Norman Foster: “Il futuro dell’urbanizzazione”

Nell’editoriale di Domus 1087 il guest editor spiega come la “città compatta” possa essere una strategia convincente nella pianificazione urbana del futuro.

Nei miei 60 anni di professione, sono sempre stato convinto che la chiave per un futuro veramente sostenibile passi attraverso le nostre città, sia migliorando quelle esistenti sia creandone di nuove. La responsabilità non è solo appannaggio degli architetti e degli immobiliaristi, ma anche della leadership civica delle città, dei nostri sindaci e di coloro che li sostengono. Più di recente, grazie al mio lavoro con le Nazioni Unite, ho trasmesso questo messaggio a un pubblico globale.

Ogni anno, l’organizzazione riunisce a Ginevra i sindaci di tutto il mondo in occasione del Forum dei Sindaci, di cui sono il rappresentante. Quello che segue è il discorso programmatico che ho tenuto alla terza edizione dell’evento, il 3 ottobre 2023, che racchiude le mie convinzioni e il modo in cui le trasmetto a coloro che possono cambiare le nostre città per renderle veramente sostenibili, sia ora sia in futuro.

Credo nella città compatta prima di tutto perché le statistiche dicono che è meno inquinante, usa meno energia e ha un’impronta di carbonio inferiore. Maggiore è la densità, meglio è per l’ambiente.

La città è stata considerata la nostra più grande invenzione. In effetti, rappresenta il futuro: i centri urbani producono il 90 per cento della ricchezza mondiale – e anche il 70 per cento delle emissioni di gas serra – nonostante occupino solo l’uno per cento della superficie del pianeta. È stato anche affermato che, tra meno di un trentennio, con l’incremento demografico che arriverà a un picco di quasi 10 miliardi, due persone su tre vivranno in città. Perciò, le città devono crescere e trasformarsi. La maggior parte di questa espansione avrà luogo in Africa, Asia e America Latina. 

Anche se questo processo coinvolge molti tipi di ambiente urbano, le lezioni sul futuro della città sono universali. Trascendono i confini, le regioni e i Paesi. I sindaci sono chiamati e decidere come gestire le loro città per migliorare la qualità della vita ma, allo stesso tempo, ridurre l’impronta di carbonio. Credo che sia possibile conciliare questi obiettivi. Il mio suggerimento è favorire, con il potere della zonizzazione, la “città compatta”, ovvero quell’insieme costituito dal centro storico − che di solito coincide con la sua origine, per quanto nel tempo possa trasformarsi in modo spettacolare − e alla rete di quartieri che, idealmente, sorgono attorno a esso e ne sono dipendenti. In questi quartieri si può andare a lavorare a piedi, giocare, fare acquisti, ci sono le scuole per i propri figli. Dovrebbero essere ben integrati e sostenuti da un trasporto pubblico efficiente. 

Copertina di Domus 1087, febbraio 2024

Quando si pensa alla zonizzazione occorre ricordare che le aree industriali – un tempo sporche e fuori dal nucleo urbano – oggi spesso sono pulite e quindi compatibili a integrarsi con le abitazioni, favorendo così la prossimità del luogo di lavoro. Credo nella città compatta prima di tutto perché le statistiche dicono che è meno inquinante, usa meno energia e ha un’impronta di carbonio inferiore. Maggiore è la densità, meglio è per l’ambiente. Inoltre, in questo tipo di comunità la gente trascorre più tempo perché camminare è meglio che spostarsi in auto. Il che non significa essere contrari all’automobile – personalmente ne sono un appassionato –, ma di fatto la città percorribile a piedi è più sostenibile e più sana, oltre che più sicura, perché se c’è attività 24 ore su 24 c’è anche autodisciplina.

Secondo numerose indagini indipendenti, questo è il tipo di città che le persone desiderano visitare da turisti, perché sono attraenti. Cosa più importante, ci si vuole vivere e far crescere la famiglia. Perciò, per sostenere questo modello bisogna scoraggiare la dispersione. Lo sprawl consuma energia, crea inquinamento e divora il suolo. Conosciamo gli argomenti a favore della natura in città: portarvi il verde sotto forma di alberi, che assorbono anidride carbonica e riducono l’effetto isola di calore, la rende più umana e più bella. Coltivare la bellezza è un bene anche per la salute mentale.

