Stopping Time

Nella serie Stopping Time, il fotografo milanese Luigi Ziliani mostra quello che l’occhio umano non vede e, con approccio scientifico e tanta tecnica, vive l’illusione di scomporre e fermare il tempo.

La domanda non è semplice ed è anche un po’ paradossale. Durante il galoppo del cavallo c’è un attimo, fosse anche uno soltanto, in cui gli zoccoli non toccano mai terra?
A svelare l’arcano, la fotografia. Era il 1878, quando Eadweard Muybridge, un eccentrico fotografo inglese antesignano della cattura del movimento e precursore di quello che poi verrà chiamato cinema, rispose al quesito un po’ per scommessa e un po’ per curiosità. Piazzò 24 fotocamere lungo il bordo della pista, collegate a fili metallici che scattavano al passaggio del cavallo, con l’intento di intrappolare quello che la pupilla umana confonde o, semplicemente, non mostra. “L’occhio umano non poteva scegliere dettaglio sufficiente per risolvere il problema”, diceva Muybridge.
Luigi Ziliani
A sinistra: Luigi Ziliani, Bulb. A destra: Luigi Ziliani, Coin
Negli scatti Stopping Time, proposti in esposizioni e copertine, e protagonisti della nuova campagna Campari, il fotografo milanese Luigi Ziliani mostra, proprio come Muybridge, quello che l’occhio umano non vede. Con un approccio scientifico, quasi galileianamente matematico e una buona tecnica, scatta l’attimo, vivendo l’illusione di scomporre il tempo e di fermarlo.
Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Water Ball
“Tutto quello che so di fotografia me lo ha insegnato mio padre, fin da quando ero piccolo lo seguivo durante i suoi scatti e in camera oscura. Poi molte letture su fotografia e arte. Come il libro Stopping Time su Harold Eugene Edgerton, il professore di elettrotecnica che ha introdotto l’alta velocità in fotografia. Sono ricordi ancestrali, che alla fine di plasmano”.
Classe ’81, Luigi Ziliani, figlio d’arte – suo padre Giovanni, fotografo, ha esposto alla Biennale, alla Fondazione Venezia, alla Bibliothèque National de Paris – coltiva fin da subito la passione per l’immagine e per la fotografia, frequentando i corsi della Scuola Civica del Cinema. Quindi la classica e doverosa gavetta da assistente, tanti progetti e campagne pubblicitarie, oggi fa parte dall’agenzia Livello 6 che rappresenta giovani talenti e affermati professionisti nel campo della moda, della pubblicità e dell’editoria.
Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Water Ball

Francesca Esposito: Come si ferma, tecnicamente, il tempo?

Luigi Ziliani: La difficoltà di scattare al decimillesimo di secondo è avere l’attrezzatura adatta. I flash Broncolor hanno la capacità di far durare il lampo, nella sua velocità e massima potenza, un decimillesimo di secondo. Una tecnologia abbastanza evoluta, dal momento che di solito un flash dura un cinquecentesimo di secondo. Ma sarebbe stato troppo lento, infatti in un cinquecentesimo di secondo una goccia traccia una traiettoria. Mentre un decimillesimo riesce a congelare il fenomeno. L’altra difficoltà, poi, è beccare il momento giusto.

Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Water Ball

FE: Facile a dirsi, ma come si fa ad avere la certezza di trovare il momento giusto?

LZ: Con Antonio Usuelli, un amico ingegnere, abbiamo costruito un sensore a infrarossi abbastanza semplice. Quando viene interrotto, il raggio di infrarosso fa partire un circuito e dà l’input al generatore del flash, che decide quando e a che potenza far partire il flash. In questo modo potevamo avere la certezza matematica che il fenomeno venisse scattato in quell’istante preciso, a questo sensore abbiamo attaccato una tastiera elettronica digitale, per cui potevamo dire al sensore di ritardare di un decimillesimo di secondo.

