Yves Klein Lucio Fontana: Milano Parigi 1957-1962

In occasione della mostra al Museo del Novecento di Milano, pubblichiamo una straordinaria testimonianza di Fontana sulla questione dello spazio nell’arte: affrontata da lui bucando la tela, da Klein con la dimensione blu, e da Manzoni – che aveva “sopravvanzato gli americani” – con la linea.

Sotterraneo dello studio di Lucio Fontana
Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 984 ottobre 2014

“Vede, io purtroppo sono un ricercatore. Se oggi i giovani sono in un periodo di crisi ma anche di evoluzione, noi eravamo proprio nel periodo della ricerca e di una ricerca valida, perché in fondo avevamo davanti degli artisti validi. Non si può disconoscere de Chirico, Sironi, Campigli, Morandi, pittori forse non moderni, ma sempre parte di una tradizione.

Le mie ricerche erano un po’ tutte al rovescio, a partire dal Manifesto Spaziale del ’46 dove dicevo ‘noi continuiamo la rivoluzione dell’arte attraverso il mezzo’, che è la base, è una formula. Con ciò, avrei anche potuto non far niente, perché dire attraverso il mezzo è come fare oggi l’arte con la plastica o con la luce. Fu invece l’intuizione che l’arte non era più da fare col pennello come nella pittura a dimensione di quadro o di affresco; voleva proprio dire che l’arte aveva cambiato dimensione. Non le dimensioni di primo, secondo, terzo piano. Ma dimensione come volume di idee.

Naturalmente, adesso tutto ciò può anche apparire vecchio, però ha cose ancora valide; noi dicevamo ‘adopereremo la televisione per trasmettere le forme attraverso gli spazi’ e queste sono cose che ritengo ancora valide, perché la televisione è ancora un mezzo semplicistico. Però non mi si proponga ora – come mi hanno proposto – di fare una torre alta 300 m. Mi sono rifiutato… ma anche se fosse di 20.000 m. Cos’è? La Torre di Babele, la conquista dello spazio?

Ma il cosmo noi l’abbiamo già conquistato, e c’è il satellite che dall’America trasmette per televisione in Europa le figure attraverso lo spazio. Inutile allora che io faccia una torre di 1.000 m. Che cosa ho fatto? Ho fatto una struttura che è sempre appiccicata alla terra… Sicché adesso se ho fatto una scoperta valida, questa è proprio il  ‘buco’. Però quando facevo il buco gestuale non capivano che anche chi caccia una vite, chi mette una lampada, chi fa le macchinette, come oggi, fa dei buchi gestuali per costruirle.

Yves Klein, ex voto dedicato a Santa Rita da Cascia, 1961
In alto: il sotterraneo dello studio di Lucio Fontana con le “grandi e misteriose forme in terracotta”, esposte nel marzo 1961 alla Galleria del Grattacielo di Milano, e i suoi “nuovi quadri in plastica (quadri non dipiniti a olio, cioè, ma con una nuova materia plastica)”. Da Domus 379, giugno 1961 Qui sopra: Yves Klein, ex voto dedicato a Santa Rita da Cascia, 1961. Pigmento, foglie d’oro, barre dorate e manoscritto in una scatola di plexiglas, 14 x 21 x 3,2 cm. © Yves Klein, ADAGP, Paris, 2014

Il buco, invece, era proprio fuori dalla dimensione del quadro. Liberi di concepire l’arte! Era una formula, uno più uno due. Non è che bucavo per rompere il quadro – no – ho bucato per trovare qualcosa… Scusi se parlo così, oggi lo posso dire, perché in fondo erano le mie idee, non le hanno mai capite. Dicevano: la tela, distrugge, informale… Ma non è vero. Dunque, abbiamo il primo uomo che ha fatto un segno sulla terra, ed è l’artista; poi sono venuti gli Assiri, gli Egiziani e hanno fatto la seconda dimensione, il profilo, ecc. E arriviamo alla terza dimensione che è la prospettiva, Paolo Uccello, primo, secondo, terzo piano, base, altezza, ecc. Il cosmo è la dimensione incognita…

