Pipilotti Rist, la dolce rivoluzionaria

Con Parasimpatico, la personale allestita dalla Fondazione Trussardi a Milano, vanno in scena le visioni psichedeliche dell'artista svizzera.

La definizione che più mi è piaciuta tra quelle usate per descrivere questa incredibilmente vitale quasi cinquantenne artista svizzera è "evangelista della felicità", usata recentemente dal critico del New York Times Peter Schjeldahl. È una sintesi perfetta per l'essenza del venticinquennale lavoro di Pipilotti Rist, al secolo Elisabeth Charlotte Rist, come si può facilmente constatare entrando negli eleganti spazi dell'ex Cinema Manzoni di Milano, riaperto per l'occasione dopo cinque anni di inattività, prima di andare incontro a una nuova misteriosa vita dal prossimo gennaio, e visitando la bella personale Parasimpatico. Un assaggio dello spirito ironico e visionario di Pipilotti si può avere già dalla galleria, concentrando l'attenzione sul candeliere (Cape Cod Chandelier) fatto di mutande illuminate con luci fluorescenti che si staglia contro l'affresco all'ingresso ("ho lavorato sulla quantità, rubando anche quelle dell'affresco", commenta divertita la Rist). Una volta varcato l'ingresso, salendo le scale, ci si imbatte nelle bolle giganti e nel fumo sparati dalla sua macchina Nothing, che accompagnano verso il primo caleidoscopico video Lobe of the Lung, in cui immergersi seduti direttamente sulle scalinate, prima di passare al foyer, animato dalle audio-video installazioni Rain Woman (I am Called Plant) e Sip My Ocean.





L'esperienza più immersiva è però quella offerta nell'auditorium con tre video che avvolgono letteralmente lo spettatore su quattro fronti: sullo schermo grande c'è Open my glade (Flaten), sulle pareti Extremities (smooth smooth) e sull'affresco del soffitto della galleria c'è Homo Sapiens sapiens. Persino il bagno non è stato risparmiato da Pipilotti, che ha installato due interventi chiamati appropriatamente Solution for Man e Solution for Woman. L'"evangelista" si concede generosamente, e con divertito trasporto, ai tanti giornalisti intervenuti all'anteprima, a noi in primis.
Pipilotti Rist alla preview stampa
Pipilotti Rist alla preview stampa
Scegliere un ex cinema per ospitare la tua mostra per la Fondazione Trussardi è stata davvero una mossa azzeccata, che ha creato un interessante cortocircuito con i tuoi video. Quali reazioni hai avuto e quali sensazioni hai provato quando Massimiliano Gioni ti ha proposto di usare questo spazio milanese per Parasimpatico?
Ero davvero impressionata da questo fantastico luogo storico e da un curatore così preparato sul mo lavoro… ma in un primo momento ho rifiutato l'offerta perché ero troppo presa dalla mia mostra alla Hayward Gallery di Londra, che era in apertura, e da quella in preparazione a Melbourne. Pensavo davvero che non ce l'avrei fatta.
<i>Nothing</i>, 1999. Macchina per bolle di sapone e fumo bianco
Nothing, 1999. Macchina per bolle di sapone e fumo bianco
Sono felice che tu alla fine abbia accettato, sarebbe stato davvero un peccato perdere l'opportunità di utilizzare per la mostra un luogo come questo elegante cinema d'epoca chiuso da cinque anni, così denso di riferimenti al tuo lavoro.
È vero, ma c'era anche il problema della tempistica molto stretta per l'utilizzo del Cinema Manzoni: era disponibile solo entro la fine dell'anno. Avrei preferito lavorare alla mostra un anno o due dopo! Ma Massimiliano è stato abbastanza fermo da convincermi ad accettare, e ne sono felice perché mi piaceva moltissimo la formula adottata dalla Fondazione Trussardi per queste mostre.
Abbiamo deciso di fare una mostra in stile hippy, utilizzando persino le più piccole nicchie di questo affascinante cinema degli anni Cinquanta. Costruire questa mostra è stata un'esperienza emotivamente forte perché ho utilizzato materiale di consumo, quel genere di materiale che la gente in genere usa in luoghi privati, dentro ad un luogo pubblico. Ho cominciato a pensare che, in un certo senso, il video aveva ucciso il cinema e io stavo utilizzando materiale video che stava tornando in un cinema. Era un percorso circolare. Mi sono chiesta perché negli anni Sessanta il cinema non ha permesso ai videoartisti di 'entrarci'. Le cose sarebbero andate diversamente se i cinema fossero stati pieni di video di artisti, di installazioni. Forse ci sarebbe andata più gente, scongiurando la crisi che c'è adesso…Ma non è successo e invece i video sono entrati nei musei.
La mia agenda è diversa, perché mi interessa di più l’ambivalenza, portare allo scoperto i lati positivi, quelli isterici, e non lasciarli invece solo appannaggio della pubblicità, controbilanciati solo dalle notizie sui quotidiani e nei telegiornali che riportano solo i fatti negativi
<i>Lobe of the Lung</i>, audio video installazione, 2009
Lobe of the Lung, audio video installazione, 2009
Quali sono le parti strutturali del Manzoni che ti sono piaciute di più?
Siamo di fronte a una struttura enorme di fronte alla quale si percepisce immediatamente l'importanza che ha rivestito negli anni Cinquanta. È una grande miscela di stili. Anni Venti, Trenta, Classicimo… si può persino percepire l'interruzione artistica causata dalla guerra. Mi piace la sua sovrabbondanza di legno. Gli architetti hanno cercato di costruire la lobby in una dimensione domestica. E poi ci sono il bar e due circuiti per comunicare anche quando gli spettatori stanno sorseggiando delle bevande. All'interno della sala, sul soffitto della galleria, c'è un affresco, un riferimento alla chiesa, che in un certo senso era il cinema del passato. Questo spazio contiene riferimenti a differenti rituali.