In molte aree urbane, il problema degli alloggi è grave, per via della ridotta disponibilità economica di chi fornisce i servizi: penso a infermieri, medici, pompieri e poliziotti. Devono trovare una sistemazione dentro la città, non essere costretti a fare i pendolari a causa dei prezzi. Ho conosciuto città e amministrazioni locali – lontane l’una dall’altra come Singapore e Vienna – dove esistono modelli straordinari di abitazioni a prezzi accessibili che non si traducono necessariamente in architettura tetra e opprimente. Spesso vi figurano alcuni tra gli alloggi più belli, sperimentali e pionieristici: esempi di eccellenza da cui trarre lezioni. L’energia pulita è anch’essa al centro dello sviluppo dell’economia e dei centri urbani. Iniziative come la trasformazione dei rifiuti in energia dovrebbero far parte della ricetta complessiva. 

Coltivare la bellezza è un bene anche per la salute mentale.

La pratica del riciclo è importante anche in architettura: l’edificio più sostenibile è quello che si può riciclare, invece che demolire e ricostruire. In molte città ci sono ancora palazzi per uffici obsoleti, mentre vengono costruiti edifici più sani con ambienti che favoriscono una comunicazione al passo con i tempi. Costruzioni per uffici di una determinata fase storica rimangono vuoti, e diventano fonte di costi. Per la maggior parte, si tratta di volumi piuttosto bassi, con un nucleo centrale e magari con un interpiano ridotto, quindi non adatti a ospitare ambienti liberamente modificabili.

Quindi non sono luoghi di lavoro contemporanei e del futuro. Possono però essere riconvertiti in edifici residenziali. Immaginiamo allora che la zonizzazione favorisca questa riconversione in abitazioni e che, in cambio di questa possibilità, un immobiliarista destini una certa quota di alloggi ai lavoratori essenziali, esattamente nel luogo dove devono essere. Credo che questo modello offra possibilità molto interessanti.

Che cosa definisce una città? Oltre agli edifici, sicuramente c’è il Dna, l’aspetto e il modo in cui funziona. Le infrastrutture sono il collante urbano che unisce i singoli edifici: sono le vie, i viali, i parchi, i ponti e il trasporto pubblico a determinare il successo di un centro urbano città. Migliorarle è la chiave della lotta al cambiamento climatico, oltre che quella della vivibilità, lo spirito di ogni città, di qualunque tipo sia. Rispetto al passato, oggi abbiamo a disposizione dati che possono essere d’aiuto nella pianificazione. Una straordinaria quantità di dati sulle città è aperta a tutti. Mettendoli insieme, si può usare la tecnologia dei modelli digitali per evidenziare le implicazioni delle trasformazioni, prima di porle in atto. Per esempio, la crescita della pedonalizzazione e l’incremento della diffusione degli alberi: saranno i dati a suggerire i luoghi migliori in cui piantarli. 

Perciò la manipolazione di questi dati non deve calare dall’alto: nasce dalla base. Questi modelli interattivi possono essere condivisi in centri comunitari e aree locali. Le città che non dispongono o non possono permettersi questa tecnologia possono sfruttarla con la collaborazione delle università locali. La Norman Foster Foundation sta creando un istituto che disporrà di un laboratorio di questo genere per formare e perfezionare i dirigenti urbani di domani. Pensiamo al potere benefico che i sindaci potranno sviluppare grazie a questi strumenti comunitari che superano opinioni e pregiudizi con dati fattuali. Assieme, i sindaci possono unire saperi ed esperienze arrivando a realizzare un piano, fino a progetti pilota che, in un primo momento, possono essere di breve periodo, ma che sono rivolti in definitiva a obiettivi sostenibili di lungo periodo. Perciò guardo con entusiasmo al ruolo di queste figure istituzionali a cui auguro ogni successo.

Immagine di apertura: Vista aerea del quartiere di Chelsea, Londra. Foto © Nigel Young / Foster + Partners

Speciale Guest Editor

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