Cuciture invisibili

“W. Women in Italian Design” si confronta con la questione della scarsa visibilità e con quella di genere. Ma si chiede anche se esista uno specifico femminile nelle pratiche creative.

W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Che senso ha oggi interrogarsi sul contributo delle donne alla cultura del progetto? Ha senso, innanzitutto, sul versante del riconoscimento professionale: una conquista ardua, in una prospettiva storica; in molti casi, una sorta di risarcimento tardivo, se non postumo.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Scarsa è stata la visibilità per creatività confinate in ambiti “di genere” (come il tessile, la ceramica): le prime laureate in architettura si affacciano in Italia nei tardi anni Venti, vere “mosche bianche” della professione. Scarsa la visibilità comunque: anche in presenza di risultati importanti nel campo della progettazione architettonica e di quella grafica, del disegno industriale e della produzione in serie, il ruolo della donna all’interno del team, della coppia professionale, dell’azienda (spesso da lei stessa creata) ha avuto, con scarse eccezioni, un riconoscimento inferiore – una difficoltà analoga all’affermazione in tanti campi della produzione culturale e scientifica nel nostro Paese. Molto più complessa è invece la questione se esista uno “specifico femminile” nelle pratiche creative: un interrogativo a cui risulta difficile dare una risposta univoca. Oggi sappiamo che, almeno in occidente, il genere, nelle sue declinazioni, è uno degli elementi in gioco all’interno di questioni legate a identità e a potere.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Si confronta con entrambe le questioni la nuova edizione del TDM “W. Women in Italian Design”, curata da Silvana Annicchiarico, responsabile del museo. La mostra rilegge il design italiano in una prospettiva di genere incrociata con le chiavi di lettura delle edizioni precedenti, per “definire un nuovo repertorio” che finalmente dia conto del Grande Rimosso di tanta storiografia novecentesca, il cospicuo contributo delle donne nei campi del progetto. Un atto necessario, quindi, quello dell’istituzione milanese, che porta all’attenzione del grande pubblico e dei media un tema fin qui affrontato in Italia solo da coraggiose battistrada, come tema di ricerca universitaria o come proposta espositiva di nicchia, a differenza di quanto è accaduto nel mondo dell’arte.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Annicchiarico attinge a piene mani dai campi dell’arte e dell’artigianato, del design industriale e di quello autoprodotto, dell’illustrazione e delle arti applicate, fino a quello della scienza, per costruire un caleidoscopio vivace e giocoso, in cui opere di pioniere, di artefici misconosciute e di artiste convivono insieme a quelle di protagoniste affermate e di promesse della scena creativa contemporanea. La mostra allora è l’occasione per collocare anche nell’empireo delle creatrici Maria Montessori, che ha lottato per una pedagogia fondata sul binomio libertà-creatività; per ritrovare, o scoprire, figure eclettiche o letteralmente eccentriche, nel senso di una marginalità geografica, come le sorelle Altara, che dalla nativa Sassari elaborano singolari linguaggi espressivi nei campi della grafica, della decorazione e delle arti applicate. Ma anche Lina Bo Bardi, precoce protagonista dell’architettura italiana nell’immediato dopoguerra (pensiamo al MSA, il Movimento Studi per l’Architettura, e alle invenzioni editoriali per Domus), che in Brasile trova spazio alla piena espressione professionale.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Molte di loro, negli anni, sono transitate in vario modo nella Triennale, ma questa occasione ce le fa considerare con altri occhi: pensiamo al faticoso riconoscimento di Franca Helg nel sodalizio con Albini, quella Helg che spesso ritroviamo, per i primi lavori di progetto, archiviata sotto la A di Antolini Helg (anche il nome è una conquista…). Dame, come lei: e cattive ragazze, quelle che dagli anni ’70 mettono in discussione l’impronta patriarcale che condiziona anche la produzione creativa. Avviano una ricerca introspettiva, danno forma ai propri archetipi, come Carla Accardi e Maria Lai, si interrogano sul processo creativo, come Marta Lonzi, prendendo una distanza – spesso ironica – dall’identificazione con l’oggetto, come poi anche Cinzia Ruggeri e tante altre. E ancora scienziate, come Cecilia Laschi e Barbara Mazzolai, che trovano nella natura l’ispirazione per sofisticatissimi robot…
