Proprio da qui vogliamo ri-partire, sottolineando l’urgenza d’individuare, esprimere e perseguire i termini di questo proposito da mettere in atto il più presto possibile. Bisogna fare in fretta: la situazione della nostra contemporaneità è parecchio complicata, troppe cose si sono accumulate in questi ultimi anni, creando nel loro insieme un inestricabile pantano ormai senza controllo, cresciuto fino all’inverosimile. Per questo c’è bisogno di uno scatto di orgoglio, di ripartire dal tanto di buono che abbiamo a disposizione intorno a noi, mettendo da parte tutto il resto.
La prima azione da fare è definire i termini di questa nuova strada da percorrere: non stiamo proponendo qui – almeno per adesso – un movimento, un nuovo ‘ismo’, una nuova moda, una nuova tendenza, ma semplicemente una maniera di poter essere e vivere il nostro tempo, nei nostri luoghi, con i nostri mestieri, dignitosamente e con fierezza. In altri editoriali abbiamo espresso la volontà della nostra rivista, e noi con essa, di costruire una comunità di Domus: una comunità culturale di persone che voglia condividere in primis l’esigenza di tornare ad affermare con forza le ragioni del bene comune in merito al nostro abitare oggi.
Sappiamo che questa comunità inizia già a esistere e a diventare sempre più numerosa, anche se non è ancora organizzata e materialmente visibile, ma è già in allerta e in opera; certo, per adesso ognuno si esprime per proprio conto, attento e in cerca di occasioni per operare, per mettersi alla prova, per cimentarsi, per darsi da fare.
Avevamo inoltre manifestato il bisogno della nostra rivista – che già dal sottotitolo, Domus la città dell’uomo, ha voluto rendere chiare le sue intenzioni – di uscire anche dalla redazione per andare direttamente nei luoghi, nei territori, nelle sedi istituzionali.
Costruire una comunità culturale, come caparbiamente stiamo cercando di realizzare, ci è essenziale se vogliamo trovare nuove strade da percorrere, più adeguate e consone al nostro tempo: questo è un dovere a cui non possiamo sottrarci, sia singolarmente con un impegno personale, sia tutti insieme con un impegno collettivo.
Non stiamo proponendo qui un manifesto da seguire e applicare, ma un cammino da percorrere, e per ora possiamo solo parlare di quelle azioni, di quei materiali, di quelle idee che già adesso, da subito, siamo in grado di porre alla base del nostro fare per iniziare questo percorso. A tale scopo, la nostra prima preoccupazione deve essere quella di definire di nuovo la nostra appartenenza a un luogo, a una Terra, a un Paese.
Se volessimo dire con Valéry qual è la funzione di Milano, potremmo dire che essa “ha in pugno lo scettro” del buon abitare
Proprio in questo stesso numero di Domus ripubblichiamo un celebre e straordinario articolo di Paul Valéry su Parigi: anzi, non su Parigi in generale, ma sulla sua funzione, che la rende unica e la differenzia da tutte le altre. Per fare questo, Valéry non ci parla di una Parigi reale, fatta di monumenti e luoghi visitabili, ma della funzione da essa assunta, che è di un “ordine più sofisticato” rispetto alle funzioni che caratterizzano le altre città: una funzione necessaria ai parigini, ai francesi, agli europei e agli uomini tutti, che nel tempo ha acquistato persino una propria autonomia. Questi ragionamenti ci tornano ora utili per interrogarci su quale funzione ha oggi il nostro Paese, l’Italia, per l’Europa e per il resto del mondo.
Banalmente e in maniera vuota, si continua a ripetere che esso è il luogo più importante che esista per quantità e qualità di beni culturali realizzati e conservati dall’uomo, e ci si accontenta così di esprimere uno slogan reale ed efficace, ma completamente privo di contenuto, perché non dice niente sulla sua funzione rispetto alla nostra contemporaneità.
Nella nostra ricerca di un nuovo inizio, ci piace ripartire da qualcosa che ci è vicino, qualcosa che ci è più vicino di altro, qualcosa che oggi sta vivendo, secondo noi, un nuovo inizio: stiamo parlando di una città, Milano, dove la nostra rivista è nata quasi cento anni fa, dove è cresciuta e ancora oggi continua a editare i suoi fascicoli – siamo ormai molto prossimi all’uscita del nostro millesimo numero –, la città frutto e risultato di un’incomparabile e magnifica storia millenaria, chiaramente unica ma simile a molte altre.
Vogliamo però riferirci qui non a una Milano generica, ma a quella città che nel secolo scorso è stata capace di rappresentare a pieno la modernità di quel periodo, e lo ha fatto a un tale livello di qualità e con una tale intensità da diventare un riferimento, non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero; soprattutto, è stata capace di farlo in quei settori particolarmente cari agli uomini, quei settori che si occupano dell’abitare, dell’abitare dell’uomo su questa Terra.
Dicendo abitare, intendiamo non una disciplina specifica, ma una maniera di essere dell’uomo, la più completa possibile, che comprenda e risponda ai suoi bisogni, alle sue necessità, alle sue aspettative, sia materiali sia ideali, di carattere scientifico, umanistico, finanziario, culturale, concreto, voluttuario: in una parola, che permetta agli uomini di essere tali. Ebbene, Milano è riuscita a fare tutto questo talmente bene da divenire, per il mondo intero, unica e insuperabile; da divenire, per le questioni legate all’abitare, un riferimento per tutti. Dall’architettura al design, dall’arte alla moda, dalla finanza alla ricerca, dall’industria all’artigianato, dall’impresa alle professioni: tutto ha concorso a creare nel mondo il mito di Milano, città moderna per definizione.
Se volessimo ora dire con Valéry qual è la funzione di Milano, potremmo dire che essa “ha in pugno lo scettro” del buon abitare. Bisogna anche riconoscere che, negli ultimi tempi, questo scettro ha forse perso un po’ di smalto e non ha brillato come in altri periodi, ma nonostante tutto è rimasto ben saldo nelle sue mani ancora oggi.
Sappiamo quanto siano importanti per la vita degli uomini le motivazioni per fare o non fare una certa cosa e sappiamo anche come qualsiasi cambiamento possa avvenire solo se sostenuto da forti motivazioni: più forte è il cambiamento che si vuole raggiungere, più forti devono essere le ragioni che lo sostengono per essere realizzato. Per noi architetti, in particolare, dopo aver passato troppi anni in balia di vari poteri – da quello politico a quello economico, fino a quello dell’illegalità, tanto da trascurare di dover lavorare prima di tutto al servizio dell’uomo – le motivazioni al cambiamento sono fortissime.
Sapere che una città come Milano potrebbe farsi carico di sostenere la ricerca di nuovi stili di vita buoni per l’uomo d’oggi ci riempie di gioia e di speranza, consapevoli che un Paese è, e vive, delle e nelle sue città. Siamo sicuri che, se Milano torna a fare Milano, per noi, per il nostro Paese e per gli uomini più in generale non potrà che aprirsi una nuova stagione, viva, vera e piena di promesse, e a noi architetti spetterà il compito e l’onore di dare forma a tutto questo.