di Davide Vargas
Me lo ricordo Masto Mauro. Si pronunciava con la doppia all’inizio del nome. Aveva un vecchio cappello di feltro nero incollato sulla testa e denti sbeccati. Con lui mio padre ha costruito. Ampliato. Modificato.
Masto Mauro aveva una caldarella e una cazzuola e costruiva senza squadro e senza livella. Un’ombra a me, diceva indicando gli allineamenti al tizio che teneva l’altro capo della lenza. Perciò la casa è così storta. Ma contiene in sé il tema del progetto. Come fai a raddrizzarla?
La voce della nonna nel crepuscolo richiamava alla cena. Tutti aspettavano un richiamo in quelle ore intermedie sottratte alla frenesia prima che il mondo cercando di rinnovarsi reclamasse ogni spazio e tempo. Tutti aspettano ancora. E il tempo è catalogo di ogni sequenza. La scritta sulla putrella come i nomi e le date dei muratori incise nei cuori delle murature. Esistono sempre delle tracce da disvelare. E persone e cose vogliono solo farsi ricordare.
Spazio di libri. Uno ad uno scelti. Amati. Letti e compagni. I dorsi si riapproprieranno dei vuoti. Allineati. Vicinanze coerenti o nervose come parole di un’unica storia da leggere. Voci arrivano da giù. Il geroglifico: Ilva di Bagnoli è a testa in giù.
Note:
1. John Fante, La confraternita dell’uva