Martial Raysse

La mostra di Martial Raysse a Palazzo Grassi dispiega un variegato pot-pourri di 350 opere aprendosi come una forbice su due date: 1958 e 2015, il capo e la coda di una carriera lunga quasi sei decenni.

“Penelope arriva a contatto con Ulisse / Lui le toglie la tunica con grande solennità / Sotto / Lei è in costume da bagno / [olimpi(oni)co]” (Martial Raysse, J’ai mille choses à classer…., in Collage, settembre 1966). Cosa ci può essere di più allettante e desiderabile di una spiaggetta di fine sabbia dorata frequentata unicamente da smaliziate vacanziere in bikini tutte risatine e pose ammiccanti? Se poi ci metti anche la musica soffusa di un juke-box d’annata il rapimento è totale. Esposta per la prima volta nel 1962 nella storica mostra “Dylaby” allo Stedelijk Museum di Amsterdam e oggi fulcro della retrospettiva di Martial Raysse ospitata dalla Fondazione Pinault a Palazzo Grassi, Raysse Beach è l’opera che mette meglio in risalto la singolarità della poetica dell’artista francese, nel suo connubio spettacolare di sofisticatezza e kitsch, esotismo e stereotipo, poesia e strip-tease.
Martial Raysse
In apertrua: Martial Raysse, Radieuse des nuages, 2012. 
Pinault Collection. 
Photo Pauline Guyon. © Martial Raysse by SIAE 2015. Sopra: Martial Raysse, Le Nécessaire de toilette, 1959
. Private collection, Houston
. Photo © Matteo De Fina. © Martial Raysse by SIAE 2015
La sua arrendevolezza – nulla è più conciliante dell’ondulazione debolmente cadenzata evocata da una marina o dal volto di una mademoiselle dalla tinta subtropicale – e al contempo la sua artificiosità (delfini e papere gonfiabili spiaggiati a fare il comodo loro, folte chiome fucsia, piante e petali di plastica) conferiscono a questa emblematica installazione quel particolare carattere di oggetto a un tempo svestito e travestito che informa di sé tutta l’arte di Martial Raysse. Tanto la nudità (il corpo denudato ma anche l’oggetto di consumo spogliato, “igienizzato” dalla sua contingenza) quanto la maschera (nel senso più esteso di camuffamento, moda, maquillage) sono presenze costanti nel lavoro dell’artista, sia che servano la causa della satira o quella del burlesque.
Martial Raysse
Martial Raysse: 
vista della mostra a Palazzo Grassi 2015 Photo © Fulvio Orsenigo
. © Martial Raysse by SIAE 2015
Martial Raysse nasce nel 1936 a Golfe-Juan Vallauris, centro balneare adagiato tra i più pittoreschi litorali della Costa Azzurra, le cui ambrate spiagge profilate di palme lussureggianti e donne a seno nudo emergeranno sempre dal fondo delle opere più riuscite dell’artista. Figlio di ceramisti, il giovane Raysse non manca di estro o vena poetica. Nel 1954 s’iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Nizza, città del Carnevale nota per aver dato degna sepoltura a Matisse e luminosi natali a Yves Klein e Arman (come Raysse esponenti di spicco del “Nuovo realismo” francese), ma al mestiere di scrittore preferirà presto quello di pittore, per raggiungere quel senso ultimo a cui, a suo dire, le parole non giungono. Dalle formule pittoriche dell’astrattismo a quelle plastiche dell’assemblaggio il passo è breve. Raysse inizia a setacciare le spiagge della costa nizzarda in cerca di detriti e rottami, che poi fonde nel camino di casa per ricavarne sculture spaziali à la Calder, che hanno la forma del vento, delle onde del mare, delle nuvole.
Martial Raysse
Martial Raysse, Raysse Beach, 1962. 
Centre Pompidou – Musée national d'art moderne, Paris. Vista della mostra a Palazzo Grassi 2015. 
