Universo Szeemann

Nel corso del convegno dedicato al grande curatore svizzero, si è parlato di come il modello curatoriale Szeemann abbia influito sull'odierno significato di curatela.

Il 14 e 15 Novembre l'auditorium della fondazione Querini Stampalia a Venezia ha ospitato il convegno 'Harald Szeemann in context' organizzato dall'Istituto Svizzero di Roma. L'evento, nato da un progetto di Stefano Chiodi, Salvatore Lacagnina e Henri de Riedmatten, é coinciso con il decimo anniversario della Biennale curata da Szeemann e si è proposto di analizzare criticamente sul piano professionale e personale l'ormai mitica figura del curatore svizzero.

Attraverso l'intervento di dieci relatori internazionali, critici, curatori e ricercatori, che si sono susseguiti nelle due giornate di convegno, è stato tracciato con successo il profilo di Szeemann, l'originale percorso professionale caratterizzato dalla duplice natura di curatore indipendente e al contempo attivo in ambito istituzionale e la sua eredità. L'intento di storicizzare e interrogarsi sull'influenza del modello curatoriale Szeemann ha aperto e lasciato in sospeso molteplici questioni inerenti al ruolo delle istituzioni museali contemporanee e all'odierno significato di curatela.

Il primo giorno di convegno è stato particolarmente significativo per circoscrivere e contestualizzare la figura del curatore svizzero, partendo dal suo operato per poi trasportare le riflessioni sul piano pratico e contemporaneo al fine di comprendere come Szeemann abbia influenzato le generazioni di curatori seguenti.
Nella foto di apertura, da sinistra: Henri de Riedmatten (Istituto Svizzero), Una Szeemann e Ingeborg Lüscher (entrambe artiste, rispettivamente figlia e compagna di Harald Szeemann), Salvatore Lacagnina (Istituto Svizzero), Stefano Chiodi (Università Roma Tre). In alto: Intervento di Mary Anne Staniszewki. Al centro Michele Dantini e a destra Stefano Chiodi. Foto Ela Bialkowska
Nella foto di apertura, da sinistra: Henri de Riedmatten (Istituto Svizzero), Una Szeemann e Ingeborg Lüscher (entrambe artiste, rispettivamente figlia e compagna di Harald Szeemann), Salvatore Lacagnina (Istituto Svizzero), Stefano Chiodi (Università Roma Tre). In alto: Intervento di Mary Anne Staniszewki. Al centro Michele Dantini e a destra Stefano Chiodi. Foto Ela Bialkowska
Il compito di aprire le due giornate di confronto è stato affidato a Tobia Bezzola, curatore della Kunsthaus Zürich e di Harald Szeemann – with by through because towards despite – Catalogue of all exhibitions 1957–2005, la più importante pubblicazione retrospettiva che presenta il lavoro di Szeemann nella sua totalità. L'intervento di Bezzola è stato rilevante per approfondire le modalità di coesistenza tra i progetti indipendenti e il singolare ruolo di "permanenter freier Mitarbeiter" che Szeemann ha ricoperto dal 1981 all'interno della Kunsthaus Zürich. Le problematiche più significative sollevate nella prima mattinata hanno spaziato dalla caratteristica mise en scène delle mostre, che ha raggiunto il suo picco in When attitude become form (Kunsthalle Bern, 1969), alla definizione di fallimento rispetto alla mostra Happening and Fluxus (Kölnischer Kunstverein, 1970), nella quale Szeemann considerava di aver dato troppa libertà agli artisti. Inoltre è emerso il costante rapporto che il curatore svizzero aveva con i concetti di anarchia e utopia che hanno profondamente influenzato la sua pratica (un esempio importante è la serie di mostre iniziate nel 1978 a Monte Verità) e i termini in cui egli si autodefiniva anarchico.
L'intervento di Bice Curiger. 
Foto Ela Bialkowska
L'intervento di Bice Curiger. Foto Ela Bialkowska
Gli interventi che hanno seguito, rispettivamente di Philip Ursprung, professore di storia dell'arte e architettura alla Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo, Beat Wyss della Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e a concludere, Bice Curiger curatrice dell'attuale Biennale arte, si sono concentrati sull'eredità lasciata da Szeemann. La caratteristica non linearità storica delle mostre ideate dal curatore svizzero ("it was about space" dice Ursprung) e la propensione verso un'ideale opera d'arte totale: "needless to say a Gesamtkunstwerk can only exist in the imagination" (da Hans-Ulrich Obrist, Mind over matter – interview with Harald Szeemann, Art Forum International 11/1/1996) hanno contribuito alla trasformazione del dispositivo mostra, alla riconsiderazione dell'autorialità del curatore, allo stravolgimento degli equilibri tra artista e curatore e alla ricollocazione del ruolo dell'istituzione museale.