Allora, per uscire da questa formula, da questo quadro, da questo concetto dell’arte, io buco la tela, ed esco – idealmente – dalla schiavitù di questo piano. Mentre Pollock – per  fare un esempio – ha fatto le sue cose dopo gli spazialisti – dico gli spazialisti, non io – dopo che Crippa aveva fatto i ‘filetti’. I ‘filetti’ di Crippa nel ’50 sono molto importanti. Pollock ha buttato del colore sulla tela, cercava la dimensione nuova di uno spazio, ma ha fatto del post-impressionismo. Perché lui voleva uscire dalla tela, ma in fondo il colore l’ha buttato sulla tela.

Per me la linea di Manzoni non è stata ancora raggiunta da nessuno – come concetto di strumentazione sociale d’arte – perché è proprio l’infinito

Un altro che ha capito il problema dello spazio è Klein, con la dimensione blu; quello è veramente astratto, è uno dei giovani che ha contato. E poi Manzoni con la ‘linea’, un altro che ha sopravanzato gli americani. Con tutto quel che stanno facendo oggi, gli americani non sono ancora arrivati a Manzoni. Noi abbiamo geni superiori agli americani, ma non li sappiamo valorizzare. Ecco, la ‘linea’ di Manzoni non è stata ancora raggiunta, la si capirà tra cento anni!

Allora il ‘buco’ è lo spazio libero, e più avanti di Pollock ma di un bel pezzo. E Pollock ha fatto i suoi  quadri nel ’52-’53, noi li abbiamo fatti nel ’49, senza sculture, senza niente. Non è che io ho inventato, mi hanno imbeccato i futuristi – tempo  e spazio, ecc. – non lo nego. Anche i ‘plafoni’, in fondo, erano una scultura luminosa, non era la luce. Adesso dicono: ho fatto il lampadario, ma perché? Se io l’ho chiamato ‘concetto spaziale’, perché devono dire lampadario, oppure buco, ecc. Chissà poi perché, è un fenomeno che non riesco a capire, e sì che ho dato dei termini esatti: concetto spaziale. Chi si sognava allora di chiamare un quadro ‘concetto spaziale’? Era un oggetto e in fondo ha precorso gli oggetti di oggi…

Tutte queste cose, oggi, sono maturate in una forma perfetta, ma anche in una forma decadente… Per me la linea di Manzoni non è stata ancora raggiunta da nessuno – come concetto di strumentazione sociale d’arte – perché è proprio l’infinito. Sono cose a cui arriviamo lentamente, tornando anche indietro come ho fatto io. Sì, perché ho fatto dei passi enormi indietro per riprendermi. Per passare dai buchi ai tagli ho avuto periodi decadenti, e non è che abbia migliorato, perché il buco e il taglio sono la stessa cosa. Il mio rapporto con il Barocco, anche lì c’è un’altra accusa.

Nel ’32 ero iscritto ad Art et Création astratta e facevo un astrattismo libero, non geometrico; poi la figura dorata, un po’ barocca…sì ma un Barocco inteso come forma che ha rotto con il Classico. Io cercavo con il colore di rompere la materia, perché quel che a me dava fastidio era la schiavitù della materia, cosa che Boccioni mi aveva già suggerito. Ho fatto anche discussioni tremende con Brancusi, che era un genio mentre io ero un giovane, e lui diceva che la mia non era scultura. Dicevo: lo so, va bene, ma io non cerco il volume. Nei suoi lavori è la luce che si spezza su una forma perfetta e la leviga, mentre per Boccioni la materia era già un pretesto per ricevere la luce; la materia era in secondo piano, era la luce che giocava, e vede che c’era già lo spazio, la luce, la forza esterna. Le basi erano lì.

