Architetture sovraesposte

L’edizione 2015 dei Rencontres de la photographie di Arles ha confermato l’importanza della fotografia nello studio e nell’evoluzione del paesaggio urbano, proponendo uno sguardo analitico ed estetico sulla città e l’architettura come sorgenti d’ispirazione inesauribili.

La storia della fotografia unisce fin dagli inizi città e architettura come fonti d’ispirazione inesauribili, proponendo uno sguardo analitico ed estetico sull’insieme del paesaggio urbano. Con il tema “Résonances. La photographie en dialogue” (“Risonanze. La fotografia in dialogo”) i Rencontres de la photographie di Arles ospitano varie mostre che mettono in discussione il contesto urbano.
Las Vegas Studio
In apertura e qui sopra: alcune immagini della mostra “Las Vegas Studio”, con le foto d'archivio di Robert Venturi e Denise Scott Brown, Grande Halle
Sulla scia del mitico Imparare da Las Vegas e nel contesto delle lezioni proposte nel 1968 a Yale dal Las Vegas Studio, Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour usano il materiale fotografico come strumento di analisi del territorio. L’architettura ordinaria svela così il suo valore morfologico, evolutivo e culturale sotto l’aspetto del valore simbolico e dell’oggettività. Le immagini raccolte in modo seriale diventano il fondamento intellettuale di ogni progetto d’architettura e non costituiscono un fine a sé. Sono il prodotto di una riflessione teorica sulla qualità e sulla logica del paesaggio e sono oggetto di una vera e propria costruzione. La costruzione del primo piano, il confronto della scala – che si tratti di elementi architettonici o di personaggi – ne definiscono una lettura precisa e ordinata. Facendosi carico di “un’urbanistica sociale” l’immagine fotografica amplifica la realtà e l’architettura del quotidiano, al contrario di quanto fa il “Modernismo architettonico”. Viene così a costituire un nuovo strumento di pensiero e di proiezione, allo stesso titolo del disegno, dei saggi teoretici e di altre rappresentazioni grafiche, svelando la natura stessa della condizione urbana. La città appare in una realtà ‘sovraesposta’, amplificata dall’intensità della luce.
Toon Michiels
Toon Michiels, American neon signs by day and night, Eglise des Trinitaires. Courtesy of Luïscius
L’universo visivo di Toon Michiels è puramente grafico. Spinto dalla sua duplice formazione di grafico e di fotografo, Michiels seleziona elementi tipici dell’identità del paesaggio urbano americano degli anni Settanta. Il metodo è frontale, l’inquadratura stretta. I “ritratti di paesaggio” così proposti sono tutti montati in forma di dittico, diurno e notturno. Le immagini ci ricordano che la loro lettura è subordinata alla percezione dei sensi e che varia in funzione della qualità della luce, di origine naturale o artificiale che sia.
Toon Michiels
Toon Michiels, American neon signs by day and night, Eglise des Trinitaires
La serie American Neon Signs by Day & Night non è solo simbolica, ma anche rivelatrice di una modalità compositiva del paesaggio e di una modalità d’uso. Queste “sculture urbane” emergono lungo i grandi assi, su uno sfondo neutro, di giorno o di notte, come elementi identitari di questi paesaggi urbani. La serie, costruita intorno a sequenze visive ripetitive, lascia così immaginare un’urbanizzazione infinita, al servizio della comunicazione, una visione urbana senza prospettiva.
Markus Brunetti
Markus Brunetti, Facades, 2014, Grande Halle, parc des Ateliers
Fuori scala! Con il titolo Façades il disegno tecnico di Markus Brunetti rende leggibile la monumentalità dei grandi edifici sacri. Benché siano integrati per la maggior parte in spazi urbani molto densi il fotografo riesce a isolarli incorniciandoli accuratamente e conferendo loro l’aspetto bidimensionale di un disegno. La lettura dell’edificio si riduce a un unico piano, riducendo al minimo la decifrazione delle prospettive urbane delle strade circostanti. Le immagini pongono la questione del punto di vista. La realtà della percezione urbana non permette la lettura frontale in prossimità dell’edificio. Nella visione qui proposta l’occhio del fotografo sembra spostarsi liberamente lungo un asse verticale, raccogliendo l’insieme dei particolari e dei materiali, senza apparente deformazione. Questa lettura fotografica è resa possibile dal banco ottico di grande formato usato per mantenere le proporzioni degli edifici. Il viaggio in Europa realizzato dal fotografo permette di confrontare stili e saperi pratici degli artigiani, e le caratteristiche compositive tipiche di ciascun edificio sacro. La luce è neutra, senza effetti d’ombra portata, e riduce quindi ogni effetto di rilievo. Presentata in grandissimo formato, la ‘fotoscenografia’ costringe lo spettatore a trovare il punto di vista necessario alla ricostruzione visiva dell’opera nei minimi particolari.
Markus Brunetti
Markus Brunetti, Facades, 2014, Grande Halle, parc des Ateliers

In parallelo un’importante retrospettiva dedicata a Stephen Shore mette in discussione anche l’identità del territorio americano. L’opera del fotografo definisce una nuova estetica fondata sull’iperrealismo cromatico e sullo sguardo atipico proposto nelle serie Uncommon Places e American Surfaces.

I riferimenti vanno dall’esponente della Land Art Richard Long alla celebre coppia di Hilla e Bernd Becher, autori di serie tipologiche sul paesaggio industriale tedesco.

Stephen Shore
Stephen Shore in mostra all'Espace Van Gogh

Da buon geometra, munito come matrice di lettura delle sue mappe, Stephen Shore ha battuto il suo percorso, sotto forma di road trip, a piedi e in auto, soffermandosi sui paesaggi che ne costituiscono l’ambiente quotidiano. Shore compila così un rapporto sui luoghi del territorio americano che si contrappone alle icone veicolate dai grandi paesaggi americani.

Emancipandosi dall’astrazione del bianco e nero svela i materiali, soffermandosi sulle atmosfere particolari e su altri elementi costituivi dell’urbanizzazione, come gli incroci cittadini, i parcheggi dei drive-in oppure i cartelloni pubblicitari. Queste serie si presentano come ‘sezioni’ visive del territorio, spesso spazi vuoti, che sembrano quasi scenografie teatrali in attesa di una rappresentazione, di un uso, rafforzando così il concetto di istantaneità che permette all’osservatore di immaginare un prima e un dopo.

Stephen Shore
Stephen Shore in mostra all'Espace Van Gogh. Courtesy of 303 Gallery NYC
Stephen Shore interroga le rappresentazioni urbane con una rilettura delle cartoline collezionate nel corso dei suoi itinerari, dove in qualche caso gli edifici assumono il valore di monumenti. Se la scrittura fotografica definisce qui un nuovo linguaggio, propone anche nella sua visione globale del paesaggio di metterne in questione la coerenza e la qualità degli elementi. Al di là delle sensazioni visive e della scelta del colore come ‘rivelatore’ di una realtà ordinaria, queste immagini confermano l’importanza della fotografia nello studio e nell’evoluzione del paesaggio urbano.
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