Errare humanum est

Le idee più interessanti – sosteneva – sono frutto di errori e di coincidenze. Gabi Scardi ricorda Svetlana Boym, scrittrice, saggista, curatrice e artista di origine russa mancata lo scorso agosto.

Svetlana Boym
Svetlana Boym errava, deviava, sconfinava. Ai tragitti lineari, prediligeva i passaggi laterali e i percorsi trasversali. Riconosceva anzi, nelle sinuosità della vita come nelle contraddizioni del pensiero, la possibilità di individuare spunti di riflessione e nuove corrispondenze. L’eventualità di fallire era contemplata, gli incidenti di percorso non la disarmavano e gli imprevedibili effetti collaterali del suo zigzagare rappresentavano l’opportunità di espandere il campo di osservazione e di alimentare un pensiero sempre mobile.
Svetlana Boym
In apertura: un ritratto recente di Svetlana Boym. Qui sopra: Leaving New York, due immagini della serie Leaving in Transit (printing errors)
Boym era nata a San Pietroburgo ed era cresciuta nutrendosi di cinema nella sala gestita dai genitori. Nel 1980 aveva lasciato l’Unione Sovietica al collasso per gli Stati Uniti; il viaggio aveva comportato alcune tappe: un periodo d’isolamento in un centro di transito a Vienna; un periodo di vita improvvisata a Roma, in attesa della ripartenza. In USA aveva puntato dapprima sulla conoscenza delle lingue, in particolare dello spagnolo. Poi era diventata docente di Lingue e letterature slave e di Letteratura comparata alla cattedra Curt Hugo Reisinger di Harvard.
Svetlana Boym
Svetlana Boym, Multitasking with clouds

Era scrittrice di saggi che avevano un carattere critico e letterario insieme, quali Death in Quotation Marks: Cultural Myths of the Modern Poet (1991), Common Places: Mythologies of Everyday Life in Russia (1994), The Future of Nostalgia (2001), Another Freedom: The Alternative History of an Idea (2010); e, nel 2012, aveva pubblicato il romanzo Ninochka.

Nei periodi liberi dalla docenza, viaggiava vorticosamente, invitata in molti casi come lecturer, ma anche come curatrice. Era stata coinvolta, tra l’altro, nel Padiglione albanese della 12ma Biennale di Architettura di Venezia, dove veniva esposto il progetto di Edi Rama, artista e, allora, sindaco di Tirana, oggi Primo Ministro dell’Albania: quello di trasformare la città di Tirana a partire dai colori delle facciate dei palazzi.

Come se questo non bastasse, Boym aveva un eteronimo, Olga Carr, dal cui account, in alcuni periodi scriveva e-mail ad amici e conoscenti.

Svetlana Boym
A sinistra: Svetlana Boym, Leaving Venice (Microcosms). A destra: Svetlana Boym, Leaving Madrid
E, negli ultimi anni, si era scoperta artista. Ma pure, in questo caso, l’accadimento stava al centro del lavoro: di contro a ogni retorica e a tutto ciò che è pretenzioso, Svetlana sosteneva che le proprie opere, come le idee più interessanti, fossero frutto di errori e di coincidenze. Si trattava di collage, o fotografie, in cui creava paesaggi urbani distorti o identificava ritratti e figure nei riflessi delle pozzanghere o nei flussi del fiume. Una fotografia tirata fuori dalla stampante a forza, per impazienza, poteva rivelare un dinamismo o un senso del tempo di cui gli scatti in sé mancavano; e le sagome sfocate che si possono presentare in una pozzanghera, diventavano, sotto il suo sguardo, preziose epifanie. L’aspetto performativo implicito in questi processi si depositava come parte significativa dell’opera, coniugandosi con l’elaborazione teorica e con la tendenza a una sperimentazione tecnica sui generis. L’opera si espandeva in testi riguardanti il processo di produzione dell’opera e temi diversi.
I temi che Boym era andata esplorando erano confluiti in una teoria, a sua volta fluida e proteiforme: manifestazioni delle potenzialità mancate o inesplorate, ma ancora vitali, della modernità che viviamo, sono annidate ovunque, ed è in quelle tracce che si trova le possibilità di ripartire, per costruire un mondo vivibile. Il successo e il fallimento, le utopie ibride, la porosità del tempo e la storia “out of synch”, l’interesse per le rovine, per l’anamorfosi, per le ombre, per i pentimenti: tutti tasselli di uno spirito off-modern. (Nel 2008 Svetlana Boym aveva pubblicato per Princeton Architectural Press Architecture of the Off-Modern).
Svetlana Boym
Svetlana Boym alla Fondazione Prada di Venezia nel giugno 2014
La sua scrittura era critica e letteraria insieme, la sua conversazione era ricca, appassionata e ironica, fatta di slittamenti e di collegamenti, di memorie e di progetti a venire. I suoi testi, come la sua personalità, dicevano la possibilità di uscire dalla propria cornice e dai limiti disciplinari, di optare per il non consolidato, di avventurarsi su territori inesplorati.
A fronte della tendenza a frammentare, contingentare, campionare, polarizzare, a immunizzarci, tenendo “fuori” e costruendo barriere mentali e non, il suo errare con ostinazione tra ambiti diversi parlava di un’appassionata resistenza allo scontato e all’ideologico quotidiano. L’eccentrico, l’errore e l’errare umano, altrettanto fecondi di possibilità, sono stati per Boym espressione di un perenne esilio della mente: un esilio che non genera regressione, ma libertà, relazioni e ricchezza di pensiero.

Svetlana Boym, che si avventurava e si smarriva senza perdersi d’animo, si è ammalata mentre era nel pieno delle energie intellettuali e del fervore creativo. Lavorava, tra l’altro, alla pubblicazione del suo Off Modern, che avrebbe anche dovuto prendere la forma di una mostra; e al progetto di ricostruire la storia di quella sorta di camera di compensazione viennese in cui, come lei, tanti ebrei russi avevano trascorso il proprio periodo di transito verso una nuova vita. Ad alcuni dei numerosi amici sparsi in tutto il mondo ha lasciando l’arduo compito di veicolare ai suoi ultimi progetti.

Fino a fine giugno 2016, le opere di Svetlana Boym saranno esposte presso il dipartimento di Letteratura comparata della Harvard University.

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