Il secondo giorno di convegno si è aperto con le relazioni di tre giovani ricercatori: Mariana Roquette Teixeira, Pietro Rigolo e Lara Conte. Il prezioso lavoro di analisi che hanno svolto negli archivi Szeemann ha riportato alla luce alcuni casi studio significativi per comprendere il ricco apparato documentale che corredava le mostre e per approfondire le modalità operative progettuali del curatore svizzero. Mariana Roquette Teixeira dell'Universidade Nova de Lisboa si è occupata di analizzare la mostra Großvater: Ein Pionier wie Wir (1974), mentre Pietro Rigolo dell'università IUAV di Venezia ha incentrato il proprio intervento sul ritrovamento di una serie di documenti relativi ad una mostra mai realizzata: La Mamma. La mostra doveva idealmente concludere una trilogia iniziata con Le macchine celibi (1975-77) toccando tematiche come la storia delle religioni e del femminismo, il pensiero teosofico, la letteratura, la psicanalisi, l'antropologia e la storia dell'architettura percorrendo "la storia delle donne dalla più grassa e vecchia alla più magra". La relazione di Lara Conte, invece, ha delineato i rapporti tra Szeemann e l'Italia, considerando i contatti con gli artisti italiani del tempo e l'incontro con Germano Celant.
La caratteristica non linearità storica delle mostre ideate dal curatore svizzero e la propensione verso un'ideale opera d'arte totale hanno contribuito alla trasformazione del dispositivo mostra, alla riconsiderazione dell'autorialità del curatore, allo stravolgimento degli equilibri tra artista e curatore e alla ricollocazione del ruolo dell'istituzione museale.
Glenn Phillips racconta l'acquisizione del Harald Szeemann Archive da parte del Getty Research Institute. Foto Ela Bialkowska
Glenn Phillips racconta l'acquisizione del Harald Szeemann Archive da parte del Getty Research Institute. Foto Ela Bialkowska
Al termine del secondo giorno gli interventi di Glenn Philips che ha definito l'importanza dell'archivio Szeemann acquisito dal Getty Research Institute di Los Angeles e Michele Dantini che ha dedicato la propria trattazione alla figura di Germano Celant, al fine di ricomporre e riconsiderare il processo di appropriazione del modello curatoriale Szeemann in ambito italiano. A Mary Anne Staniszewski, autrice di The Power of Display: A History of Exhibition Installations at the Museum of Modern Art, è stato affidato il compito di concludere queste due giornate di convegno, illustrando la trasformazione del concetto di curatela attraverso una visione panoramica del contesto politico contemporaneo e delle sue trasformazioni in ambito artistico istituzionale. L'intervento della Staniszewski si è ricongiunto alle riflessioni politiche emerse il primo giorno, regalando al pubblico una serie di domande aperte: la mostra è ancora un dispositivo attuale? Che importanza ha nello scenario politico contemporaneo il concetto di anarchia? Come si configura ad oggi il rapporto tra artisti, curatori e istituzioni museali? Francesca Colussi

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram