Planting a seed. Carolyn Christov-Bakargiev alla Fondazione Ratti

Marco De Michelis intervista il direttore artistico di dOCUMENTA (13) per il VI Episodio del progetto "La più bella Kunsthalle del mondo".

"Mi interessa lavorare sulle procedure", dice Carolyn Christov-Bakargiev, mentre il pubblico del talk cerca di rintracciare tra le parole della curatrice indicazioni, idee, progetti e nomi degli artisti che costituiranno il corpo della prossima edizione di Documenta, che avrà luogo in Germania nell'estate del 2012. Il primo indizio si rivela essere pressoché segreto. Quasi nascosta tra gli allegati di un comunicato stampa che l'ufficio stampa di Kassel ha spedito via mailing list il 29 ottobre 2010, c'è una lettera firmata Christov-Bakargiev. Nel pieno dell'epoca della proliferazione dell'informazione, al culmine dell'era della paranoia, sfruttando una sorta di diversivo digitale – in pochi leggiamo davvero gli allegati, tutti abbiamo paura dei virus – Carolyn Christov-Bakargiev pianta un piccolo seme nel percorso di avvicinamento alla mostra e indirizza un lungo testo a un anonimo "dear friend". Destinatario fittizio, al quale scrivere per raccogliere idee e pensieri dopo due anni di viaggi, di conversazioni, di storie e di incontri con artisti e intellettuali nel mondo, per cercare di capire, per costruire un gruppo di persone con le quali condividere la crescita del processo della mostra.

La lettera è il punto di partenza per una conversazione nella quale il racconto della curatrice italo-americana si dispiega al pubblico per successive ramificazioni, migrando di argomento in argomento. Dalla riflessione sulla storia stessa di Documenta e sul ruolo che questa manifestazione ebbe nel dopoguerra nel processo sociale di ricostruzione della società civile, al tema del rapporto tra globalizzazione e traduzione, o ancora al racconto del lavoro di Salah H. Hassan e del suo "Institute of Comparative Modernities" alla Cornell University, fino all'esplorazione di alcune "composite ontologies", il cui studio è oggetto proprio del processo di costruzione della mostra. Partecipazione e ritiro, come modi contemporanei e paralleli dell'esistere, tecnologia e scienza avanzata in alleanza con le tradizioni più antiche, l'analisi delle condizioni relative di prossimità e distanza, "rootedness and homelessness" come forme doppie di soggettività e molte altre ancora.
Carolyn Christov-Bakargiev
Carolyn Christov-Bakargiev
"Preferisco differire, che rispondere" dice Christov-Bakargiev a Marco De Michelis, utilizzando l'idea stessa di 'diversione' quasi come una strategia creativa, che si compone per tracce e appunti diffusi che lo spettatore è istintivamente invitato a raccogliere e ricombinare.

'Differire', dunque, come metafora, se non della dOCUMENTA (13) della quale sappiamo ancora troppo poco, certamente del suo processo di generazione. Organico, aperto al cambiamento e incontrollato come una forma gassosa. "In un sistema dell'arte dominato dalle pratiche curatoriali" l'intenzione della curatrice è di "agire proprio senza un pre-definito piano curatoriale", costruendo la mostra come un anonimo e collettivo, singolare e plurale 'mormorio' allestito attraverso il lavoro di un gruppo eterogeneo di curatori, artisti, intellettuali, scienziati e ricercatori nell'ambito di differenti discipline – antropologia, biologia, fisica quantistica, filosofia, letteratura, arte, archeologia – che già costituiscono l'Honorary Advisory Committee e il gruppo degli Agents. Come fossero software, i due team sono strumenti necessari all'investigazione e alla ricerca, estensibili nel tempo, entità curatoriali complesse e instabili.
Aggiungendo: "Ogni mio intervento nella costruzione della mostra è di natura procedurale, ma anche in questo caso non ne voglio fare un tema; intervenire sulle procedure è semplicemente un agire. Non sto lavorando con dei curatori, ho degli Agenti".

