Puzzle Housing

Ispirato dal tessuto urbano iperframmentario di Tokyo, Ryue Nishizawa reinventa il concetto di condominio grazie a un organismo residenziale dove ogni singolo spazio domestico ha una sua precisa identità. Testo di Akira Suzuki. Photography by Norimichi Kasamatsu. A cura di Kayoko Ota, Joseph Grima.
 
Un’adunanza di stanze fragili
Akira Suzuki
1. L’area è un vero e proprio labirinto delimitato da schiere di condomini, grigi e tutti uguali. Qua e là, la presenza di finestre sembra significare che quei minuscoli appartamenti sono abitati; eppure, dalla strada, tutte le aperture appaiono schermate contro sguardi estranei, e gli spazi non lasciano trapelare alcun segno di vita. Per chi non è di qui, perdersi è facilissimo. Passa l’occasionale furgone delle consegne, e ci si chiede come sia possibile districarsi in questo dedalo di viuzze. Questi tipici paesaggi residenziali suburbani si sono moltiplicati tutto intorno a Tokio. Sono popolati in gran parte da single o coppie, da persone prive di un reale legame col luogo: abitanti di interni perfettamente anonimi, spazi riparati da un unico strato di intonaco che ricopre esili strutture in legno e chiude fuori la città (1). I Moriyama Apartments di Ryue Nishizawa non sono solamente situati nel bel mezzo di questa tipica distesa suburbana (fatta principalmente di appartamenti in affitto dalla struttura in legno): il loro progetto porta a rivivere quello stesso processo che ne ha determinato la crescita. Perché, da quel che ho sentito, proprio come le file di case dalla struttura in legno che li attorniano, questi appartamenti per single e coppie (alloggi di una o due stanze) sono nati quando i proprietari del terreno hanno deciso di riedificare, e hanno frazionato sempre più i loro appezzamenti per evitare le tasse di successione: sono perciò frutto dello stesso fenomeno che ha generato le estese periferie giapponesi. (E a mio modo di vedere, per quanto riconosca la mia tendenza a considerare le cose con un certo sarcasmo, i Moriyama Apartments non fanno che riprodurre questo processo ad un passo comicamente accelerato). Nishizawa afferma di aver scelto consapevolmente di non realizzare un singolo blocco residenziale, che sarebbe risultato fuori scala rispetto al circondario. Ha preferito “non limitarsi a proporre degli spazi interni”, ma ha voluto “trarre ispirazione dal senso di comunità tra gli anziani che si incontrano in qualsiasi angolo verde o tra gli spazi che spuntano qua e là tra le loro minuscole abitazioni”, tentando di ricreare quest’atmosfera nel nuovo complesso. Questa decisione lo ha condotto a concepire degli “appartamenti localizzati con cortile”, ovvero un programma di unità indipendenti inframmezzate da cortili secondo quello che risulta essere essenzialmente un algoritmo a scacchiera di volumi costruiti e spazi vuoti. Come condizione suppletiva, è stata prestata particolare attenzione a non disporre finestre in posizione speculare. Ma anche così, l’attuazione di un tale programma per la costruzione di piccoli alloggi a Tokio - uno schema mirato a ottenere una configurazione dall’aspetto non uniforme - ha finito inevitabilmente per produrre appartamenti - o, piuttosto, singole unità - di dimensioni ancora più piccole del normale. Il che spiega perché Nishizawa abbia scomposto ciascun “residence” dei Moriyama Apartments in differenti sub-unità - soggiorno in una, bagno in un’altra – così che i molti “blocchi costruttivi” si sono rimpiccioliti a una misura minima, alcuni grandi quanto una cabina telefonica (la doccia). Naturalmente, il lato positivo di questo frazionamento è che ogni spazio “superfluo” ritagliato da queste sub-unità ospita piccoli giardini privati o sentieri divisori. Il volume di ciascun “blocco costruttivo” è perciò multiforme; compare anche una grande varietà di altezze e di livelli, così che alcune unità sono scavate nel terreno, altre sollevate da terra. L’interscambio tra spazi interni e vuoti esterni si traduce in una certa grazia musicale, ma sottolineare solamente la loro sottigliezza compositiva non basta a descrivere la singolarità di questi appartamenti. La mescolanza apparentemente casuale di volumi architettonici si presenta all’esterno come una sottile pelle che avvolge le stanze occupate da single e coppie, creando l’illusione di trovarsi di fronte a bolle di sapone abitate.

