconto svolto dalle immagini e dalla voce che si fa sempre più mentale, fino a sciogliersi in un flusso simbolico, in una giungla di segni da attraversare senza timori.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo
Luca Trevisani, Glaucocamaleo, location 1. Fotografia Francesco Mariani

M.A.: Interno 1. Casca una fialetta di vetro, esplode a terra a apre a un nuovo luogo. La macchina da presa cammina adagio su un ponte di legno poi entra dentro un buco. Dove siamo?

L.T.: La grotta del passo del Furka è scavata nel ghiaccio. Viene scavata ogni anno, da fine ottocento, inizialmente per studi climatico metereologici, ora per scopi turistici.

Come molti luoghi scelti per Glaucocamaleo, non si tratta di location, di paesaggi, ma di scenari che per la loro storia, o per la loro conformazione, si mostrano e si comportano come sculture o ambienti che pensavo di realizzare. Una volta scoperti, mi sono limitato a visitarli con la macchina da presa, cercando di intervistarli, e come in ogni intervista che si rispetti ho dovuto pungolarli, spingerli a dire quello che sanno e che danno per scontato, facendo uscire allo scoperto il loro carattere, e il loro contenuto latente.

La Grotta esce direttamente dall'immaginario del viaggio esplorativo scientifico à la Jules Verne, è nata negli anni in cui si scrivevano le storie del capitano Nemo e si sognava di circumnavigare il mondo in ottanta giorni. Oggi questi sogni sono realtà, James Cameron (per rimanere nel cinema) ha esplorato la Fossa delle Marianne in solitaria, andando ben più in profondità del Nautilus, e sognando non meno di Melies.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Francesco Mariani
Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Francesco Mariani

M.A.: Interno 5. Acqua. A volte un fiume si nasconde e scivola sotto di noi L'acqua è un respiro senza tempo, non invecchia mai. La camera sbircia dentro la vasca di una piscina?

L.T.: Mi interessava costruire una mappa, un viaggio fatto raggiungendo luoghi che incarnino un ideale di futuro ormai remoto, un futuro che non si è realizzato, la cui spinta è scarica. Ne sono nate visioni da film sci-fi, come per le piscine del Museo dell'acqua di Reggio Emilia, che sembrano la base segreta della Spectre e invece sono delle vecchie fondamenta di un grattacielo di Marco Zanuso che avrebbe dovuto svettare in piena pianura padana, riadattate a bacino per l'acquedotto reggiano. La voce di Kary Mullis che recita “L'acqua è un respiro senza tempo, non invecchia mai“ illustra questo flusso costante, senza tempo, che dentro le vasche dell’acquedotto Reggiano si esplicita quando, attorno all'ora di pranzo, si vedono le vasche svuotarsi velocissimamente: sono le donne e gli uomini che consumano acqua lavando i piatti.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Francesco Mariani
Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Francesco Mariani

M.A.: Esterno/giorno. Neve. L'arrampicatore sale verso la cima della montagna portandosi appresso un triangolo zincato. Un oggetto che si impone sulla scena e detta il ritmo del passo (interno) e dello sguardo (esterno).

L.T.: Gli arrampicatori portano con se spicchi della cucina solare, che una volta montata, grazie alla forza del sole, scioglie la scultura di ghiaccio. Mi interessava allestire un flusso della materia che fosse inarrestabile, e ho seguito lo stesso principio per filmare il ciclo dell'acqua e per trattare gli oggetti, senza rispetto filologico per le fonti, le provenienze, le autorialità. La cucina solare è stata maltrattata sulla neve, i moduli di ghiaccio sono originariamente un gancio di Giogali, un lampadario di Angelo Mangiarotti, dalla cui forma abbiamo ottenuto lo stampo per i nostri ghiaccioli modulari. Se, come molti mi dicono, i film sono le mie sculture più riuscite, allora faccio bene ad applicare la logica e le leggi del montaggio anche alla materia che compone gli oggetti che realizzo, non trovi?

Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi
Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi

M.A.: Interno 4. Ghiaccio. Il ghiaccio è una macchina del tempo. È il passato dentro al presente. Una sequenza di ghiacci che si rompono, sbattono, si agitano l'uno contro l'altro, cambiano forme, si incendiano.

