I progetti che ho sviluppato rivelano come queste enclave presentino al loro interno una qualità urbana tale da poter dire che esse “possiedono qualcosa della città” [2]. L’edificio sorge ai margini di Nairobi, su un sito di pregio rivolto verso quella che oggi è una foresta protetta, alla fine di una tranquilla strada residenziale dalla quale si aprono scorci sulla vallata.
Amministrata e tutelata oggi con grande cura, la foresta ha visto ricomparire, a pochi passi dal centro città, piante e animali selvatici tra cui scimmie, antilopi e aquile.
Il complesso ha origine dall’idea di un edificio adagiato su un declivio e composto da una serie di ambienti su un solo piano. I tre padiglioni [3] che contengono queste stanze sono collocati uno accanto all’altro e dimensionati in altezza in modo da seguire la pendenza della dorsale. La casa più in basso e quella centrale ospitano rispettivamente la zona notte e gli ambienti della zona giorno. L’abitazione superiore è concepita per i membri più anziani della famiglia e queste strutture, avvicinate, vanno a formare un’area a uso collettivo.
L’ingresso alla proprietà rappresenta la continuazione della strada, dalla quale inizia una graduale discesa dalla dorsale, ed è incorniciato sulla sinistra da un muro di pietra squadrata a mano. Quest’ultimo conduce verso il punto mediano nell’appezzamento di terreno, dove si parcheggia e da cui si completa a piedi il tragitto fino all’entrata.
La villa genera una sequenza di stanze esterne di tipo diverso (coperte e scoperte, intime e comuni) orientate verso i quattro punti cardinali. Una cucina e una sala per le riunioni familiari si aprono sul giardino posteriore, condiviso con il padiglione occupato dagli anziani della famiglia, a sua volta composto da una serie di ambienti a un piano organizzati con semplicità.
Continuando a scendere, il padiglione inferiore ospita una serie di camere da letto. Tra le due residenze è posto un atrio di connessione con scale che portano a un’infilata di stanze per gli ospiti, collocate più in basso rispetto al padiglione della zona notte. Questa parte del complesso, da cui lo sguardo spazia sulla vallata, rimane chiusa alla vista degli occupanti abituali e dei visitatori. I tre padiglioni sono coperti da un unico tetto con ampie falde sporgenti. Sul tetto è collocata una costellazione di aperture per convogliare luce e aria fino nelle parti più interne dell’abitazione, canalizzando le correnti di aria calda nel corso della giornata.
È importante comprendere che non è possibile vedere l’intero edificio da nessun punto di osservazione particolare, e ciò fa sì che esso non si presenti mai come oggetto. La struttura non fa altro che rivelarsi gradualmente, in maniera episodica: una composizione di stanze disposta su un pendio e raggruppata sotto l’ala di un unico tetto.
L’arenaria di provenienza locale è tagliata in sito e, dopo la posa in opera, viene finita completamente a mano. I muri creano l’impressione di trovarsi di fronte ad antiche rovine, sopra le quali è stata collocata una lastra di cemento a definire le aree abitate. Il tetto è simile a un pavimento o a una piattaforma all’altezza della tettoia naturale formata dagli alberi, e ha la stessa scala di uno spazio urbano circondato da pareti di alberi.
A Nairobi, che sorge a 1.800 m sul livello del mare, la temperatura media diurna è di 24 °C tutto l’anno. Questo clima favorevole e la limitata tradizione costruttiva nell’ambito di una città relativamente giovane hanno portato alla nascita di un centro composto da edifici con facciate sottili, in cui si fa ampio uso di aria condizionata nei momenti più caldi della giornata. Per evitarne l’utilizzo, il nostro edificio presenta finestre molto rientrate e un tetto e pareti di notevole spessore che offrono un’alta massa termica.
I bocchettoni per l’immissione di aria e luce possono essere controllati manualmente per aumentare la ventilazione. La struttura, sviluppata dall’ingegnere keniota IB Patel (formatosi allo studio SOM di Chicago, ha collaborato con Louis Kahn negli anni Sessanta) fa uso di uno scheletro di cemento necessario innanzitutto per stabilizzare l’edificio, che sorge su un terreno sismico. L’ampio tetto inclinato raccoglie l’acqua piovana che viene poi riutilizzata e permette la collocazione di pannelli solari da cui deriva l’energia necessaria per il fabbisogno della casa.
1 La serie è costituita da Brick Leaf House (2004), Painted House (2012) e Lost Villa (2014): su quest’ultima casa sarà pubblicato un volume in uscita nel febbraio 2015 presso l’editore one hundred and one books
2 Roger Diener, Martin Steinmann, Das Haus und die Stadt. The House and the City, Birkhäuser Verlag, Basel 1995
3 “Padiglioni di stanze”: tre di questi sono avvicinati agli angoli per formare uno spazio a uso comune, chiuso su tre lati
Lost villa, Nairobi, Kenya
Programma: residenza
Progetto: Jonathan Woolf Architects
Gruppo di progettazione: Jonathan Woolf, Carlos Sanchez, Ben Wright, Diego Calderon
Strutture: IB Patel
Carpentieri: Wood Products Limited
Impianti idraulici: Yogi Plumbers
Impresa edile: Vinayak Builders
Realizzazione impianti elettrici: Relcon Power Systems
Estimo: Barton Baker
Lavabi in pietra, illuminotecnica: Darshana Raja
Progettazione paesaggistica: Bruce Hobson – Junglescaper
Area del sito: 6.000 mq
Superficie totale: 1.320 mq
Progetto: 2009–2011
Realizzazione: 2012–2014