Il carattere di questo luogo ha influenzato la selezione dei video?
In parte, ma la selezione è stata fortemente orientata da Massimiliano, che conosceva i miei video alla perfezione e ha fatto una serie di proposte per poi provocare le mie 'reazioni'. Diciamo che lui ha messo insieme gli ingredienti, mi ha fatto entrare in una cucina e mi ha messo all'opera.
<i>Lobe of the Lung</i>, audio video installazione, 1999
Lobe of the Lung, audio video installazione, 1999
Le tue opere hanno il potere di distruggere le barriere tra corpo e spazio. Gli spettatori vengono subito imprigionati dai tuoi video, come incantati, inevitabilmente incollati allo schermo. Qual è il tuo segreto? Il tema scelto, l'immaginario evocato e le tecniche usate, le dimensioni delle tue installazioni…
Forse un po' di tutti questi elementi. Spesso tratto i video che faccio come maschere. Cerco di rifuggire dagli spazi cubici, perché penso che qualsiasi tipologia di stanza, qualsiasi architettura è adatta al corpo umano. Se costruisci uno spazio quadrato è solo perché costa meno ed è una soluzione pratica, ma non perché è più bello di altri. Vorrei rifuggire dagli spazi squadrati. Tutti possono inserire dei contenuti in uno spazio così ma si tratta pur sempre di un luogo pieno di limiti. Spesso accettiamo senza discutere i limiti che ci vengono forniti, ma penso che dovremmo invece superarli. Vorrei che quando i visitatori delle mie mostre tornano a casa comincino a pensare di poter appendere il loro schermo piatto sul soffitto, che si mettano a giocare con tutte le possibilità che hanno nella vita quotidiana. Accettiamo velocemente ciò che ci viene dato e io invece vorrei incoraggiare a non farlo. Mi sento al servizio della prassi della rottura delle regole.
Uno scorcio del foyer
Uno scorcio del foyer
La tua pratica artistica è molto differente da quella di un'ampia corrente dell'arte contemporanea attuale che indaga con foga temi sociali e geopolitici. Il tuo Homo sapiens sapiens installato sul soffitto della Chiesa di San Stae a Venezia durante la Biennale d'Arte del 2005 è stato letteralmente una brezza rigenerante nel panorama artistico particolarmente greve in mostra in quell'occasione. Che tipo di artista contemporanea sei?
Ci sono molti artisti che si concentrano sugli aspetti negativi della vita e io rispetto tantissimo il loro lavoro. Ma la mia agenda è diversa, perché mi interessa di più l'ambivalenza, portare allo scoperto i lati positivi, quelli isterici, e non lasciarli invece solo appannaggio della pubblicità, controbilanciati dalle notizie sui quotidiani e nei telegiornali che riportano solo i fatti negativi. Questo non è lo specchio fedele della realtà. Dobbiamo combattere per non farci sopraffare dagli avvenimenti negativi. Noi artisti viviamo in uno spazio protetto in cui nessuno ci dà dei pazzi. Dobbiamo approfittarne per far cambiare la gente, far loro pensare che la bellezza non deve essere corrotta: in tanti invece hanno cominciato a pensare che la bellezza è una menzogna e che è complessa. Gli artisti dovrebbero lottare per mantenere in vita questi temi e non avere paura che qualcuno li tacci di superficialità.