L.T.: Sono sempre stato affascinato da materiali e strumenti tecnici, siano queste serpentine per la distillazione o discensori e nuts da arrampicata; sono tutte cose che mostrano conoscenze molto specifiche, celate dietro forme misteriose e spesso decisamente belle, attraenti. Per questa scena ho scelto di bloccare nel ghiaccio i ramponi che ci permettono di camminarvi senza scivolare, in città come in alta quota. Ho spostato il baricentro dalla funzione all'estetica, costruendo delle forme di ghiaccio che abbiamo testato colpendole l'una con l'altra, in un set nero che era il frutto dell'astrazione tipica del laboratorio scientifico, e anche il ricordo di un'atmosfera vagamente sadomaso.

M.A.: Esterno/giorno. Specchi. Ho visto la fotografia di questa stessa location, alla mostra di Pierre Huyge a Parigi. Lui ci portava il pubblico per una perlustrazione psicogeografica. Che cosa c'è qui che non abbiamo visto, che non ha trovato la propria immagine riflessa?

L.T.: Gli specchi del film sono parte del più grande specchio ustorio oggi esistente. Si tratta della versione xxl di quella che si dice Archimede impiegò per bruciare le navi romane che attaccavano Siracusa. Lo specchio è un enorme disco concavo, composto da tantissimi moduli specchianti e funziona tramite una doppia riflessione. Lo specchio principale è immobile e davanti ad esso diecimila specchi sparsi sulle terrazze della collina antistante, rimbalzano la luce e la mandano allo specchio centrale, grande come l'arco di trionfo di Parigi. Questi ne concentra l'energia in un potente fascio di luce focalizzata, aumentando la temperatura in un'area poco più grande di un foglio A4, raggiungendo circa la metà della temperatura che si pensa si trovi nel nucleo della terra. Anche questo è un paesaggio da futuro remoto, un reperto dell'idea di futuro da anni Cinquanta, l'idea di tecnologia buona e salvifica da anteporre alla paura atomica.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi
Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi

M.A.: Un altro scenario è dato dalla componente sonora. Le tre dimensioni di suono, immagine e voce, permettono un processo di auscultazione del film.

L.T.: Una caverna nera in cui contano immagini in movimento e suoni. Il lavoro sonoro è fondamentale per il film, e decisivo per la video installazione. Il suono premette di passare da momenti dinamici e narrativi ad altri molto più statici, dove i suoni di presa diretta e i field recordings, la voce dei luoghi, permette di cambiare atteggiamento percettivo, spingendo a rallentare il proprio metabolismo, arrendendosi al paesaggio. Il suono esplicita la dicotomia che attraversa Glaucocamaleo, quella del fare, del costruire e quella dell'ascolto, della passività, del perdersi nel flusso delle cose.

Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi
Luca Trevisani, Glaucocamaleo. Fotografia Raffaele Marzocchi

M.A.: La scena finale è una triangolazione importante fra suono (elettronico), testo (la voce di Kary Mullis che fa suo il linguaggio) e immagine (l'oceano, ‘lei’, la visione dall'alto di un elicottero, i due mari che si abbracciano). Sembra quasi una sorta di sintesi del film, non credi?

L.T.: Non ci avevo pensato, ma messa in questi termini la fine è la sintesi delle tre anime del film, è vero. C'è la curiosità verso la vita della materia sviluppata da uno sguardo poetico che interpreta il mondo, mentre il suono raffredda il tutto, e porta da un'altra parte, apre altri scenari, rendendo il tutto sfuggente, sdrucciolevole.

M.A.: Da spazio cinematografico a spazio espositivo. La restituzione tridimensionale del film. Cosa succederà a Firenze nella tua prossima mostra? Com'è il luogo che ci porterai a visitare?

L.T.: Glaucocamaleo è una piattaforma di lavoro che si coagula in tre diversi stati. È un film, da vedere al cinema, in sala, seduti, è un libro di saggi dedicati ai luoghi di questo viaggio cultural-sentimentale, edito da Humboldt books, ed è una mostra. Al Museo Marino Marini, Glaucocamaleo si presenta come un ambiente cavo, una grotta buia animata da immagini e suoni, è come il lago sotterraneo che abbiamo visitato a Hinterbrühl, che pulsa e vive con immagini e suoni. Sarà un grande ambiente video, un ambiente dove stare, una scultura termica in cui calarsi, le cui suggestioni vanno registrate coi sensi, col corpo.

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