Poi migliorie, tentativi, errori e segreti, ovviamente. Con questo macchinario casalingo sono riuscito a scattare l’esplosione delle bottiglie Campari che, grazie ai miei agenti, mi ha dato l’opportunità di venire scelto poi dall’azienda Campari per la campagna pubblicitaria.

Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Campari

FE: Con un metodo induttivo sei partito dall’esperimento: come hai immortalato la forma dell’acqua?

LZ: All’inizio ho scelto i palloncini d’acqua perché non avevo ancora la tecnologia per far partire i flash nel momento perfetto, in più erano ovvi, economici e scenografici. Poi ho iniziato a fare gli esperimenti anche con lampadine, con il latte, con liquidi di consistenze diverse. Si trattava soprattutto di esperimenti grezzi, fotograficamente poco estetici ma interessanti dal punto di vista scientifico. Ovvero cosa succede a una goccia d’inchiostro quando cade nel latte? Provavo, sporcavo, rovesciavo. Poi ho deciso di fare qualcosa di più impegnativo, rendere l’effetto scientifico ma dare anche spazio all’aspetto estetico.

Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Stopping Time: Ink Vs Milk

FE: Chi e che cosa ti hanno ispirato?

LZ: Sono sempre stato affascinato dall’infinitamente piccolo e dall’infinitamente grande, dalle galassie e dalle supernovae fino agli insetti microscopici. Girava in casa mia un libro con le fotografie di Edgerton, più ingegnere che fotografo, che ha inventato lo stroboscopio costruendo dei flash in grado di catturare l’anatomia del movimento. Nei miei progetti ho cercato di emulare il suo metodo e sono partito da lì.

FE: Quali i tuoi maestri in fotografia?

LZ: Tutto è già stato fatto, non esiste nulla di assolutamente originale, nuovo, o mai visto prima. Ognuno ha uno stile proprio, ma prende ispirazione da altri fotografi e maestri. Per me Edgerton, in primis. Ma anche Guido Mocafico e Norimichi Inoguchi per lo still life, o i grandi reporter come Capa, Bresson, Salgado. Poi ci sono i big della moda come Steven Meisel o Peter Lindbergh, ma diciamo che iniziando come assistente per alcuni fotografi di moda e advertising, la mia fortuna è stata quella di lavorare con persone che mi hanno permesso di crescere, sia da un punto di vista professionale sia da un punto di vista umano. Mi hanno lasciato lo spazio necessario per provare, per fare i test, gli esperimenti e porre domande.

Luigi Ziliani
Luigi Ziliani, Stopping Time: Ink Vs Milk

FE: Cosa deve fare una fotografia?

LZ: La fotografia di oggi, al pari della regia o della pittura, deve raccontare delle cose. Il fotografo deve sentire la necessità di esprimersi e comunicare, perché sente che ha qualcosa da dire. Ma quando non hai nulla da dire – un’emozione, un concetto, una storia – non hai una bella fotografia. Quando sottostimi la tecnica, la τέχνη greca del saper fare, il risultato si vede. Ci vogliono una serie di elementi, dalla luce all’inquadratura, che vanno conosciuti a fondo: bisogna imparare e studiare. Il fotografo Martin Schoeller, per esempio, fa dei bellissimi ritratti, ma non solo per i soggetti interessanti, ma anche perché mostra cosa si nasconde nello sguardo e nelle rughe delle persone. È tutta una questione di luce, riflessi lunghi e verticali, in quel caso Schoeller è stato bravo, con la tecnica e con alcune luci al neon, a far venire fuori il ritratto. Se il fotografo non ha questa prerogativa, allora ottiene solo vuoto. A volte bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che non c’è niente da capire, e avere, soprattutto, il coraggio di dirlo.

FE: Ma, infine, c’è un istante in cui il cavallo non tocca mai terra?

LZ: Sì. Pare, per un istante, che voli.

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