C’è la Clever Moon, nel cratere Tycho, con una scintillante cupola geodetica che a noi terrestri ha ricordato molto la Sphere (la già famosa arena immersiva per concerti ed eventi inaugurata alla fine dello scorso settembre a Las Vegas). C’è la Lunar Layer Base, all’interno di Schomberger (regione Polo Sud), che si declina sotto una serie di successive stratificazioni allestite a diverse atmosfere. Oppure c’è la Tectum, “una vera casa lontano da casa – si legge nella schermata introduttiva – con elementi abitativi gonfiabili ciascuno progettato meticolosamente per massimizzare l’utilizzo dello spazio senza compromettere il comfort. L'illuminazione morbida e circadiana imita i bagliori a cui siamo abituati sul nostro pianeta, creando un’atmosfera rilassante in tutta la stazione”. Ma non di sola estetica funzionale si potrà vivere lassù, tra le stelle, ed è per questo che i team al lavoro hanno affrontato ogni problematica connessa al compimento della loro avveniristica missione: la protezione dell’insediamento dalle radiazioni cosmiche e solari, le fonti di approvvigionamento energetico, lo smaltimento dei rifiuti, i sistemi di agricoltura idroponica e ovviamente la costruzione vera e propria della stazione, con largo impiego di stampanti 3D fatte funzionare in situ con la regolite (polvere lunare) al posto della plastica.
È quanto abbiamo ascoltato alla YACademy di Bologna nella giornata finale di “Architecture for Outer Space”, quella in cui le cinque basi lunari immaginate dagli studenti sono state presentate e spiegate agli altri partecipanti del workshop (una ventina in tutto) e ai due tutor Giulio Rigoni e Julian Ocampo Salazar. “Il corso è stato organizzato in collaborazione con il Topical Team on Planetary Caves dell’European Space Agency ed è uno dei primi e più completi che sono emersi a livello internazionale”, racconta Alessandro Cecchini, direttore di questo centro formativo d’eccellenza. “È un settore pionieristico, nel quale a oggi sono impegnate poche decine di persone, ma che sta catalizzando molto interesse”.
Potrebbe sembrare che tutto sia riconducibile all’ambito della tecnica e dell’ingegneria, ma l’esperienza ci ha dimostrato quanto contino i contributi creativi anche in un contesto così peculiare come questo.
Quello della colonizzazione spaziale non è solo argomento dal fascino indubbio, ma una prospettiva che impegna la scienza e la ricerca specializzata nonostante gli “stop&go” imposti da imprevisti e ragioni altre. Nel caso della nuova corsa alla Luna, la missione Artemis 2 con quattro astronauti in orbita attorno al nostro satellite è stata posticipata dalla Nasa di circa un anno, e quindi non dovrebbe decollare prima di settembre 2025; Artemis 3, che invece prevede un allunaggio vero e proprio sulle orme di Neil Armstorng, è stata a sua volta spostata più in là, da fine 2025 a non prima di settembre 2026. La strada a medio e lungo termine è comunque tracciata, ed è questo l’orizzonte che occupa lo sguardo sperimentale dei giovani progettisti che hanno preso la parola alla YACademy.
“Designing a Luna Research Station” era il compito loro assegnato, e per prepararsi i ragazzi hanno seguito lezioni di “Storia e principi dell’architettura al di fuori della Terra”, “Teoria e pratica della coltivazione senza suolo”, “Disegnare per ambienti isolati e confinati, sulla Terra e nello Spazio”, oppure “Il contesto dei corpi planetari e le loro caverne”. Terminati i progetti, l’ufficio Placement dell’istituto bolognese ha sottoposto a ciascun corsista una proposta di tirocinio/collaborazione all'interno degli studi partner (Big – Bjarke Ingels Group, Morphosis, UnStudio, Foster + Partners e Skidmore Owings & Merrill). Il workshop verrà replicato anche il prossimo anno, con una novità di rilievo: una trasferta – organizzata grazie al supporto di Icon, azienda leader nella stampa 3D applicata al campo delle costruzioni – a Houston, in Texas, “capitale” dell’avventura extraterrestre statunitense, per visitare i luoghi cardine della ricerca aerospaziale e della space architecture. Commenta Alessandro Cecchini: “Potrebbe sembrare che tutto sia riconducibile all’ambito della tecnica e dell’ingegneria, ma l’esperienza ci ha dimostrato quanto contino i contributi creativi anche in un contesto così peculiare come questo. In altri termini: c’è spazio per gli architetti nello spazio”.
Immagine di apertura: Audrey Chan, Malequi Picazo, Paul Ventrice, Lunar Roots