Photo © Fulvio Orsenigo. 
© Martial Raysse by SIAE 2015
Nel 1959 la folgorazione sulla via dei magazzini Prisunic: la prosaicità di saponificanti da toilette, detersivi e margarine (emblemi della fioccosa società dei consumi) gli ispira il primo assemblaggio Hygiène de la Vision. “Volevo che le mie opere avessero l’evidenza di un frigorifero prodotto in serie”, dirà Raysse, “nuove, asettiche, inalterabili”. L’anno successivo è tra i nove firmatari del manifesto del Nouveau Réalisme, movimento tra le cui fila militerà con poca convinzione, allontanandosene presto per esplorare altri lidi. È questa l’epoca in cui l’arte non si crea, si trova. L’artista esalta virtù e temperamenti di oggetti del quotidiano quali che siano – cosmetici, medicinali, giocattoli, manichini – affibbiando loro immagini e simboli all’interno d’indecifrabili cosmogonie.
Martial Raysse
Martial Raysse, Ici Plage, comme ici- bas, 2012. 
Pinault Collection. 
Photo Arthus Boutin © Martial Raysse by SIAE 2015
Affogato in aspri colori aciduli e trasferito di quadro in quadro, il volto della prima moglie France (e poi di Brigitte Bardot, Catherine Deneuve, Sophia Loren) diventa l’immagine sferzante di un sopruso colto in riposo – la donna ridotta a nudo stereotipo dai mass media – cui Raysse inizia a volgere sempre più attenzione. Seguirà, più forte tra tutte le appropriazioni, l’utilizzo del neon – perfetta unione, secondo l’artista, delle cifre dell’arte con quelle della modernità – e, a partire dalle fosforescenti e narcotizzate odalische di Made in Japan, l’impietoso détournement dei capolavori della pittura classica. “Mi piace”, confiderà Marcel Duchamp a Pierre Cabanne nel 1967. “È molto difficile da capire perché le cose che fa sono piuttosto irritanti, per via di quella sgradevole luce al neon. Ma è destinato a rinnovarsi. O quantomeno a cambiare via via, anche se l’idea di fondo resterà sempre la stessa”.
Martial Raysse
Martial Raysse, Vol à jamais, 1972. Collection Marin Karmitz
. Photo © Matteo De Fina. 
© Martial Raysse by SIAE 2015
Gli anni a seguire avrebbero confermato il pronostico duchampiano. Nei decenni che vanno dalla rottura definitiva con il mondo ufficiale dell’arte, avvenuta nel 1970, all’asta del 2011 che lo consacrerà come “l’artista francese vivente più caro al mondo”, Raysse s’interesserà, più che al consolidarsi di un successo, al piacere momentaneo della sperimentazione, che nel suo lavoro si eleva sola e diritta, senza mai distendersi verso il coronamento di una maniera. Prova ne è questa esposizione a Palazzo Grassi, che dispiega un variegato pot-pourri di ben 350 opere aprendosi come una forbice su due date: 1958 e 2015, il capo e la coda di una carriera lunga quasi sei lustri, la cui interscambiabilità rimescola le carte e le stagioni, delineando una linea espositiva temporalmente scardinata, con avanzamenti e salti regressivi come quelli del gioco dell’oca.
Martial Raysse
A sinistra: Martial Raysse, D’une flèche mon cœur percé, 2008
. Collection Kamel Mennour
. Photo Fabrice Seixas. Courtesy the artist and kamel mennour, Paris. © Martial Raysse by SIAE 2015. A destra: Martial Raysse, La Belle Mauve, 1962 Musée des Beaux-Arts, Nantes
Ph: © RMN-Grand Palais, Gérard Blot © Martial Raysse by SIAE 2015
Una muta distesa di piccoli manufatti di tutte le età (sculture? feticci? talismani?) inonda l’ingresso come relitti depositati dall’alta marea (il colpo d’occhio è inebriante), mentre ai piani superiori soggiornano i più recenti dipinti e le sculture in bronzo e pasta di pietra ispirate alla statuaria classica, accanto agli storici assemblaggi e ai parodistici film sperimentali vecchi di mezzo secolo. E poi disegni, bozzetti, collage. A sprazzi pare di scoprire un’eco, una costante. Decifriamo parentele, complici intese. La sensazione è che tutto si collega e si risponde.