2. Guardando ai progetti che ho davanti agli occhi, scopro che le sub-unità presentano una intrigante varietà di sigle. Il committente e proprietario dell’intero lotto abita nell’edificio A, mentre gli Edifici B, C e D ospitano unità in affitto: Edificio A: piano terra/studio; 1°/camera 1; 2°/ripostiglio; 3°/camera padronale Edificio B: 1°/dispensa (ma quella che porta su allo studio al 2° non è una scala?) Edificio C: 1°/soggiorno Edificio D: 1°/bagno (con pareti in vetro, nientemeno) Rintracciando i nomi di tutte le ramificazioni, si nota che le stanze padronali si dividono in due camere: uno studio seminterrato per le attività giornaliere e una “dispensa” per esigenze alimentari. All’occupante dell’Edificio E, dalla forma a torre, segnato col nome di “governante”, è apparentemente affidato il compito di portar in casa la bicicletta attraverso la cucina: pianterreno/lavanderia (con vasca da bagno e doccia); 1°/cucina; 2°/stanza della governante. Il più grande Edificio F consiste invece di: 1°/stanza per gli ospiti; 2°/solarium (bagno e gabinetto sullo stesso piano); 3°/camera da letto. Comprende anche una “stanza per le feste”, con tanto di terrazza sul tetto. Annesso direttamente alla torre dell’Edificio F, l’Edificio G è semplicemente un bagno-gabinetto. Anche quella dell’Edificio I è una struttura abbastanza semplice: 1°/atelier; pianterreno/bagno. L’Edificio J è il più piccolo: 1°/camera da letto (con bagno e gabinetto celati in uno sgabuzzino). Ciò nonostante mi dicono che ci siano progetti per coltivare un vero giardino esterno. Una tale varietà di ruoli – proprietario, single, coppia, creativi – è decisamente singolare: una casa d’appartamento con una sceneggiatura di questo tipo, che prevede una così ampia varietà di stanze individuali, invita alla lettura di scenari diversi. Chi passeggerà dove e a che ora? Che tipo di feste daranno? Che genere di jam session terranno? Chi cenerà con chi e dove? Di cosa parleranno? Che livello di formalità adotteranno? Uno studio seminterrato, una stanza da bagno “aperta” posta al secondo piano, una cucina isolata – la mente esita nell’immaginare ciò che avverrà all’interno di ciascuno spazio. E pur senza dover necessariamente obbligare il proprietario e gli affittuari a condurre vite eccessive o sregolate, una lettura più attenta della progettazione degli Apartments sembra in verità animarsi di immagini in linea con l’improvvisato progettare per correzioni successive che Rem Koolhaas ha identificato col modo in cui ha preso forma Manhattan (cfr. il suo Delirious New York). Anche se io fatico un poco a crederci, Nishizawa mi dice che il suo staff ha assegnato dei nomi agli spazi delle varie sub-unità solamente per convenzionali esigenze di approvazione del progetto. Intendo dire che, nel suddividere dei volumi così vari in quelli che fondamentalmente sono dei cubi, seppellendone certi, sospendendone altri, l’intento legato alla decisione di esporre i vari interni può solo essere quello di invocare la narrativa o il teatro. Qualcosa di completamente diverso dall’equo-e-identico abitare collettivo delle teorie progettuali del Modernismo.

