Riconsiderando il Postmodern

Due giorni di convegno hanno riunito personaggi importanti per discutere della situazione e del valore attuale del movimento.

Al momento giusto, è ritornato. La rinascita è venuta alla luce, benché già ne fossero presenti i segni e i simboli: le mostre di Venturi Scott Brown e di Stanley Tigerman a Yale, quella intitolata Post-modernism: Style and Subversion, 1970–1990 ancora in corso al Victoria & Albert di Londra, l'uscita del numero monografico di AD intitolato Radical Post-modernism a cura di Charles Jencks e di FAT; e adesso un convegno importante con molti dei protagonisti originari. Un po' palcoscenico delle star, un po' rievocazione storica della guerra di secessione, un po' ciclo di conferenze, Reconsidering Postmodernism (Una rivisitazione del Postmodernismo) si è svolto in due giornate, 11 e 12 novembre, presso l'Institute of Classical Architecture and Art di New York. Tra gli interventi una classica selezione dei più importanti fautori e detrattori del movimento, dai fondamentali protagonisti professionali dell'epoca, come Michael Graves, Robert A.M. Stern e Andres Duany, a una generazione più giovane di teorici come Sam Jacob, Emmanuel Petit e Martino Stierli. In più Jencks, Tom Wolfe, Mark Wigley, Robert Campbell, Witold Rybczynsky, David Schwarz e altri hanno fornito resoconti di prima mano di ciò che è accaduto: il buono, il brutto, il cattivo, l'ordinario.
Foto di apertura: Reinhold Martin alla conferenza <i>Reconsidering Postmodernism</i>, New York (11-12 novembre). Photo Anne Barton. Qui sopra: Charles Jencks, Demetri Porphyrios e Mark Wigley alla discussione <i>Postmodernism: The Aftermath</i>. Photo Sterne Slaven.
Foto di apertura: Reinhold Martin alla conferenza Reconsidering Postmodernism, New York (11-12 novembre). Photo Anne Barton. Qui sopra: Charles Jencks, Demetri Porphyrios e Mark Wigley alla discussione Postmodernism: The Aftermath. Photo Sterne Slaven.
L'elenco, giustamente eclettico, è stato messo insieme in un programma dinamico, con trailer, spot, presentazioni e episodi cruciali che hanno vivacizzato il dibattito e ne hanno assicurato la varietà. Il discorso è cambiato, perché l'avversario non è più il Modernismo ma i miti che circondano il movimento e la sua posizione storica. Il Postmodernismo in architettura è stato scambiato per puro storicismo? È stato qualcosa di più di un effimero periodo stilistico di vent'anni, cioè qualcosa che ha un peso ancor oggi? Nel corso delle due giornate, nelle sale sotterranee del Graduate Center della City University di New York, il Postmodernismo è stato considerato non tanto come un movimento distinto quanto come un fenomeno più vasto, che è stato attivo più a lungo di quanto non si pensasse e che non è mai davvero scomparso.
Tom Wolfe alla conferenza <i>Reconsidering Postmodernism</i>, New York (11-12 novembre).  Photo Sterne Slaven.
Tom Wolfe alla conferenza Reconsidering Postmodernism, New York (11-12 novembre). Photo Sterne Slaven.
Il convegno ha avuto inizio con una panoramica retrospettiva su che cosa sia stato il Postmodernismo in quanto fenomeno sia storico, sia culturale. Immediatamente sfatato il mito che il movimento abbia avuto inizio con la fine del Modernismo classico e con la distruzione del progetto residenziale Pruitt-Igoe di St. Louis. Michelangelo Sabatino, autore di Pride in Modesty: Modernist Architecture and the Vernacular Tradition in Italy, ha scelto l'opera di Ernesto Nathan Rogers, Carlo Scarpa e Eero Saarinen per mostrare che riferimenti storici erano presenti nell'opera di questi modernisti molti prima della 'data di nascita' del Postmodernismo generalmente accolta, e ha sostenuto la necessità di spezzare la tendenza a raggruppare l'architettura in periodi e in stili. Sono le ondate e i flussi, precisa, non le rotture epocali, a dar forma alla storia dell'architettura. Una posizione ripresa da Stierli nel suo intervento sul periodo romano di Robert Venturi come punto di congiunzione tra il proto-Postmodernismo italiano del dopoguerra e le più vastamente note opere americane. Tom Wolfe, nel trentesimo anniversario del suo fondamentale Maledetti architetti, ha elargito alla folla un po' di saggezza da uomo della strada, compresa qualche feroce punzecchiatura. Due perle: "Il Modernismo è stato la prima rivolta degli schiavi della storia dell'architettura" e l'osservazione che "dialogo" nel vocabolario dell'architetto indica cose che creano "conflitto".