Ero pronta a essere punita per questo… ma non è ancora successo, forse perché avevo la risposta pronta da dare, anche ai critici. C'è chi che critica il mio lavoro proprio per queste ragioni, ma non mi importa. Come artista, voglio infondere speranza, sostenere che bisogna accettarsi per quello che si è, anche se si è isterici... Se non si rientra nella norma, non si può essere considerati infantili. Spesso le donne vengono accusate di essere isteriche se non si comportano secondo le aspettative, se sostengono delle verità scomode o se sono assertive, e non vengono quindi prese sul serio, vengono considerate infantili.
Sul soffitto della galleria, <i>Homo sapiens sapiens</i>, audio video installazione, 2005
Sul soffitto della galleria, Homo sapiens sapiens, audio video installazione, 2005
Il tuo lavoro si concentra sulla femminilità, sulla sessualità, e sfrutta le espressioni del corpo combinando purezza e ironia.
Quando utilizzo il corpo lo faccio per parlare dell'essere umano. Per me la femmina è normale e il maschio è una specie che non capisco [ride di gusto]. Penso che dobbiamo fare attenzione che il femminismo non si trasformi in protezione per l'egoismo. Se vogliamo davvero avere gli stessi diritti degli uomini, dobbiamo avere le stesse divinità.
Dettaglio di <i>Cape Cod Chandelier</i>, video installazione, 2011
Dettaglio di Cape Cod Chandelier, video installazione, 2011
Un paio di anni fa hai diretto un film, Pepperminta. Che cosa ti ha insegnato quella esperienza?
Ho dovuto fare raccolta fondi per finanziare lo staff che serviva per raccontare la storia. È stata un'esperienza faticosa dalla quale ho capito che viene prodotto un numero spropositato di film rispetto a quelli che si riescono davvero a distribuire e al numero di persone che li vuole vedere. Al Sundance Festival c'erano molte sezioni, tra cui quella per i film nordamericani dove solo 14 dei 14.000 film iscritti sono stati selezionati. E si trattava di film pronti, finiti! Ne sono rimasta davvero impressionata. Pensa che la Spagna produce 90 film all'anno ma solo due o tre arrivano nelle sale italiane o svizzere. Al momento non si sa quanti film sperimentali vengono prodotti e quante persone li vogliono vedere… ma penso che le proporzioni siano simili. Credo sia lo stesso per le opere di architetti e designer. Forse scaricare i film dalla rete rappresenta una buona opportunità di visibilità. Forse in questo modo un film giapponese può trovare la propria collocazione in Alaska!

Pensi che ripeterai questa esperienza?
Se lo facessi, lavorerei molto duramente con il marketing. È davvero un campo difficile. Forse preferisco rimanere solo una semplice artista, godo di molta più libertà.

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