Francisco Brennand e l'eterno mistero dell'arte

In un'intervista esclusiva a Domus – e in occasione degli 85 anni che festeggia oggi – uno dei massimi artisti brasiliani viventi, parla della propria formazione tra Brasile, Parigi e Italia, e della sua fiabesca Oficina Cerâmica.

Francisco Brennand, nato l'11 giugno 1927 a Recife, è uno dei massimi artisti brasiliani viventi. Pittore, scultore, ceramista, ha raccolto gran parte delle proprie opere nel museo-atelier sorto dalle rovine della fabbrica di maioliche di famiglia: l'Oficina Cerâmica Brennand. Qui, in un giardino tropicale disegnato da Burle Marx, il visitatore incontra un popolo di esseri fantastici. Personaggi biblici, eroi del mito pagano, figure muliebri decollate, mostri e chimere in cui il capriccio dell'autore ha unito sessualità, ironia e fascino del maligno. È l'inquietante pantheon personale di Brennand, dominato da un eros polimorfo e cosmico. Forte di un rapporto sempre caldo e pulsante con la materia, la sua opera si richiama agli elementi primordiali e a concetti ancestrali come la Madre Terra, più che alle avanguardie del XX secolo.

Comincerei dal principio: quando ha deciso – o si è reso conto – che sarebbe diventato un artista?
È difficile definire il nostro primo contatto col mondo nebuloso della pittura e dell'arte in genere. Sarebbe come chiedere a un santo in che giorno si sia accorto della propria santità. Come se per un santo fosse possibile percepire la propria beatitudine senza, in tal modo, perderla immediatamente e del tutto. Certamente devono esistere delle influenze affinché un giovane sviluppi attenzione per ciò che chiamiamo arte. Per ogni artista, però, l'origine dell'ispirazione non è la natura in sé, con tutte le sue imperscrutabili sfaccettature. Sono, invece, sempre gli altri artisti. A volte i predecessori, a volte altri più remoti. Credo che, dalla pittura delle caverne a Michelangelo e sino ai nostri giorni, non vi sia interruzione in questa infinita catena di ispirati. Vi è, d'altro canto, il necessario e innegabile apprendistato, e infatti l'arte è prima di tutto un officio, un mestiere. Non peraltro esiste a Firenze la Galleria degli Uffizi. Nel Medioevo e nel Rinascimento gli apprendisti formavano, insieme ai propri maestri, una comunità perfetta. Tutto quanto fu realizzato in ambito artistico in quelle epoche si deve all'eccellenza del mestiere.
In apertura: Oficina Cerâmica Brennand, il tempio centrale che custodisce l’uovo primordiale, emblema d’immortalità. Qui sopra: sculture all'interno del giardino dell'Oficina. Photo Celso Pereira jr
In apertura: Oficina Cerâmica Brennand, il tempio centrale che custodisce l’uovo primordiale, emblema d’immortalità. Qui sopra: sculture all'interno del giardino dell'Oficina. Photo Celso Pereira jr
Durante la sua formazione ha visitato la Francia e l'Italia. Nel nostro Paese, ha fatto apprendistato in una fabbrica di maioliche e ha studiato i grandi protagonisti del Rinascimento: quali le influenze e i risultati sulla sua maturazione artistica?
Nella casa di famiglia avevamo collezioni di quadri e di porcellane orientali. Mio padre era uomo di profonda erudizione letteraria e soprattutto musicale: suonava il pianoforte e si era perfezionato per due anni in Germania. Ma, ereditata una fabbrica di zucchero, finì per trascurare la propria vocazione che, credo, si è così riversata su di me, segnandomi per sempre. Non fui un disegnatore precoce, ma facevo caricature dei professori che non mi piacevano, soprattutto i padri maristi. Molto presto, cominciai a leggere di pittura e fui catturato dalla trinità che regge l'arte moderna: Cézanne, Van Gogh e Gauguin. Prima di loro mi avevano affascinato le incisioni di Gustave Doré per la Bibbia e per il Don Chisciotte... Quando, nel febbraio 1949, mi recai per la prima volta in Europa, a Parigi, sapevo già perfettamente quali erano i miei artisti preferiti, quelli che avrei dovuto vedere e studiare. Il mio viaggio in Italia del 1952 confermò l'ammirazione per Leonardo, Masaccio, Piero della Francesca, Donatello. Scrissi una specie di "diario italiano": poche pagine sufficienti a ricordarmi la mia permanenza a Genova, Napoli, Roma, Perugia, Deruta, Arezzo, Borgo San Sepolcro e Firenze. Solo nel 1990, in occasione della Biennale, visitai Venezia. Superfluo riportarne le impressioni: da lungo tempo ero un ammiratore di Vittore Carpaccio.
Disegno di Francisco Brennand
Disegno di Francisco Brennand
Dopo l'incontro con la maiolica italiana, dal disegno è passato a modellare la creta.
Al mio ritorno in Brasile, avevo già avuto modo di conoscere le ceramiche realizzate da Picasso a Vallauris, nel sud della Francia, gli straordinari esperimenti di Juan Mirò e, inoltre, la cappella di Saint Paul de Vence. Il contatto con le maioliche italiane fu altrettanto importante, ma credo che, ancor più di questo, a influenzarmi fu l'atmosfera incomparabile di certi paesi dell'Umbria, coi loro piccoli musei municipali e i campi di olivi a perdita d'occhio.