dOCUMENTA (13) appare infatti configurarsi come una sequenza di "azioni e gesti artistici", che hanno già iniziato ad avere luogo: l'albero di bronzo di Penone, installato nell'Auepark, accanto al quale è stato piantato un albero vero che con il tempo, in questi due anni che precedono l'opening, crescerà. Oppure i 100 Notes – 100 Thoughts, pensieri, note e variazioni redatte da autori provenienti da mondi diversi, che saranno pubblicati e distribuiti già nel 2011, e che, come sottolinea la curatrice Chus Martínez, non costituiscono uno spazio critico, ma una sorta di "arena pre-pubblica", "il prologo di un'idea".
Digressioni e diversioni. La conversazione di Como, come la Documenta che stiamo immaginando attraverso le parole del suo direttore artistico, procede per costellazioni e attraversa il Multinaturalismo di Eduardo Viveiros de Castro e gli archivi, i floppy disk e i notebook di Erkki Kuriennemi, fisico nucleare fondatore del primo dipartimento di musica elettronica all'Università di Helinski. dOCUMENTA (13), come suggerisce Carolyn Christov nella sua lettera, "è di più di, e non esattamente, una mostra – è uno stato mentale", per la natura della sue origini e per il modo in cui il sistema dell'arte stesso ha adottato questa esposizione.
In un sistema dell'arte dominato dalle pratiche curatoriali" l'intenzione della curatrice è di "agire proprio senza un pre-definito piano curatoriale.
La presentazione dell'opera di Giuseppe Penone, Idee di Pietra, bronzo e pietra, 2004/2010. 1° giugno 2010, Auepark, Kassel. Photo Roman Mensing.
La presentazione dell'opera di Giuseppe Penone, Idee di Pietra, bronzo e pietra, 2004/2010. 1° giugno 2010, Auepark, Kassel. Photo Roman Mensing.
"Agire sulle procedure vuol dire lasciare agli artisti la massima libertà e considerare la mostra come un organismo vivente, e non come la rappresentazione di qualcosa d'altro che è già vivo".
Il progetto Kunsthalle della Fondazione Ratti esplora il presente e contemporaneamente guarda al futuro. E guardare al futuro, suggerisce la curatrice di dOCUMENTA (13), significa riflettere sul fatto che forse il campo dell'arte non esisterà più nel XXI secolo. "Non ne sono sicura", continua Carolyn Christov, "le scienze e le scienze umane stanno ridefinendo molto. Continuerà a esserci quella cosa che gli artisti fanno e che oggi chiamiamo arte, ma non è detto che questa categoria esisterà ancora nel modo in cui cerchiamo di definirla oggi". Che cosa sarà? Come la chiameremo? "Non lo so, e forse non è importante. Mi interessa di più pensare a come Anton Zeilinger pensa alla realtà o come Gerard Byrne guarda il mondo, per esempio, e cercare di metterli in dialogo". Non è una questione di multidisciplinarietà ovviamente. "È più interessante questo, forse? Possiamo in questo modo capire di più? Sentire di più? Amare di più?".
Tutto decisamente interessante. Aspettiamo una nuova lettera, un altro seme in attesa del giugno 2012.

Francesco Garutti Critico e curatore, dal 2009 insegna "Storia delle Mostre" presso NABA e collabora con la Facoltà di Design del Politecnico di Milano. È stato ricercatore e assistente alla curatela per istituzioni come GAMeC, Fondazione Antonio Ratti. È stato lecturer per AA, Londra. Ha lavorato come architetto per Peter Zumthor Architekturbüro in Svizzera. Scrive regolarmente per diverse riviste.
100 Notes – 100 Thoughts. Come preludio all'edizione 2012, dOCUMENTA (13) e Hatje Cantz pubblicano una serie di quaderni che comprende la riproduzione di appunti, saggi, collaborazioni e conversazioni. Commissionato da     Carolyn Christov-Bakargiev insieme all' Agente, membro del gruppo centrale e capo dipartimento, Chus Martínez, la serie è redatta da Bettina Funcke, responsabile delle pubblicazioni.
100 Notes – 100 Thoughts. Come preludio all'edizione 2012, dOCUMENTA (13) e Hatje Cantz pubblicano una serie di quaderni che comprende la riproduzione di appunti, saggi, collaborazioni e conversazioni. Commissionato da Carolyn Christov-Bakargiev insieme all' Agente, membro del gruppo centrale e capo dipartimento, Chus Martínez, la serie è redatta da Bettina Funcke, responsabile delle pubblicazioni.

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