Negli ultimi tempi la città di Roma è stata oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica, che ha evidenziato più i suoi mali e le sue difficoltà – politiche e amministrative – che le sue virtù. Di fronte a una profonda crisi economica, la capacità che la sua classe tecnico-amministrativa ha avuto nell’impostare politiche plausibili di programmazione urbana e gestione del territorio, è stata limitata e anche oggi – vedi la vicenda dell’iniziativa dello stadio della Roma – mostra molte difficoltà nel definire scenari chiari e adeguati al livello di altre capitali europee. La letteratura disciplinare recente sulla città è stata poco attenta ai problemi di Roma, e comunque poco efficace, oppure autoreferenziale, nel sollevarli all’attenzione pubblica.
Il testo di Marco Pietrolucci mette in relazione due nodi critici specifici che riguardano lo sviluppo urbano di Roma: il Piano Regolatore Generale, ormai entrato nei primi dieci anni di vita dalla sua approvazione, riconoscibile e forse già obsoleto, e il GRA, Grande Raccordo Anulare, l’anello viario metropolitano che cinge la città. Questi due sistemi sono messi in “reazione reciproca” dallo studio di Pietrolucci: il primo un complesso astratto di regole prevalentemente quantitative complesse e programmaticamente non chiare nella definizione degli assetti insediativi che determinerà; il secondo, una infrastruttura fisica, margine tra una Roma interna consolidata o in trasformazione e una Roma esterna, delle periferie recenti formali e non e degli insediamenti dei servizi, in perenne dialettica tra città e campagna.
Oggi Roma accoglie poco meno di tre milioni di abitanti su un territorio di 1.290 Kmq, che è il quasi il doppio di quello di Parigi, abitato però da circa 6,7 milioni di abitanti.
L’ipotesi del testo parte da una considerazione realistica e operativa al contempo: il PRG non è più lo strumento in grado di definire una pur vaga formalizzazione delle possibili trasformazioni della città; la città è per definizione un corpo metamorfico e continua a crescere attraverso una miriade di strumenti attuativi. L’individuazione di un modello policentrico di città individuata dal Piano è una giusta intuizione, ma appare astratta perché priva di una reale formalizzazione progettuale e presenta serie difficoltà ad attuarsi. Nel frattempo la città cresce in modo caotico assecondando una tradizionale bassa densità edilizia, tra regolarizzazione di aree abusive, diritti edificatori privati contrattati con la pubblica amministrazione e una grave carenza del sistema infrastrutturale a tutti i livelli (metropolitano, urbano e locale).
Nell’idea dello studio le Microcittà superano l’attuale divisione amministrativa dei Municipi che non risponde, nella sua attuale perimetrazione, a un minimo grado di coerenza rispetto ai caratteri antropici e socioeconomici, ambientali ed ecosistemici che li costituiscono. Pietrolucci scommette sul sistema-segno riconoscibile del GRA e sulle sue interazioni con i sistemi insediativi al suo intorno, ipotizzando uno spazio ancora possibile per una prefigurazione progettuale strategica – dotata di scenari formali definiti – finalizzata allo lo sviluppo della città. Pietrolucci si applica al caso di studio del quadrante Ovest della città, nella definizione di tre nuove Microcittà.
Completano il libro i contributi di Giovanni Caudo, Francesco Cellini, Daniel Modigliani e Franco Purini, che raccolgono lo stimolo proposto per riflettere sulla inquietante fotografia della città pianificata e su una possibile operatività dei modelli progettuali proposti dallo studio. Il volume apre per la prima volta, dopo molti anni, alla possibilità di nuove riflessioni per lavorare sulla Roma prossima.