Sotto la strada, la spiaggia

Metà schedina di Totocalcio, metà seduta preliminare con un analista che non è il tuo, la visita alla mostra di artisti italiani che, ogni anno, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo fa organizzare ai tre curatori stranieri in residenza è sempre interessantissima e problematica.

In un'intervista recente, il direttore del settimanale Internazionale ha detto che una delle ragioni di successo della rivista è la rubrica Visti dagli altri, che ripubblica articoli esteri sulla situazione italiana. È comprensibile: l'immagine che hanno gli altri di noi è oggetto di curiosità, paura e sconcerto. Come è ovvio, questa immagine diverge dalla nostra immagine interiore: ma è impossibile, o doloroso, dire se la divergenza derivi da un fraintendimento, da una semplificazione o dalla chiarezza della prospettiva.

La stessa impossibilità si prova visitando la mostra di artisti italiani che ogni anno la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo fa organizzare ai tre curatori stranieri che invita in residenza. Nonostante ricalchi uno dei sintomi del colonialismo (mutuare dallo sguardo dell'altro la propria rappresentazione di sé), la visita è sempre interessantissima e problematica, metà schedina di totocalcio, metà seduta preliminare con un analista che non è il tuo.

La mostra di quest'anno, intitolata Sotto la strada, la spiaggia e curata da Benoit Antille, Michele Fiedler e Andrey Parshikov, ha inaugurato il 29 maggio nella sede torinese della Fondazione. Al di là dell'allusione politica del titolo al maggio francese, era difficile trovare un vero e proprio filo conduttore; essendo però a tema forzatamente generale (giovani artisti italiani) e a curatela multipla e non necessariamente concorde, questa mancanza era probabilmente inevitabile. Questi due fattori – la "estraneità" dei curatori e l'ambizione di esaustività della mostra – hanno contribuito a determinare tanto i punti più riusciti di Sotto la strada, la spiaggia, quanto le sue debolezze.
In apertura: Maria Pecchioli, <i>Versus Player</i>, 2012
In collaborazione con Alessandro Kraus. Installazione: technics 1.200 modificato, amplificatore, casse, tavolo, LP cover. Qui sopra: Danilo Correale, <i>Untitled (The future in their hands/ the visibil hand)</i>, 2011. Stampa cromogenica su carta, opera in 6 parti
In apertura: Maria Pecchioli, Versus Player, 2012 In collaborazione con Alessandro Kraus. Installazione: technics 1.200 modificato, amplificatore, casse, tavolo, LP cover. Qui sopra: Danilo Correale, Untitled (The future in their hands/ the visibil hand), 2011. Stampa cromogenica su carta, opera in 6 parti
La principale di queste ultime era probabilmente la stanza d'ingresso, dedicata al progetto Lago Morto di Nico Vascellari – una band di musica hardcore che l'artista ha fondato per tenere concerti-lampo, non autorizzati, in spazi della città di Vittorio Veneto abitualmente non dedicati alla musica, negozi, strade. Il progetto era presentato attraverso una serie di filmati dei concerti, che componevano una cacofonia frenetica e confusa nell'attraversamento obbligato dell'ingresso, immagini rapide e tendenzialmente sfocate, molto bootleg, accompagnate da una decina di tracce audio dal vivo in parallelo. Benché di grande impatto e di certo illustrativo del concetto generale della mostra, il progetto di Vascellari pareva poco interessante per chi già conoscesse la sua opera, che forse non aveva bisogno di tanto proscenio per dare ciò che ha da dare.
Tomaso De Luca, <i>100 heads of the hunter</i>, 2010. Disegni su carta
Tomaso De Luca, 100 heads of the hunter, 2010. Disegni su carta
Esattamente il contrario era vero dell'altra sala monografica, dedicata al torinese Angelo Castucci. L'intero spazio era dedicato a una satira, o a una riscrittura, del turismo. Back To Rome, progetto nato ripensando alla città abbandonata dall'artista dopo gli studi, era composto da una serie di fotografie, diapositive, cartoline e video di una Roma non monumentale né unica – periferie, parcheggi, giardini – ma trattata come se lo fosse. Le cartoline ritraevano palazzoni di appartamenti; le fotografie, raccolte in due album, mostravano due coppie nelle tipiche pose stereotipate ed esagerate del turismo, ma in luoghi che non ne giustificavano in alcun modo la pretesa di universalità. Ne risultavano immagini incongrue, esilaranti e al contempo disperate, che suscitavano una doppia interrogazione tanto sul comportamento del turista quanto sui meccanismi estetici e cognitivi che ne determinano i percorsi, e quindi la rappresentazione della città. Nonostante una moltiplicazione di forme a tratti faticosa (una serie di diapositive e un piccolo video affaticavano l'impressione d'insieme), il progetto di Castucci era incredibilmente ricco e suggestivo – e sorprendente nell'accostamento, per visibilità, a un artista molto più noto come Vascellari. In questo, probabilmente, l'intuito del nuovo analista funziona.
L'estraneità dei curatori e l'ambizione di esaustività hanno contribuito a determinare tanto i punti più riusciti della mostra, quanto le sue debolezze.
Nico Vascellari, <i>Lago Morto</i>, 2009
Nico Vascellari, Lago Morto, 2009
Nella stanza principale della mostra – insieme alle opere di una decina di artisti, fra cui spiccavano due sculture sarcastiche e delicate di Liliana Moro e un progetto fotografico-divinatorio di Danilo Correale, incentrato sul giuramento dei dirigenti al processo Lehman Brothers – colpiva l'installazione di Beatrice Marchi, altra scelta più o meno inattesa dei tre curatori: una piccola serra con tutte le piante necessarie a distillare lo Chanel N.5, uno dei profumi più costosi del mondo. Metà altare votivo, metà Jardin d'hiver di Broodthaers, e comunque esalante qualcosa della grazia della famosa essenza, il progetto di Marchi suggeriva una serie di equivalenze invisibili che poteva tanto innalzare le piante a qualcosa di benedetto dalle divinità del commercio, quanto degradare il raffinatissimo prodotto a mero succo di erbe. Il risultato, paradossale, era di far apparire un prodotto industriale, derivato dalla natura, come "originale" rispetto a un'opera d'arte che pure era composta degli elementi naturali alla base del profumo.

La mostra si chiudeva con un video poetico e malinconico, probabilmente la singola opera più riuscita dell'esposizione: mostra Ludovica Carbotta che per due ore è rimasta appoggiata con tutta la lunghezza del corpo a un lampione, a margine di una via, forse per estrema stanchezza, forse per il cupio dissolvi di entrare in permanenza nel paesaggio urbano, tutt'uno con una muta fonte di luce.
Beatrice Marchi, <i>N 5</i>, 2012. Installazione piante, lampade alogene
Beatrice Marchi, N 5, 2012. Installazione piante, lampade alogene
Fino al 5 agosto 2012
Sotto la strada, la spiaggia
A cura di Benoit Antille, Michele Fiedler, Andrey Parshikov
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
via Modane, Torino
Tony Fiorentino, <i>Removed some bricks from the street is a sign of revolution</i>, 2009. Documentazione di un'azione e 6 polaroid
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Francesco Arena, <i>Struttura articolata</i>, 2012. Carta stampata, sigari
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Mirko Smerdel, <i>
I vostri grattacieli</i>, 2010. Serie di 30 immagini digitali con testo, stampati su carta
Mirko Smerdel, I vostri grattacieli, 2010. Serie di 30 immagini digitali con testo, stampati su carta

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