Alfredo Pirri e Volume!

In occasione della mostra curata da Lorand Hegyl al MAMC de Saint-Étienne Métropole, Alfredo Pirri ricorda gli esordi di questa speciale avventura artistica avviata a Roma nel 1997.

Alfredo Pirri, uno degli artisti italiani contemporanei più noti – diventato famoso per le opere alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (Passi, 2011) e al Museo Archeologico di Reggio Calabria (Piazza, 2011) – è stato il primo a essere invitato nel 1997 da Francesco Nucci alla creazione di VOLUME!.
In occasione della mostra “Fondation VOLUME! Passages”, curata da Lorand Hegyl al Musée d’Art Moderne et Contemporain de Saint-Étienne Métropole, Pirri ricorda gli esordi di questa avventura.
Alfredo Pirri
Sulla destra, l'installazione di Alfredo Pirri in mostra al Musée d’art moderne et contemporaine de Saint-Étienne Metropole

Carole Blumenfeld: Com’è nata l’avventura di VOLUME?

Alfredo Pirri: L’avventura di VOLUME! è iniziata nel 1997, quando Francesco Nucci acquistò una ex vetreria a Trastevere e mi chiese di fare una mostra (naturalmente dopo aver effettuato i necessari lavori di restauro). Era un momento di crisi, non soltanto economica – le gallerie a Roma chiudevano invece di aprire – ma anche e soprattutto ideale e immaginativo riguardo all’arte: ci si chiedeva cosa fosse giusto fare. Il mondo dell’arte era ancora “governato” da una specie di post-avanguardia. Quindi, ho subito trovato la proposta molto interessante, l’ho considerata come l’opportunità di dare inizio a una realtà nuova. Ho dunque risposto positivamente a Franco Nucci, ma secondo me, non era molto interessante fare una mostra mia. M’interessava di più, invece, la possibilità di avviare un’iniziativa, un pensiero e una riflessione nuova circa lo spazio dell’arte. Per prima cosa ho iniziato un progetto di ricerca, che si è spinto oltre le frontiere dell’arte, entrando in contatto e collaborazione con altre discipline. Per esempio, ho invitato a partecipare alla nostra iniziativa – che ancora non aveva un titolo – il filosofo Pietro Montani, l’architetto Nicola Di Battista (oggi direttore di Domus) e il grafico Franco Mancinelli – che, tra l’altro, è artefice del progetto editoriale VOLUME! 1997… Today (Milano 2015).

Alfredo Pirri
L'installazione di Alfredo Pirri in mostra al Musée d’art moderne et contemporaine de Saint-Étienne Metropole

Carole Blumenfeld: Com’è nato il nome VOLUME! e soprattutto perché c’è un punto esclamativo?

Alfredo Pirri: Abbiamo deciso insieme con Franco Mancinelli la grafica e il nome, VOLUME. Il punto esclamativo è un aspetto determinante in questo senso: in un momento in cui le idee sembravano governate da una sorta di domanda spaesata, ci voleva uno spirito assertivo; era il momento d’iniziare a elaborare delle forme. VOLUME! non è dunque da intendersi come un titolo, piuttosto come un’esortazione: un volume sonoro e spaziale.

Carole Blumenfeld: Nella mostra di Saint-Étienne sono stata impressionata dalla ricchezza dei primi pieghevoli che avete pubblicato.

Alfredo Pirri: In questo senso, un’altra persona la cui collaborazione è stata di fondamentale importanza è stata Christine Ferry (dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici), che ci propose qualcosa che immediatamente si rivelò vincente e straordinariamente intelligente: portare avanti le iniziative senza comunicare (pubblicizzare, ndr) quello che stavamo facendo. Per almeno un anno abbiamo fatto mostre – la mia, quella di Jannis Kounellis e poi Bernhard Rüdiger – per le quali non esisteva un invito, né orario, né luogo. Giravano soltanto i bellissimi pieghevoli disegnati da Mancinelli, in cui però non c’era nulla che parlasse delle iniziative: c’erano invece riflessioni, di volta in volta diverse e nuove, di Pietro Montani oppure materiali preparatori miei, di Kounellis o di Rüdiger. Si è quindi iniziato a parlare di questa iniziativa attraverso (e grazie al) mistero che la avvolgeva più che tramite i classici strumenti della comunicazione.

Basti pensare alle prime mostre di VOLUME! che, nonostante la totale assenza di pubblicità, erano diventate così di culto da attirare centinaia di persone. Finivamo sempre per bloccare il traffico, di fronte all’ingresso di Regina Coeli. A volte, capitava che la polizia fosse costretta a usare le sirene per poter far entrare le persone.

Alfredo Pirri
Alfredo Pirri, Senza titolo, 1997, Fondazione VOLUME!. Photo Marco Ciuffreda. Courtesy of Fondazione VOLUME!

Carole Blumenfeld: Vi siete dunque appropriati del quartiere in tutti sensi?

Alfredo Pirri: Direi di sì. Tra l’altro, il primo di questi pieghevoli di VOLUME!, curato da Nicola Di Battista, era proprio un’indagine sulla storia del quartiere, anche se poi il luogo non veniva indicato. Si parlava della strada, degli orti del Vaticano cioè di tutta la tradizione urbanistica della zona e soprattutto della Villa Lante, “cannocchiale di osservatorio” della via San Francesco di Sales. Nicola Di Battista vi aveva concentrato tutte le sue attenzioni: aveva effettuato ricerche e propose anche delle lezioni riguardo l’influenza di Villa Lante sul quartiere.

Carole Blumenfeld: Come hai lavorato in questo ambiente così particolare?