Un caleidoscopio, si diceva: ma poi un fiume, che via via si ingrossa – traversato da correnti, vortici e mulinelli, anse e pozze – secondo l’intrigante messa in scena di Margherita Palli, che accoglie il visitatore con una spettacolare camera delle meraviglie monotematica, dove i naturalia e gli artificialia son tutti intrecci di fili, e il fulcro è la Tenda di Carla Accardi, in bilico tra vita e astrazione.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
La tessitura come metafora ha sempre accompagnato il lavoro delle donne: e cosa è se non una rete, nel senso contemporaneo della parola, l’immaginaria costellazione disegnata sulla parete della sala in cui si dipana la mostra? Il filo che collega protagoniste tanto diverse va ritrovato nella scelta di opere che evidenziano “aspetti di leggerezza, positività, ironia”: sono funzionali a una visione del design connotato da una componente femminile – come da tempo va sostenendo Andrea Branzi – a prescindere dal sesso del progettista, che coinciderebbe con “una visione del progetto improvvisa, incontrollabile”. Una lettura che porta alla costruzione di un percorso senz’altro avvincente e gradevole. Ma la definizione starebbe stretta a molte progettiste, pensiamo a Gae Aulenti, celebrata di recente con un premio speciale assegnato da arcVision Prize – il riconoscimento per l’architettura al femminile: se proprio devo evidenziare una caratteristica del mio lavoro in quanto donna, diceva: forse la pazienza. Pensiamo a Zaha Hadid, presente in mostra con una lampada di Artemide, che solo un anno fa raccontava che “Architecture is… like writing. This is the composition, and also you have to edit it, over and over again, so it looks seamless and effortless” (“L’architettura… è analoga alla scrittura. Questa è la composizione, e tu la devi controllare e migliorare, di continuo, finché appare fluida e immediata“). Se vogliamo, in quel seamless affiora una memoria ancestrale di “punti invisibili”: ma quanta ricerca, quanto accanimento. Proviamo a espandere idealmente la rete oltre i confini della mostra, Milano in questo momento offre sul tema diversi spunti di riflessione, qui solo accennati.
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
W. Women in Italian Design. Photo © Gianluca Di Ioia
Maria Giuseppina Grasso Cannizzo – possiamo sperimentare fino all’autunno una sua istallazione site specific all’Hangar Bicocca nella mostra “Architecture as Art” – nel presentare un suo lavoro al Politecnico lo scorso autunno si è descritta “come una ricamatrice”: la paziente operazione di montaggio e smontaggio di piastrelle d’epoca volgeva nelle sue mani in puro processo concettuale, con regole e logiche ferree, trasformando in paesaggio interno la decorazione. Trasformano in processo artistico anche la reiterazione manuale le “anti-penelopi che tessono il tempo e la storia”, raggruppate da Marco Scotini nella mostra “L’inarchiviabile”, ai Frigoriferi Milanesi. Tra loro ritroviamo, insieme all’Accardi, Maria Lai, quella stessa che ha saputo “cucire” il paesaggio sardo con il tondino e i fili dell’alta tensione. Ed è ancora su un filo che si è costruita “La sfida di Aracne”, ora una piccola mostra che ribalta l’hybris, cioè la superbia, della donna che osa sfidare gli dei con le sue creazioni: qui un fulminante disegno di Louise Bourgeois restituisce, in immagine, il senso di quella sfida; ma alla superbia sostituisce la consapevolezza. Su una carta da musica, la sua mano sinistra, ormai nodosa per l’età, è disegnata in inchiostro rosso con un fitto tratteggio di segni. All’anulare, un anello. Mano-azione, corpo-tempo-realtà, disegno-astrazione, colore-sensibilità, decorazione-simbolo… Sul piano cartesiano del pentagramma musicale.
© riproduzione riservata

fino al 9 febbraio 2017
W. Women in Italian Design
Triennale di Milano
viale Alemagna 6, Milano

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