Danh Vo: Go Mo Ni Ma Da

Con una replica in rame in scala 1:1 della Statua della Liberta, l'artista di origine vietnamita sembra essersi impossessato di un ampio spazio del Musée d’art Moderne di Parigi, dove attua la sua strategia personalissima di micro-conflitto visivi e letterari.

“10, 100, 1.000 Vietnam” fu uno degli slogan più duri dei movimenti di protesta degli anni Settanta. Cortocircuitava l’idea di resistenza a ogni disegno imperialista e profetizzava l’inasprimento virale della guerra in Indocina, dilatandolo nei conflitti sociali in ogni angolo del pianeta.

Danh Vo, artista vietnamita naturalizzato danese è nato nel 1974. A lui il Musée d’art Moderne di Parigi dedica un’incredibile mostra, curata da Angeline Scherf: un ampio spazio di cui l’artista sembra essersi impossessato, con la stessa volontà di moltiplicazione, dipanando una strategia personalissima di micro-conflitto visivi e letterari. Non solo. Quell’energia sembra essersi trasformata in una tecnica altamente personale, reinventando la grammatica della guerriglia poverista: un’operazione difficile, che raramente riesce, esclusivamente in caso di grande poesia civile.

Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris

L’artista ha una storia personale segnata dallo stesso terribile destino della sua regione e, come l’Indocina, Danh Vo carica le sue opere di riscritture che metabolizzano la negatività della tragedia umana. Sono racconti drammatici che riaffiorano continuamente nelle sale d’esposizione e, anche se non più d’attualità, rimangono importanti per decodificare le premesse creative del suo lavoro.

Danh Vo lasciò il Vietnam con il padre, su una barca salvata da un peschereccio danese, che li graziò entrambi dagli orrori della real-politik degli anni Settanta. Ecco perché tutti i suoi pezzi, sapientemente installati con rara pertinenza semantica, sembrano parlare ancora di scottante attualità.

Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris

Uno dei  lavori in mostra, per esempio, sembra parlare dello smembramento del welfare dei Paesi nordici. Anche risale al 2005, If you where to climb the Himalayas tomorrow si pianta come una scheggia nella realtà di oggi: ed è proprio questa atemporalità che si stempera e distende, di sala in sala, di reperto in reperto. È una strana e inquieta composizione da camera fatta di oggetti, carichi di un potere feticista in disarmo. Che si tratti della teca contenente gli effetti personali di marca che Phung Vo, il padre dell’artista, comprò al suo arrivo in occidente o dei reperti che arrivano direttamente dalla vendita all’asta di vestigia e mobilio appartenuti a Robert McNamara, capo di stato maggiore della Difesa americana durante la presidenza Kennedy, il risultato non cambia.

L’orologio Rolex, un accendino Dupont o un anello del servizio militare americano, piuttosto che due poltrone in stile Chippendale donate da Jacqueline Kennedy all’uomo politico americano vengono decostruite e trasfigurate dall’artista. Sono sì residui personali, ma diventano reliquie piuttosto anonime, modellizzazioni fuori dal tempo e da un’idea d’appartenenza.

Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris
Questa è una strana mostra, abitata da un mantra positivo che remixa millimetricamente non poco materiale. Ci sono le opere delle mostre recenti da Marian Goodman a New York o alla Douane di Chantal Crousel e ci sono persino pezzi già visti nel giardino delle Tuileries alla scorsa edizione della Fiac. Ma è proprio nel riattivare e reinstallare con sapienza qualsiasi tipo di materiale, che risiede il segreto dell’arte di Danh Vo. Tornano alla mente i suoi Fleurs d’interieur della sua residenza alla Kadist Foundation proprio qui a Parigi. C’erano le premesse seminali per questo lavoro. Vo è un maestro dell’accumulo selettivo e della ridefinizione di senso, impegnato a visualizzare con eleganza l’ideologia visiva del sistema percettivo dell’oggetto simbolico. Le splendide e banali scatole di cartone di bevande di ogni tipo rialzate in foglia d’oro, oltre al titolo indicano il peso in grammi del materiale impiegato.
Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris

Alludono al valore insito nell’interiorizzazione di una cosa. Infrangono la legge tautologica del ricalco e mimano la perfezione del processo simbolico, la meccanica del valore in arte si sovrappone ai movimenti dell’inconscio. Niente è più prezioso della pura significazione personale. Non è scomparso il Danh Vo che attraverso la serie ossessiva di matrimoni e successivi divorzi provava personalmente a ridiscutere  il concetto di libertà. Indagava nella codificazione cartacea o nella moltiplicazione di documenti, la moltiplicazione d’identità: patenti, passaporti o carte di credito. Ora attacca direttamente il livello simbolico strettamente regolato dalle istituzioni che può corrisponde al lavoro di frantumazione della Statua della Libertà.

La sua replica in rame in scala 1:1 viene ridisseminata in pezzi identici all’originale in luoghi diversissimi. Esattamente come la bizzarra e ideologica idea di libertà, nata dalla rivoluzione francese, dalla dichiarazioni d’indipendenza e dal liberalismo dominante fu resa iconica e forgiata da Bartholdi.

Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris
Dahn Vo reinvestiga la forma  del colossale, come quella libertà paradossale che si issa all’ingresso della porta d’immigrazione degli Stati Uniti verso l’Est ne ha regolato per più di un secolo i flussi di migranti. L’artefatto raggiunse New York in pezzi e con lo stesso processo di prefabbricazione ritorna come detrito di sculture moderne e povere che ritmano le sale del museo. Diventa però un memorabile Grand Canyon percorso da un rivolo di cartoni da imballaggio di acqua Evian accartocciati, composti in splendide teche e rialzati con l’oro. Una specie di fiume carsico come tutto il percorso interiore che Dahn Vo ci invita a intraprendere e che, per contingenza territoriale, ha intitolato Go Mo Ni Ma Da, storpiatura di Good Morning Madame
Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris
Dunque non solo una differente versione parigina del suo lavoro formalista che più propriamente chiama We the people (detail). Alla scomposizione della scultura di Bartholdi si affianca non poco materiale frutto di meditatissime  scorribande e acquisti in sala d’aste. Come potevano mancare, nella ville lumiere, i tre grandi lampadari che illuminavano le sale dell’antico Hôtel Majestic di avenue Kleber, dove, nel gennaio del ’73, furono firmati gli accordi di pace che posero fine alla guerra tra Stati uniti e Vietnam. L’artista li acquistò nel 2009 facendoli diventare i testimoni silenziosi di una guerra che è continuata fino al 1975, mentre ora portano, più poeticamente, i segni della sua pesante decostruzione e soltanto un anonimo titolo, con le date e l’ora del loro smontaggio.
Vista della mostra "Danh Vo, Go Mo Ni Ma Da" al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, 2013. Photo Pierre Antoine. Courtesy dell'artista / Galerie Chantal Crousel, Paris


Fino al 18 agosto
Danh Vo: Go Mo Ni Ma Da
Musée d’art moderne de la Ville de Paris, Parigi

 

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