Non finito

Nel padiglione della Spagna alla Biennale di Venezia lo sguardo speculativo verso le nuove rovine contemporanee, risultato della crisi economica, porta i curatori a un ottimistico cambio di prospettiva.

Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
La Spagna è il paese nel quale, dopo lo straordinario slancio propulsivo della fine del secolo scorso, seguito da un paio di decenni di grande fermento, è subentrato a partire dal 2008 il più totale e paralizzante clima di stallo, che ha colpito in particolar modo l’ambito dell’architettura.
L’improvviso mutamento delle condizioni – dalla totale assenza di risorse al cambiamento delle prospettive in corso d’opera o addirittura al verificarsi di un’effettiva inutilità delle opere in costruzione – ha trasformato straordinarie occasioni progettuali in vicende monche, inespresse, in attesa. La crisi ha lasciato sul campo numerose opere di architettura non finite, rovine contemporanee che attendono un destino in parte già segnato e in parte da riscrivere, mentre all’orizzonte affiorano grandiose opere incompiute o piccoli capolavori abbandonati.
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
Lo sguardo speculativo verso queste nuove rovine contemporanee porta i curatori a un ottimistico cambio di prospettiva, guidato da riferimenti storici di sicuro appiglio. Iñaqui Carnicero e Carlos Quintans Eiras hanno saputo trasformare la sofferta questione in una straordinaria occasione per riunire in maniera non ideologica, dentro un’unica storia e sotto un unico destino le più note e le più promettenti voci dell’architettura spagnola contemporanea. Unendo le diverse generazioni, affiora il significato più autentico che l’architettura spagnola può trasmettere, ovvero il valore collettivo di un modo di fare architettura, oggi alle prese con una nuova condizione da cui ripartire.
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
Lasciando alle spalle gli anni della massima espansione ed espressione, e l’abbandono che ne è seguito, in sottofondo affiora un’incrollabile fiducia nel valore della propria azione e la ferma coscienza del valore pubblico dell’architettura, qualcosa che la Spagna ci ha trasmesso negli anni di maggiore successo mediatico e anche oggi in quelli di maggiore difficoltà. Rimane il paradosso di uno dei paesi dove per anni si è prodotto un senso e un modo di fare architettura che si scontra oggi con l’ineluttabilità di una situazione e la difficoltà di definire una nuova forma, se non come qualcosa in divenire.
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
Unfinished, Padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2016, veduta dell'installazione
L’impronta transitoria che ne deriva denuncia uno stato di possibile trasformazione, condizione alla quale l’architettura spagnola sta cercando di dare una nuova forma nei più differenti modi di cui è capace. Lo stesso progetto di allestimento dà evidenza costruita a un’idea di transitorietà, tra estrusi in alluminio e pannelli appesi a simulare partizioni murarie incomplete. Il “non finito”, uscendo dalla categoria del pittoresco, svela l’aspetto più nudo e crudo di opere non completate, ma anche l’espressione di una nuova condizione per produrre una differente forma e un diverso significato. Ne discende una selezione di progetti tutti accomunati dal tema del costruire sul costruito, nel costruito, con il costruito, che indica una possibile nuova strada per l’architettura spagnola contemporanea.
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