Ha conosciuto e ammira artisti quali Picasso, Brancusi, Balthus. Eppure non si considera "parente" di nessuna avanguardia del '900.
Non vi è artista moderno, per lo meno nel mondo occidentale, che non abbia subito l'influenza della Scuola di Parigi. Io sono uno di questi e ancor oggi tale influenza, invece di nuocermi, mi favorisce. È chiaro che sono imparentato con tutti loro, se non lo fossi sarei certamente un extraterrestre!

Mio padre era uomo di profonda erudizione letteraria e soprattutto musicale: suonava il pianoforte e si era perfezionato per due anni in Germania. Ma, ereditata una fabbrica di zucchero, finì per trascurare la propria vocazione che, credo, si è così riversata su di me.
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Celso Pereira jr
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Celso Pereira jr
Nel suo manifesto L'Oracolo Contraddetto scrive: "Le cose sono eterne perché si riproducono – lo stesso Universo è una forma di riproduzione, come la storia di un immenso desiderio. E queste forme, una volta procreate, si perpetuano nel mondo della sessualità, che è soprattutto il mondo della riproduzione". Per Eliade e Bataille la sessualità è un'esperienza mistica, mossa dal desiderio umano di eternarsi. Anche l'arte?
Non sono un filosofo ma piuttosto un pittore e uno scultore. Non pretendo di dimostrare nulla, solo di consegnarmi al mio mestiere e, a volte, di azzeccare. Quando dico che le cose sono eterne perché si riproducono, e che l'eternità è il medesimo riprodursi, è per ricordare che anche noi siamo parte dell'Universo, il quale, allo stesso modo, si riproduce. La mia affermazione, modesta o prudente, è una sola: siamo di fronte all'Enigma.
All'ingresso dell'Oficina Cerâmica Brennand, una fonte d'acqua scolpita nella forma femminile accoglie i visitatori. Photo Celso Pereira jr
All'ingresso dell'Oficina Cerâmica Brennand, una fonte d'acqua scolpita nella forma femminile accoglie i visitatori. Photo Celso Pereira jr
Ancora dall'Oracolo: "Quando dipingo sono un artista occidentale. Quando faccio ceramica sono senza patria. La mia patria è l'abisso". In che relazione si sente con la tradizione artistica del suo Paese? Nelle sue creazioni par di avvertire un "sincretismo" tipicamente brasiliano, che fa pensare all'"antropofagia" di Oswald de Andrade.
Ogni apprendistato è una forma di servitù. Ho imparato a dipingere in Europa, nel senso più ampio del termine, e sino ad oggi non sono riuscito a fuggire dal suo rigore. Quando dico che nel fare ceramica non ho patria, è semplicemente perché lavorando con la terra, con l'argilla, sono portato a condividere, a convivere con gli elementi primordiali. "Il futuro ha un cuore antico", dice l'italiano Carlo Levi. Non vedo, nel mio lavoro, una relazione più profonda con la tradizione artistica del mio Paese, che per se stessa era già profondamente legata all'Europa. L'"antropofagia" del paulista Oswald de Andrade era più una posa che un manifesto artistico. La Settimana di Arte Moderna di San Paolo durò tre giorni, e fu più che altro un tentativo di ricongiungersi al vecchio filone perduto, quello che voi europei avevate già esaurito da molto tempo: impressionismo, fauvismo, cubismo, espressionismo, surrealismo, suprematismo... Nel 1922 tutti gli "ismi" si erano già esauriti. Tuttavia quello fu un evento necessario perché, da lì in avanti, in Brasile, le cose cominciarono ad evolversi.
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Fabrizio Pesoli
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Fabrizio Pesoli
Vedo anche affinità con Aleijadinho, la cui opera è intrisa di tensione verso il sacro e di profonda carnalità: sangue e terrore percorrono tutto il ciclo della sua Via Crucis.
Aleijadinho, scultore brasiliano del XVIII secolo, è forse il nostro unico genio. Io non sono un genio, pertanto non posso paragonarmi a lui. Ammetto, però, il sangue e il terrore.

Nel suo Oracolo parla dell'artista come sciamano, "colui che intuisce il mistero". Crede questo ancora possibile? Oggi il mistero sembra svanire e l'esperienza diretta ("mangiare la creta", lei dice) cede il posto a forme di conoscenza sempre più mediata.
Gli studiosi dicono che a realizzare la pittura delle caverne sarebbero stati gli sciamani, ovvero gli iniziati. Non credo che, oggi, il mistero potrebbe mai dare il proprio crisma a un qualunque artista inquadrato nel sistema della realtà contemporanea. I postmoderni sono angeli caduti per eccellenza... Mangiare la creta potrebbe essere una via di salvezza, ma come farlo?

Dopo tante opere compiute, qual è il suo prossimo progetto?
Non ho progetti. Sono solo, così come nacqui, davanti a ciò che tutti noi dobbiamo un giorno compiere. Accettare l'inevitabile.
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Fabrizio Pesoli
Oficina Cerâmica Brennand. Photo Fabrizio Pesoli
Ritratto di Francisco de Paula Coimbra de Almeida Brennand. Photo Celso Pereira jr
Ritratto di Francisco de Paula Coimbra de Almeida Brennand. Photo Celso Pereira jr

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