Costruire in negativo: 15 architetture ipogee

Sprofondiamo nei meandri della terra per esplorare quindici opere ipogee, tra volumi invisibili, atmosfere amniotiche e sostenibilità ambientale.

Dalla Caverna di Platone, al viaggio al centro della terra di Jules Verne, ad Eusapia, la “città invisibile” di Calvino che duplica nel sottosuolo quella in superficie, il mondo sotterraneo ha da sempre suscitato emozioni contrastanti. Da un lato, se si esula dalle atmosfere fiabesche delle case degli Hobbit, ad esso si associano spesso il disagio claustrofobico e l’inquietudine per qualcosa di ignoto e misterioso. Dall’altro, le viscere della terra rievocano l’immagine archetipica di un ventre materno che ha sempre offerto protezione all’umanità, dalle grotte rupestri fino ai vasti complessi sotterranei, dalle abitazioni tradizionali berbere del Nord Africa, ai villaggi di Yaodong in Cina, ai sassi di Matera.

Anche in tempi recenti l’architettura ipogea (realizzata totalmente o per la maggior parte sottoterra) ha consentito di ovviare a condizioni climatiche estreme: è il caso della città mineraria di Coober Pedy, nel deserto meridionale dell’Australia, e di Réso, la città sotterranea che pulsa sotto il centro di Montréal e che è stata progettata per difendere dal rigido inverno canadese.

Dagli anni ’70, la bioarchitettura ha diffusamente indagato il tema delle costruzioni sotterranee in considerazione dei benefici connessi alla riduzione dell’impronta ecologica e al benessere microclimatico: si uniscono infatti capacità di integrazione nel paesaggio (essenziale in contesti tutelati o topograficamente complessi), risparmio energetico e ottime prestazioni di stabilizzazione delle temperature interne (grazie all’inerzia termica del terreno) così come di isolamento termoacustico. Gli esiti sono alterni: dagli interventi di semplice camouflage, alle opere progettate per sfruttare al meglio i concreti vantaggi ambientali dell’edificare “in negativo”.

Senza presunzione di addolcire l’impatto (spesso irreversibile) indotto dall’opera artificiale nel territorio, sia sopra sia sotto terra, abbiamo selezionato quindici opere ipogee che propongono una concezione alternativa di vivere lo spazio e uno scostamento da quella corsa all’ostentazione che talvolta caratterizza l’architettura en plein air: da  città storiche tutt’ora abitate (in Tunisia, Australia, Cina e Italia) alle recenti opere d’architettura in Finlandia (Timo e Tuomo Suomalainen), Italia (Fagnola + PAT Architetti associati, Zaha Hadid Architects), Regno Unito (Future Systems), Svizzera (SeARCHstudio), Danimarca (Big), Grecia (Mold Architects), Messico (Francisco Pardo Arquitecto), Corea del Sud (Bcho Architects), India (Wallmakers) e Giappone (Hiroshi Nakamura & Nap).

Perché, se la densificazione del costruito e il congestionamento antropico della crosta terrestre aprono interrogativi sul futuro dell’ecosistema, “l’unico modo di uscire dalla conigliera umana è semplicemente scendere nella tana del coniglio” (Bernard Rudofsky, “The Prodigious Builders”, 1977).

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