Se Milano torna a fare Milano

L’editoriale del numero di settembre riprende il tema della costruzione di una comunità culturale che voglia condividere con forza le ragioni del bene comune in merito all’abitare oggi.

Questo è un invito a lavorare alla costruzione di un nuovo inizio, capace di superare, in maniera definitiva, una grande parte del nostro recente passato.

Proprio da qui vogliamo ri-partire, sottolineando l’urgenza d’individuare, esprimere e perseguire i termini di questo proposito da mettere in atto il più presto possibile. Bisogna fare in fretta: la situazione della nostra contemporaneità è parecchio complicata, troppe cose si sono accumulate in questi ultimi anni, creando nel loro insieme un inestricabile pantano ormai senza controllo, cresciuto fino all’inverosimile. Per questo c’è bisogno di uno scatto di orgoglio, di ripartire dal tanto di buono che abbiamo a disposizione intorno a noi, mettendo da parte tutto il resto.

La prima azione da fare è definire i termini di questa nuova strada da percorrere: non stiamo proponendo qui – almeno per adesso – un movimento, un nuovo ‘ismo’, una nuova moda, una nuova tendenza, ma semplicemente una maniera di poter essere e vivere il nostro tempo, nei nostri luoghi, con i nostri mestieri, dignitosamente e con fierezza. In altri editoriali abbiamo espresso la volontà della nostra rivista, e noi con essa, di costruire una comunità di Domus: una comunità culturale di persone che voglia condividere in primis l’esigenza di tornare ad affermare con forza le ragioni del bene comune in merito al nostro abitare oggi.

Sappiamo che questa comunità inizia già a esistere e a diventare sempre più numerosa, anche se non è ancora organizzata e materialmente visibile, ma è già in allerta e in opera; certo, per adesso ognuno si esprime per proprio conto, attento e in cerca di occasioni per operare, per mettersi alla prova, per cimentarsi, per darsi da fare.

Avevamo inoltre manifestato il bisogno della nostra rivista – che già dal sottotitolo, Domus la città dell’uomo, ha voluto rendere chiare le sue intenzioni – di uscire anche dalla redazione per andare direttamente nei luoghi, nei territori, nelle sedi istituzionali.

Ebbene, lo stiamo già facendo e in questo mese ben due Scuole estive internazionali organizzate da tre università italiane – quelle di Pescara, Cagliari e Alghero –, con docenti e centinaia di studenti, dedicano un’intera giornata a Domus: una pausa, durante i giorni dei loro lavori, che si annuncia piena di avvenimenti e ospiti, per confrontarsi e discutere insieme, con onestà e sincerità, dei temi che, prima di tutto come cittadini e poi anche come architetti, ci stanno più a cuore, vale a dire quelli legati alla condizione di vivere meglio di quanto oggi sia possibile fare.
Domus 994, editoriale
Domus 994, editoriale

Costruire una comunità culturale, come caparbiamente stiamo cercando di realizzare, ci è essenziale se vogliamo trovare nuove strade da percorrere, più adeguate e consone al nostro tempo: questo è un dovere a cui non possiamo sottrarci, sia singolarmente con un impegno personale, sia tutti insieme con un impegno collettivo.

Non stiamo proponendo qui un manifesto da seguire e applicare, ma un cammino da percorrere, e per ora possiamo solo parlare di quelle azioni, di quei materiali, di quelle idee che già adesso, da subito, siamo in grado di porre alla base del nostro fare per iniziare questo percorso. A tale scopo, la nostra prima preoccupazione deve essere quella di definire di nuovo la nostra appartenenza a un luogo, a una Terra, a un Paese.

Dopo decenni vissuti all’insegna della globalizzazione, questa parola è diventata ormai priva di senso nel mondo attuale; negli anni passati, essa ha ben identificato il grande fenomeno che si è compiuto nel mondo, ma non ha mai superato il suo limite di averlo solo nominato ed espresso, senza essere mai stata in grado di diventare un contenuto del nuovo mondo, così come si andava configurando. Per questo oggi, a fenomeno praticamente realizzato, essa perde completamente di senso. Per contro, adesso siamo obbligati a guardare vicino a noi, cominciando proprio dal nostro intorno più prossimo: dalla nostra dimora, fino alla campagna, al paese o alla città in cui essa si trova e di cui fa parte, fino alla nazione e alla civiltà cui appartiene.
Se volessimo dire con Valéry qual è la funzione di Milano, potremmo dire che essa “ha in pugno lo scettro” del buon abitare
Non si tratta certo, nel nostro caso, di un invito al localismo contro il globalismo, che porterebbe allo stesso risultato tratteggiato sopra a proposito del secondo dei due termini; al contrario, è un invito per ogni essere umano a considerare l’importanza di essere totalmente consapevole della propria appartenenza: un’appartenenza che non è mai data una volta per sempre, ma che ognuno di noi è costretto, anzi obbligato, a cercare, a riconoscere e a rinegoziare ogni volta. Solo dopo che ognuno di noi avrà svolto questo lavoro, singolarmente, per proprio conto, avrà allora la possibilità di capire a quale Comunità, a quale Popolo appartiene e come possa realizzarsi, convivere e collaborare con altri uomini, altre Comunità, altri Popoli.

Proprio in questo stesso numero di Domus ripubblichiamo un celebre e straordinario articolo di Paul Valéry su Parigi: anzi, non su Parigi in generale, ma sulla sua funzione, che la rende unica e la differenzia da tutte le altre. Per fare questo, Valéry non ci parla di una Parigi reale, fatta di monumenti e luoghi visitabili, ma della funzione da essa assunta, che è di un “ordine più sofisticato” rispetto alle funzioni che caratterizzano le altre città: una funzione necessaria ai parigini, ai francesi, agli europei e agli uomini tutti, che nel tempo ha acquistato persino una propria autonomia. Questi ragionamenti ci tornano ora utili per interrogarci su quale funzione ha oggi il nostro Paese, l’Italia, per l’Europa e per il resto del mondo.