Occhi castani scintillanti di malizia, guance rosee, labbra ancor più rosa. Reclinata su una conchiglia di San Giacomo o pacchianamente imbellettata, la donna è qui presente in tutte le sue facce (vamp altezzosa, pudica adolescente, ninfa disinibita, donna-bambina, donna-dea, donna-gatto), a conferma dell’essenza femminile, giunonica del lavoro dell’artista. A detta della curatrice della mostra Caroline Bourgeois, “Raysse è affascinato dall’Altra, dalla Sconosciuta”, ed è proprio l’inconoscibile volto-totem delle “forme in libertà” degli anni ’60 (elementari silhouette in cartone, pellicola argentata, tessuto leopardato, cartapesta e piume di gallina) che, nel suo rifuggire ogni fisionomia o sembianza, instraderà subito Raysse sulla via dell’icona – e quindi dell’enigma, smarcando le sue donne sublimate dalle donne-idolo, tutta pelle, dell’arte Pop americana, a cui i più lo vogliono tesserato.
Martial Raysse
Martial Raysse, Re mon cher maître, 2007
. Private collection, Paris. 
Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais / Philippe Migeat © Martial Raysse by SIAE 2015
Considerato l’ultimo ventennio di attività, è nella pittura che Raysse si è impegolato con particolare frenesia, e su questo gli organizzatori della mostra hanno voluto porre più di un accento, com’è evidente dall’immagine scelta per la réclame (il volto femminile dal pallore lunare di Radieuse des nuages, del 2012) oltre che dall’elevato numero di dipinti esposti. Tra questi, è da appuntare l’enorme Ici Plage, comme ici-bas (2012), un’opera che se certo non rappresenta “l’ultima spiaggia” per l’artista azurée, sicuramente ambisce, a cinquant’anni da Raysse Beach, al manifesto o al testamento finale, accogliendo, all’interno del registro della grande narrazione, tutto uno spettacolo d’invasamento tipicamente rayssiano.
Piantonati lungo una sozza battigia, giovani gagà, ganze in minigonna, asceti, affabulatori, mocciosi, clown e vergini d’ogni colore (lividi, itterici, paonazzi) s’atteggiano vistosamente con una sostenutezza un po’ tracotante, o al contrario con un’affettata ritrosia e noncuranza. Da ciascuno parte un gesto, un richiamo, un ammicco. Sullo sfondo, un’immaginaria città costiera; osserviamo le immancabili palme in lontananza, un luna park, un combattimento, un cammello. Nel cielo ancora indugia la nube nera di un temporale. Su tutto e tutti aleggia una foresta di simboli e segni cifrati (la stella a cinque punte, l’uovo, la bandiera francese, il coccodrillo, il gatto). Inutile cercare un significato manifesto. “La pittura”, si limita a commentare l’artista, “deve rendere intelligibile il mondo. Non può ridursi al gioco reciproco delle forme”. È ancora l’arcano, verrebbe da dire, che domina la visione dell’ultimo Raysse. Ma anche la farsa e la messinscena. E allora non sembrerà assurdo immaginare che tra i bagnanti di Ici Plage possa farsi largo anche un’abbronzata Penelope in cerca del suo Ulisse, con il viso accaldato e il corpo strizzato in un costume da bagno all’ultima moda, naturalmente olimpi(oni)co.
© riproduzione riservata

fino al 30 novemnre 2015
Martial Raysse
Palazzo Grassi
Campo San Samuele, Venezia

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