Chi cerca trova

Gli esperimenti condotti oggi dagli artisti con Google Maps sono imprudenti e hanno lo stesso elevato margine di errore – e forse perfino la stessa spregiudicatezza – tipica delle avanguardie del passato.

Di tutta la galassia delle centinaia di prodotti Google, Google Maps è forse il più emblematico. In fondo, in ognuno di essi – dal motore di ricerca ai video, passando per libri, news, reader, traduttori – è visibile un unico e utopico gesto: mappare il mondo, indicizzarlo, ordinarlo, vivisezionarlo, scansionarlo per poi restituircelo, pronto per l'uso, in una sorta di takeaway dello scibile umano. Finirà che tutti gli altri servizi di Google si riverseranno nella mappa e noi guarderemo il mondo, attraverso le lenti di qualche occhiale strambo, dal piccolo lembo di spazio in cui ci troviamo.
Basta digitare Search, et voilà.
Sarà per questo che, girando per la rete, si continuano a vedere artisti, grafici e autori vari, che cercano le più ardite sperimentazioni visive, usando quel planisfero virtuale che è Google, enorme fotografia infinita della palla mondo, girata e rigirata come un calzino e come linguaggio unico e universale.

È quasi impossibile ripercorrere questo frenetico lavorio attorno alle geografie della rete, ma è bello provare a ricercare, e distillare alcuni esempi, per tracciarne il perimetro. Un primo esempio è la meticolosa ricerca effettuata dalla giovane artista statunitense Jenny Odell. Nella serie Satellite collections vediamo navi, piscine, campi da golf accatastarsi, decontestualizzate e ordinate, come in un catalogo reperti epifanici. Nel successivo Signs of Life, è invece il profilo grafico a imporsi, attraverso la riproposizione ridondante della cartellonistica stradale: indicazioni senza oggetto, a uso e consumo degli individui senza mondo che aveva poi già collezionato in All the People on Google Earth.

In apertura: Clement Valle, <i>Postcards from Google Earth</i>. Qui sopra: Jenny Odell, <i>Satellite Collections. Left, 104 airplanes</i>, a destra, <i>195 Yachts, Barges, Cargo Lines, Tankers and Other Ships</i>
In apertura: Clement Valle, Postcards from Google Earth. Qui sopra: Jenny Odell, Satellite Collections. Left, 104 airplanes, a destra, 195 Yachts, Barges, Cargo Lines, Tankers and Other Ships
Bellissimo – e stavolta singolo – è Dead Pixel di Helmut Smits, ironico olandese duchampiano. Una zolla mancante in un prato, un rettangolo scuro nel verde compatto: dal satellite è poco più di un pixel, morto nella grande geoJPG.

Il newyorkese Clement Valla gioca sulla distorsione della realtà, individuando e riproducendo un errore dell'automazione algoritmica con cui Google stampa le foto sul planisfero. Una foto del satellite, ricostruita dalla mappa, schiaccia inevitabilmente i ponti sui fiumi, spiana i grovigli di strade. Negandone il balzo, annulla le altezze. Un'astrazione onirica che a tratti suona come una lezione: il punto di vista unico (polifemico) è per definizione miope.
Helmut Smits, <i>Dead Pixel in Google Earth</i>, 2008-2010. 82 x 82 cm
Helmut Smits, Dead Pixel in Google Earth, 2008-2010. 82 x 82 cm
C'è anche chi, come il canadese Jon Rafman, ha fatto più volte il proprio personale giro del mondo attraverso le foto di Google Street View e, proprio come un fotografo di primo Novecento o un reporter, ha scovato, grazie all'occhio indiscreto dello scatto automatico, una serie di inquadrature rubate qua e là per le strade. Nessuno di quegli scatti è tecnicamente suo, ma è un po' come tutti se lo fossero.
Gli stessi esperimenti che fecero ieri i dadaisti con la fotografia, o il Bauhaus con il tondino d'acciaio, oggi li troviamo nel mondo digitale.
Jon Rafman, parte della serie <i>9 eyes</i>
Jon Rafman, parte della serie 9 eyes
In modo analogo, Julien Levesque, genietto francese della digital art, ha setacciato l'archivio del mondo digitalizzato alla ricerca di panorami simili, da ritagliare e ricomporre fino a crearne di nuovi, e falsi, per il suo Street Views Patchwork. In ultimo, uno dei giovani autori, tra più interessanti: Damon Zucconi, anche lui newyorkese. Nel suo lavoro ha hackerato la mappa del mondo cancellandone il disegno e lasciando solo i nomi delle cose, sospesi nel vuoto, come in un planetario terrestre.
Julien Levesque, <i>Street Views Patchwork</i>
Julien Levesque, Street Views Patchwork
Si potrebbe andare avanti ancora, frugando nel sottobosco della rete. Ci sono i Richard Sympson, Sanja Pupovac e Alberto Biagetti, Christoph Niemann e altri ancora. Tutti alimentano l'inventario dei lavori in cui appaiono immagini e mappe di "big G" rimasticate. Esempi su esempi (di catalogazioni), ma sufficienti a capire come, intorno alla mappa, ci sia il germe di un esercizio oggi diffuso: usare quel pretesto per ripensare un mondo digitale come una nuova grammatica delle arti visive. Qualcosa che possa risprigionare senso e forza, sotto una nuova luce. Gli stessi esperimenti che fecero ieri i dadaisti con la fotografia, o il Bauhaus con il tondino d'acciaio, oggi li troviamo nel mondo digitale. Con la stessa imprudenza, lo stesso alto grado di errore tipico delle avanguardie, e forse persino la stessa spregiudicatezza.
Damon Zucconi, <i>Solar Steinn</i>
Damon Zucconi, Solar Steinn
L'altro dato curioso, a ben vedere, è l'uso così diffuso della mappa del "gigante buono". Forse ciò avviene perché la mappa, che è restituzione grafica di un contesto, veicola il senso stesso della rete: l'uso di percorsi intorno a un paesaggio. O forse perché la stessa parola geografia racchiude in sé l'etimologia di "disegnare il mondo", che è in fondo l'utopia a cui tende l'arte, sempre nell'impossibile conciliazione di due istinti controversi: la sua comprensione e la sua progettazione.
Christoph Niemann, manipolazioni delle mappe di Google
Christoph Niemann, manipolazioni delle mappe di Google
Jon Rafman, parte della serie <i>9 eyes</i>
Jon Rafman, parte della serie 9 eyes
Jenny Odell, <i>Satellite Collections</i>. Sinistra: <i>Every Basketball Court in Manhattan</i>; destra: <i>125 swimming pools</i>
Jenny Odell, Satellite Collections. Sinistra: Every Basketball Court in Manhattan; destra: 125 swimming pools

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