Banalmente e in maniera vuota, si continua a ripetere che esso è il luogo più importante che esista per quantità e qualità di beni culturali realizzati e conservati dall’uomo, e ci si accontenta così di esprimere uno slogan reale ed efficace, ma completamente privo di contenuto, perché non dice niente sulla sua funzione rispetto alla nostra contemporaneità.

Domus 994, elzeviro
Domus 994, elzeviro

Nella nostra ricerca di un nuovo inizio, ci piace ripartire da qualcosa che ci è vicino, qualcosa che ci è più vicino di altro, qualcosa che oggi sta vivendo, secondo noi, un nuovo inizio: stiamo parlando di una città, Milano, dove la nostra rivista è nata quasi cento anni fa, dove è cresciuta e ancora oggi continua a editare i suoi fascicoli – siamo ormai molto prossimi all’uscita del nostro millesimo numero –, la città frutto e risultato di un’incomparabile e magnifica storia millenaria, chiaramente unica ma simile a molte altre.

Vogliamo però riferirci qui non a una Milano generica, ma a quella città che nel secolo scorso è stata capace di rappresentare a pieno la modernità di quel periodo, e lo ha fatto a un tale livello di qualità e con una tale intensità da diventare un riferimento, non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero; soprattutto, è stata capace di farlo in quei settori particolarmente cari agli uomini, quei settori che si occupano dell’abitare, dell’abitare dell’uomo su questa Terra.

Dicendo abitare, intendiamo non una disciplina specifica, ma una maniera di essere dell’uomo, la più completa possibile, che comprenda e risponda ai suoi bisogni, alle sue necessità, alle sue aspettative, sia materiali sia ideali, di carattere scientifico, umanistico, finanziario, culturale, concreto, voluttuario: in una parola, che permetta agli uomini di essere tali. Ebbene, Milano è riuscita a fare tutto questo talmente bene da divenire, per il mondo intero, unica e insuperabile; da divenire, per le questioni legate all’abitare, un riferimento per tutti. Dall’architettura al design, dall’arte alla moda, dalla finanza alla ricerca, dall’industria all’artigianato, dall’impresa alle professioni: tutto ha concorso a creare nel mondo il mito di Milano, città moderna per definizione.

Se volessimo ora dire con Valéry qual è la funzione di Milano, potremmo dire che essa “ha in pugno lo scettro” del buon abitare. Bisogna anche riconoscere che, negli ultimi tempi, questo scettro ha forse perso un po’ di smalto e non ha brillato come in altri periodi, ma nonostante tutto è rimasto ben saldo nelle sue mani ancora oggi.

Domus, 994, elzeviro
Domus, 994, elzeviro
È possibile che la sua fama tenda ad affievolirsi sempre di più, fino a scomparire – come del resto è successo per molte delle creazioni dell’umanità – o, al contrario, a rinnovarsi e a vivere di una nuova luce, di nuove ambizioni, di nuovi sogni, di nuove mete più adeguate al nostro tempo; e che la città, forte del suo passato, ma non succube e prigioniera di esso, si faccia carico delle nuove sfide per viverle ancora da protagonista. Sarà il clima portato in città dall’Expo o sarà la grande voglia di tutti di uscire dalla lunga crisi che ha caratterizzato gli ultimi anni, oppure la consapevolezza di vivere un momento complesso ma anche pieno di speranze, o anche l’aver maturato la consapevolezza che l’uomo contemporaneo ha ormai bisogno di perseguire nuovi stili di vita – insieme alla volontà di cercarli, determinarli e viverli pienamente –: fatto sta, che in città si respira un’aria nuova. Un nuovo clima soffia e aleggia per Milano da qualche mese.
Non stiamo qui riferendoci a una Milano reale – anche se in questo particolare momento esiste pure quella, che anzi appare parecchio attiva e oltremodo operosa –, ma stiamo parlando di qualcosa di più profondo, di un sentimento nuovo che la città sembra avere oggi; un sentimento che essa pare voler coltivare e portare avanti, riprendendo fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità, non millantate, ma reali e concrete. Gli uomini e le donne per fare questo ci sono già, i mezzi anche; quello che fino a oggi mancava erano le motivazioni: ora Milano le ha ritrovate – per prima, rispetto ad altre città –, e ha tutta l’aria di volerle utilizzare al meglio per determinare il proprio futuro.

Sappiamo quanto siano importanti per la vita degli uomini le motivazioni per fare o non fare una certa cosa e sappiamo anche come qualsiasi cambiamento possa avvenire solo se sostenuto da forti motivazioni: più forte è il cambiamento che si vuole raggiungere, più forti devono essere le ragioni che lo sostengono per essere realizzato. Per noi architetti, in particolare, dopo aver passato troppi anni in balia di vari poteri – da quello politico a quello economico, fino a quello dell’illegalità, tanto da trascurare di dover lavorare prima di tutto al servizio dell’uomo – le motivazioni al cambiamento sono fortissime.

Sapere che una città come Milano potrebbe farsi carico di sostenere la ricerca di nuovi stili di vita buoni per l’uomo d’oggi ci riempie di gioia e di speranza, consapevoli che un Paese è, e vive, delle e nelle sue città. Siamo sicuri che, se Milano torna a fare Milano, per noi, per il nostro Paese e per gli uomini più in generale non potrà che aprirsi una nuova stagione, viva, vera e piena di promesse, e a noi architetti spetterà il compito e l’onore di dare forma a tutto questo.   

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