Un po' palcoscenico delle star, un po' rievocazione storica della guerra di secessione, un po' ciclo di conferenze, Reconsidering Post-modernism si è svolto in due giornate, presso l'Institute of Classical Architecture and Art di New York
Hans Hollein, Haas Haus, Vienna, 1987-90. Foto per gentile concessione di Emmanuel Petit
Hans Hollein, Haas Haus, Vienna, 1987-90. Foto per gentile concessione di Emmanuel Petit
La serata ha avuto termine con un intervento retrospettivo moderato dal critico Paul Goldberger, in cui Stern, Duany e Graves hanno parlato di tutto: dalla sintassi compositiva alla polemica storicista, a Lady Gaga. L'osservazione di Duany secondo la quale "ci si creda o meno, a un certo punto Bob Stern era l'architetto più radicale e d'avanguardia del mondo", non solo contestualizza storicamente il Postmodernismo, ma ne ribadisce il senso etico di movimento progressista, cosa che nelle letture stilistiche va perduta. Fu, con un'inversione di rotta, un guardare al passato per guardare al futuro, lasciandosi alle spalle il deserto ostile del Modernismo in favore di un genere architettonico nuovo e illuminato, sia visivamente sia politicamente. Per la cronaca è stato Graves a citare Lady Gaga, come esempio della consapevolezza culturale e della sensibilità critica aperta che caratterizzano il movimento.
Paul Goldberger, Michael Graves, Barry Bergdoll, Robert A.M. Stern e Andres Duany alla discussione <i>Postmodernism: Looking Back</i>.  Photo Sterne Slaven.
Paul Goldberger, Michael Graves, Barry Bergdoll, Robert A.M. Stern e Andres Duany alla discussione Postmodernism: Looking Back. Photo Sterne Slaven.
La seconda giornata ha portato più a fondo il discorso con Reinhold Martin, autore di MIT: The Organization Complex ed ex direttore di Grey Room, che ha delineato sinteticamente il ritratto di un Postmodernismo che va più in là di un fenomeno puramente stilistico. Analizzando l'opera di Álvaro Siza, architetto normalmente non associato al Postmodernismo, il suo intervento si è sviluppato nella cornice di una storia dell'architettura caratterizzata da un doppio versante: una ricca risorsa di riferimento su cui contare e una serie disordinata di eventi inevitabilmente votati al cambiamento. Il suo intento è la riscrittura di una storia in cui "si possano ritrovare le proprie origini". Martin ha rifiutato il pregiudizio secondo il quale questo periodo dell'architettura è stato semplicemente uno storicismo ironico e lo ha ridefinito come fenomeno positivo e come un trampolino di lancio. Dopo la radicale destabilizzazione della storiografia convenzionale Duany ha preso la parola svolgendo un appassionato intervento che ha illustrato il suo progetto di prossima pubblicazione, brillante e magistralmente documentato: The 105 Orders of Architecture (I 105 ordini architettonici) – benché si vociferi che Duany di ordini ne abbia in serbo quasi duecento. Scorrendo rapidamente attraverso un centinaio di immagini ha cercato di mostrare come Le Corbusier, Loos e Frank Lloyd Wright si siano tutti cimentati con il classicismo servendosi di ordini non convenzionali e liberi, e che quindi anderebbero considerati degli storicisti.