Copertina Domus 466; copertina Yves Klein di Pierre Restany
A sinistra: copertina di Domus 466 nel quale è stato pubblicato in origine l'articolo di Tommaso Trini Colloquio con Fontana. A destra: copertina del libro Pierre Restany, Yves Klein e la mistica di Santa Rita da Cascia, Editoriale Domus, 1981
In arte – come nel futurismo ecc. – la rivoluzione è sociale, non solo figurativa, è una rivoluzione di  pensiero… L’evoluzione dell’arte è un fatto interiore, filosofico, non è un fatto figurativo. Qui è la validità dei futuristi, dei cubisti… La linea di Manzoni è un fatto di filosofia pura, e oggi non c’è un filosofo che abbia un’idea altrettanto perfetta. Oggi abbiamo una letteratura che è rimasta molto indietro… quando vedo la letteratura di Moravia, di Pasolini, i film di Fellini, io divento una bestia! Perché, veramente, la pittura ha detto cose che la letteratura di oggi non ha ancora capito, l’arte ha fatto una rottura molto più grande. Il gioco di Le Parc in cui la luce fa i raggi e distrugge la forma – è validissimo perché l’uomo della  strada scopre che l’arte non è più fatta con l’affresco al muro o con il quadro. Così pensa e va maturando, fino a capire se l’arte avrà ancora una ragione d’essere o se l’arte ha finito la sua funzione.
L’arte è una creazione dell’uomo, non è un fatto materiale come mangiare o dormire, ed è una creazione che a un dato momento può anche finire, può essere superata da altre scienze. L’arte non è che evoluzione del pensiero, e se il pensiero dell’uomo si evolve fino a prendere dimensioni tali che l’arte diventa a un certo momento un fatto semplicistico, allora l’arte finisce. È come per il disegnare delle grotte di Altamira: tanto di cappello! Però nei fumetti fanno ormai migliaia di cavalli di scorcio, di profilo, insomma in questi disegni ci sono ventimila anni di civiltà, è tutto un accumularsi di scienza. L’arte può diventare tanto semplicistica da essere, non dico ripudiata, ma sorpassata. Qui vicino abbiamo il centro dell’Euratom, ed è una bellezza parlare con questi scienziati, con i biologi… Lei sa come la biologia è avanti, vogliono creare la vita… sa, loro lo dicono così, ma a me fanno venire il freddo addosso.
L’arte è una creazione dell’uomo, non è un fatto materiale come mangiare o dormire, ed è una creazione che a un dato momento può anche finire, può essere superata da altre scienze
Quest’ultima formula che ho fatto, l’ho chiamata la ‘pillola’ perché prendo le cose con scherzo. Però, la pillola ha già fatto più morti di una guerra atomica, pensi a quante migliaia di donne prendono a pillola e a quante migliaia di esseri non nascono. Allora, invece di fare un monumento alla Gloria, alla vittoria di Samotracia, ho fatto questo uovo con un taglio che è un monumento alla pillola, che socialmente è oggi importante come la vittoria di Samotracia, come una guerra vinta o persa.  Non credo che l’artista esisterà sempre, non è vero, non vede che l’artista non è più come prima?
Noi siamo nati in un mondo in cui si parla d’arte, ma di qui a cinquecento anni non si parlerà più d’arte, si parlerà d’altri problemi, e l’arte sarà come andare oggi a vedere i due sassi messi assieme dal primo uomo  delle caverne. Noi parliamo di cose che l’uomo ha fatto mentre era sulla terra, ma pensi se l’uomo avrà tempo di fare l’arte mentre viaggerà per il cosmo. Anche il giovane d’oggi è ancora legato alla terra; bisogna che l’uomo si svincoli completamente dalla terra. E siccome io credo all’intelligenza dell’uomo – è l’unica cosa in cui credo – allora sono convinto che l’uomo nel futuro avrà un mondo completamente nuovo”. 
© riproduzione riservata

fino al 15 marzo 2015
Klein Fontana – Milano Parigi 1957-1962
a cura di:
Sivia Bignami, Giorgio Zanchetti
Museo del Novecento
Piazza Duomo, Milano

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