Il professor Shlomo Angel della New York University ha affermato che l’espansione delle città è la strategia più praticabile, sostenendo che, pur avendo Lagos e Parigi la stessa popolazione, il PIL e il territorio di Parigi sono notevolmente maggiori perché, a mano a mano che ci si arricchisce, “aumentano i consumi di ogni genere”. Il problema delle città ristrette o limitate, ha affermato, è che la casa ha generalmente un costo troppo alto tranne che per pochissimi: se i poveri hanno accesso al territorio (e al mercato del lavoro) nelle periferie, saranno in grado di trovar casa da sé.
Al contrario Swilling ha sostenuto che la gestione attuale della città richiede risorse eccessive e ha proposto invece una “intensificazione strategica”, cioè un’urbanistica dell’efficienza delle risorse ottenuta attraverso la riconfigurazione delle infrastrutture. A suo parere, in definitiva, migliorare parallelamente l’efficienza di risorse e infrastrutture e la densità è il modo migliore per sostenere l’aumento della popolazione urbana, in presenza o meno di un’espansione.
È inevitabile che le soluzioni di piccola scala non siano necessariamente in grado di dar forma o tutelare la città alla stessa scala degli interventi economici, giuridici e politici.
Sono stati presentati diversi casi di importanti progetti di grande scala, a volte con un’impostazione top-down. Mentre è vero che il sindaco di Barcellona Ada Colau non può affrontare uno per uno i problemi a livello locale, molte leggi che riguardano la struttura della città sono responsabilità dello Stato e magari di un governo federale. I progetti di piccola scala non possono intervenire sulla sfera del territorio e della proprietà terriera, indispensabili all’ampliamento e allo spazio pubblico come ai progetti di infrastrutture di grande scala. Come dice Jennifer Musisi, il suo lavoro a Kampala deve anche combattere contro una legislazione che favorisce l’urbanizzazione, compresi i cinque differenti tipi di proprietà terriera vigenti in città, e contro l’assenza di una strategia che li riunisca in un unico sistema.
Il processo che dà forma alla città è multilaterale e mette in causa i concetti di diritto e di autorialità. In molti contesti le soluzioni di piccola scala sono le migliori per la qualità dei risultati progettuali e per il coinvolgimento dei cittadini, ma non necessariamente per le crisi impellenti.
Questo convegno Urban Age, che si è svolto in parallelo a una mostra compresa nel programma della Biennale intitolata Conflicts of an Urban Age, ha rappresentato una speciale risposta a due manifestazioni internazionali che hanno portato in primo piano l’architettura e l’urbanistica. Prima di tutto alle limitate risposte localizzate degli artefatti architettonici esposti in Reporting from the Front, la 15a Biennale Architettura, che sostiene che la scarsità, l’insicurezza e la deprivazione producono risposte ingegnose e progetti intelligenti. Dall’altro lato ha rappresentato il tentativo di esercitare un influsso sul programma di lavoro di UN-Habitat III, l’incontro che si tiene ogni vent’anni che si svolgerà in ottobre a Quito, in Ecuador. La diversità dei toni dei partecipanti al convegno è la dimostrazione che, quale che sia il successo di questo incontro nell’elaborare un programma coordinato, esiste un modo di realizzarlo e che la realizzazione del programma sarà – come deve essere – spezzata dal contesto in cui si svilupperà. Prendere atto di questa inevitabile interruzione – la confusione – permetterà le soluzioni contingenti che sono in definitiva necessarie per il successo e la salute della città.