Carlo Scarpa, showroom Olivetti a Venezia in piazza San Marco, 1957-58. Foto per gentile concessione di Michelangelo Sabatino
Carlo Scarpa, showroom Olivetti a Venezia in piazza San Marco, 1957-58. Foto per gentile concessione di Michelangelo Sabatino
Emmanuel Petit, autore del libro di prossima pubblicazione Irony, or, The Self-Critical Opacity of Postmodern Architecture (Ironia, ovvero Opacità autocritica dell'architettura postmoderna), ha continuato nel filone antistilistico con una disamina profondamente analitica dell'opera di Stanley Tigerman. Petit ha sostenuto che il Postmodernismo consiste nella dialettica delle idee che fluiscono nel labirinto del discorso architettonico. Citando teorici da Sigmund Freud a Peter Sloderdijk, ha analizzato a fondo l'ironia come artificio retorico e ha mostrato parecchie belle immagini della Daisy House di Tigerman. L'ultima tavola rotonda era stata organizzata per guardare al futuro e interpretare la recentemente ritrovata eredità del Postmodernismo, e riuniva Jencks e Wigley, curatore con Philip Johnson della mostra del MoMA del 1988, Deconstructivist Architecture ("Architettura decostruzionista"), intesa in parte a segnare la fine del Postmodernismo. Con Robert Campbell, critico d'architettura del Boston Globe, a far da moderatore, Jencks ha sostenuto che il Postmodernismo vive ancora in una quarantina di discipline, e che è l'unico 'ismo' che riesca a non diventare un arnese del passato. Ha sottolineato che il decostruzionismo, moderno classicismo, e gli edifici di immagine del Medio Oriente sono i tedofori nascosti dell'etica postmodernista. Sullo stesso percorso Wigley ha parlato della plurivalenza della nostra epoca, in cui l'architettura non ha più bisogno di pretesti e in cui i giovani architetti si interessano ai problemi più profondi della città e della costruzione più che a questo o quello stile.
Andres Duany alla conferenza <i>Reconsidering Postmodernism</i>, New York (11-12 novembre).  Photo Sterne Slaven.
Andres Duany alla conferenza Reconsidering Postmodernism, New York (11-12 novembre). Photo Sterne Slaven.
Curiosamente lo scarto generazionale che il Postmodernismo per primo svelò qualche decennio fa era palese anche in questo convegno, e la mancata presenza della generazione emergente di professionisti e di studiosi, tanto tra gli interventi quanto tra il pubblico, ha fatto sì che la manifestazione rimanesse per lo più retrospettiva. Sotterranee presenze della contemporaneità ci sono pur state, sotto forma di riferimenti all'urbanizzazione rapida e all'attuale situazione economica, mescolate a succulenti bocconi storici, ma si è trattato generalmente solo di commenti di facciata o di pensieri accennati al volo da singoli intervenuti. I media e la cultura di massa sono un fattore intrinseco del Postmodernismo e danno forma alla maggior parte della nostra cultura visiva contemporanea. Purtroppo sono stati infelicemente assenti dal dibattito, e pochissimi progetti portati a termine dopo il 1990 sono stati citati. Il senso del convegno stava piuttosto nel dare saldezza all'elusività degli eventi, e in ciò è riuscito straordinariamente bene, ma il Postmodernismo è un atteggiamento che vive tuttora, non semplicemente uno stile morto. In una situazione storica alla Jencks i buoni edifici si possono progettare in qualunque stile, dal classicismo contemporaneo all'espressionismo parametrico. Il convegno ha ribadito questo concetto attraverso un'esauriente retrospettiva in cui la storia è stata riscoperta e rivisitata per dare spazio alla nuova teoria del Postmodernismo radicale, di cui Wolfe ha affermato, con una complice strizzata d'occhio, che "se si diffonde, sarà una rivoluzione".
Matt Shaw
Stanley Tigerman, Aristotle e altri, <i>Architoon</i>, 1982. Foto per gentile concessione di Emmanuel Petit
Stanley Tigerman, Aristotle e altri, Architoon, 1982. Foto per gentile concessione di Emmanuel Petit

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