Alfredo Pirri: Per me, si è inaugurato un anno di attività in cui l’argomento principale era appunto la conoscenza dello spazio. La prima cosa che abbiamo fatto è stata praticare dei buchi: abbiamo scandagliato il pavimento, lo abbiamo scrostato, strato dopo strato, per individuarne la composizione. Così, abbiamo scoperto vari livelli di diverse epoche e la seconda sala ci ha riservato la sorpresa più grande: smantellando un po’ di terra, è comparsa l’acqua, un elemento fondamentale che si ritrova in tutti i miei lavori. Si trattava semplicemente dell’infiltrazione delle acque Tevere, poco distante da lì. Per quel che riguarda il mio lavoro, si trattava dunque sostanzialmente di creare un passaggio dall’ombra verso la luce. Naturalmente, vi era anche un aspetto metaforico. Bisognava scavare nella prima stanza, entrare nel terreno, penetrare la storia dell’edificio per poi risalire in una seconda stanza e camminare sul vuoto nella terza, fino a tornare su strada. Era quindi un percorso dal nero al grigio e, infine, al bianco, come un dipinto che diventa tridimensionale, ma anche come un passaggio mentale dal buio verso la luce. Senza dimenticare che si trattava anche di passaggi da un punto di vista strettamente architettonico, poiché stiamo parlando di più livelli.

Alfredo Pirri,
Alfredo Pirri, Senza titolo, 1997, Fondazione VOLUME!. Photo Marco Ciuffreda. Courtesy of Fondazione VOLUME!

Carole Blumenfeld: Come definiresti il ruolo dell’architettura nel tuo lavoro a VOLUME!

Alfredo Pirri: Nel mio lavoro, l’architettura ha sempre svolto una funzione fondamentale. C’era un primo progetto ma abbiamo deciso di rimandarlo a un momento successivo, quando ci fossero stati elementi di un’arte che fosse già tesa a indagare lo spazio. Questi enormi buchi sono stati poi riempiti di calce bianca. La calce serve a pulire e purificare, sostanzialmente. In questo senso, abbiamo disinfettato lo spazio e la sua memoria. Allo stesso tempo, abbiamo ricostruito una nuova memoria ponendo al sotto del nuovo livello del pavimento la maggior parte degli elementi che compongono la mia installazione e che sono stati letteralmente tumulati.

Carole Blumenfeld: Come siete riusciti a trasmettere questa identità di VOLUME! come luogo di esperienza più che spazio espositivo?

Alfredo Pirri: Basta pensare alla prima mostra di VOLUME!. Ho chiamato certamente quello di noi che è il più grande, Jannis Kounellis. E lui ha partecipato con molto entusiasmo, anzi direi con più entusiasmo di quanto hanno poi manifestato altri artisti più giovani. Questo dimostra anche il fatto che la giovinezza di un artista dipende dal suo modo di approcciare le cose, più che dall’età biologica. Il suo intervento è stato il risultato di un’avventura organizzativa impressionante. Ha presentato una donna incinta, quasi al nono mese – una donna fra l’altro bellissima – che stava semplicemente nuda, seduta su uno sgabello. Mi ricordo che c’era anche, oltre a una lampada a olio che le stava di fronte, un piccolo ventilatore nascosto che le faceva ondeggiare i capelli, conferendole un aspetto quasi cinematografico. Questa meravigliosa ragazza ha deciso di prestarsi alla performance, che è durata 15 o 20 giorni. È arrivata il giorno dell’inaugurazione, 10 minuti prima dell’apertura. Jannis aveva un’idea forte, che voleva assolutamente realizzare, ma non si riusciva a trovare una donna incinta, disposta a starsene lì al freddo per tutto quel tempo. Alla fine abbiamo trovato questa ragazza, che era la moglie di un giocoliere di piazza Navona. Michelle (Kounellis) è andata a parlarle e così, in 10 minuti, l’abbiamo convinta. Se non fosse stato per lei, la mostra di Kounellis non ci sarebbe stata.

Alfredo Pirri
Alfredo Pirri, Senza titolo, 1997, Fondazione VOLUME!. Photo Marco Ciuffreda. Courtesy of Fondazione VOLUME!

Carole Blumenfeld: Come definiresti il ruolo di Francesco Nucci nel lavoro di VOLUME!

Alfredo Pirri: Nucci è anzitutto un neurochirurgo con una grande passione per l’arte, ma non solo. Il rapporto con lui è stato molto interessante per me, perché parlavano del cervello, di come quest’organo sia un campo molto complesso, perché ogni volta che si va a intervenire non si trova mai niente che stia al suo posto; è un organo mobile, in continua evoluzione. E così ho immaginato un laboratorio, un’opera, come un cervello: un organo che si evolve in continuazione, con dei rapporti neuronali sempre in movimento. Quando si pensa a un medico che opera il cervello, ci s’immagina che possieda insieme una grande conoscenza e una grande delicatezza: e Franco Nucci si è rivelato proprio così.

Carole Blumenfeld: Sono rimasta impressionata nel vedere gli occhi di Nucci brillare di piacere, scorgendo quanto gli artisti fossero felici a Saint-Étienne.

Alfredo Pirri: Questa è una caratterista dei veri collezionisti. Franco, poi, non lo definirei neppure un collezionista. È una figura un po’ diversa, perché non mi pare che abbia il gusto né dell’accumulare né dell’esibire. È una persona cui piace collezionare idee, più che oggetti; relazioni, più che proprietà. In questo senso, quindi, è un collezionista un po’ all’antica. Lui stesso s’immagina così.

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