3. Nel suo Sade, Fourier, Lodola (1971), Roland Barthes individua una scrittura comune per queste tre figure all’apparenza così diverse per gusto, credo e ideologia sociale. Barthes sottolinea infatti che, mentre ognuno formulava a turno un linguaggio dell’erotismo, un linguaggio per descrivere il benessere sociale e un linguaggio per interpretare la volontà di Dio, in realtà i tre autori evidenziano quel che potremmo definire un meccanismo moderno per la produzione di significati razionali. In modo molto simile, io leggo intuitivamente la scrittura di questi Moriyama Apartments [sceneggiati da Nishizawa e dal suo staff] all’interno di una composizione spaziale di “stanze” fragili e vulnerabili come una narrativa altamente razionale, eppure sorprendentemente vertiginosa. E, come nel caso dei tre “formulari linguistici” di Barthes, l’impegno di Nishizawa nel creare questi edifici non è stato né quello di chi vuol proporre una comunità progettata da un architetto, né quello di un antagonista del concetto di famiglia: è stato piuttosto la volontà di suggerire possibili espressioni della società attraverso le realtà qualitative dello spazio architettonico.

4. L’aver battezzato così giocosamente volumi tanto diversi, spazi altrimenti difficili da spiegare (specialmente a un impiegato del Comune), tende a spogliare elementi costitutivi come le pareti, i soffitti e i pavimenti di qualsiasi rilievo architettonico, e a renderli una struttura del tutto uniforme. Elementi strutturali in lamina d’acciaio sono usati in tutto il complesso (come indicano visibilmente le lastre di cemento), il che rende superflua qualsiasi resa nel dettaglio di porte e finestre. Grondaie e condutture di servizio sono celate all’interno delle uniformi pareti da 85 millimetri, e non offrono alcun lirismo architettonico. Nei dettagli e nella struttura è possibile forse rintracciare un senso di trasparenza o di integrità spaziale simili a quelle di Kazuyo Sejima, con cui Nishizawa spesso collabora nei progetti di SANAA. Trasparenza, apertura, casualità - queste qualità trascendono le norme tipologiche dell’edilizia residenziale verso uno stile più universalmente popolare. Ma anche così, in questi Moriyama Apartments la riduttiva suddivisione degli spazi al minimo assoluto offre una trasparente fragilità di forme, diversa da tutto quel che abbiamo fin qui sperimentato, un senso di apertura agli effetti emotivi tale a quello che solo un corpo nudo conosce. E così La configurazione delineata da questi Moriyama Apartments si svincola dall’architetto e inizia automaticamente a generare narrative proprie.

(1) I minimarket aperti 24 ore incoraggiano questo stile di vita anonimo (cfr. il nostro Do Android Crows Fly Over the Sky of an Electronic Tokyo?, AA Publications, 2001)

Akira Suzuki Professore alla Kobe Design University Graduate School e critico d’arte, risiede a Tokyo. È direttore del Workshop for Architecture and Urbanism e della rivista online Telescoweb (www.telescoweb.com). È autore di Do Android Crows Fly Over the Sky of an Electronic Tokyo? (Architectural Association Publications, London, 2001).
Fotografia aerea del sito
Fotografia aerea del sito
Nishizawa ha cercato di non “limitarsi a proporre degli spazi interni”, bensì di dislocare i volumi abitativi in maniera tale da favorire l’uso degli esterni. I vicoli e gli spazi fra le abitazioni sono luoghi di incontri casuali che accrescono il senso di comunità del quartiere
Nishizawa ha cercato di non “limitarsi a proporre degli spazi interni”, bensì di dislocare i volumi abitativi in maniera tale da favorire l’uso degli esterni. I vicoli e gli spazi fra le abitazioni sono luoghi di incontri casuali che accrescono il senso di comunità del quartiere
Nonostante la vicinanza fra gli edifici, è stata rispettata la privacy di ogni appartamento studiando con attenzione la disposizione delle finestre per evitare che si trovino in posizione speculare. Alcuni degli appartamenti sono distribuiti all’interno di più edifici
Nonostante la vicinanza fra gli edifici, è stata rispettata la privacy di ogni appartamento studiando con attenzione la disposizione delle finestre per evitare che si trovino in posizione speculare. Alcuni degli appartamenti sono distribuiti all’interno di più edifici

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