Dall’igloo a Internet

Dedicata ai Nunavut, le popolazioni originarie del Canada, la mostra “Arctic Adaptations” ci racconta la transizione di una regione sconosciuta, in parte primitiva e assolutamente atipica, verso la modernità.

Arctic Adaptations Biennale Venezia
La mostra che rappresenta il Canada alla 14. Biennale di Venezia ha come titolo “Arctic Adaptations: Nunavut at 15” ed è contenuta nel padiglione ai Giardini progettato dal gruppo BBPR per il Canada nel 1958, piccola e interessante architettura che reinterpreta le forme del tipi (o tepee in inglese), la tenda degli indiani del Nordamerica.
Il tema dei territori e delle popolazioni originarie del Canada è anche il tema di questa mostra, che offre una panoramica su un vasto e sconosciuto territorio del Nord-ovest canadese, una provincia che un tempo si chiamava Northwest Territories e dal 1999, a seguito di un accordo sulle rivendicazione territoriali delle popolazioni Inuit, cambiò il nome in Nunavut.
Arctic Adaptations
In apertura: dettaglio del bassorilievo in Corian con il modello di Gjoa Haven, Nunavut, Arctic Adaptations, 2014. Qui sopra: vista della mostra Arctic Adaptations, 2014. Photos Latreille Delage Photography
Alcuni ma significativi dati: il Nunavut è un territorio di oltre 2.000.000 di kmq, in cui le terre emerse sono pari a 1.936.113 kmq e 157.077 kmq sono di Oceano Artico, facendo di Nunavut la quinta entità regionale per estensione che non sia uno stato indipendente. Il 15% di questi territori e, quindi circa 356.000 kmq – una superficie appena più grande dell’Italia – è abitata e controllata dagli Inuit, in tutto circa 35.000 abitanti che vivono in 25 diverse comunità sparse principalmente nella fascia meridionale, sempre al di sopra della linea arborea.
Queste comunità non sono collegate tra loro da strade e l’unico mezzo di trasporto (tra loro e con il resto del Canada) resta quello aereo – piuttosto che marittimo in alcuni mesi dell’anno. La popolazione di queste comunità varia dai circa 120 abitanti ai quasi 7.000 di Iqalit, capitale della regione che dista circa 2.500 km dai maggiori centri urbani del Paese. Fino al 1950, la popolazione era prevalentemente nomade e si organizzava in campi stagionali legati alla caccia e alla pesca, ma non esistevano insediamenti permanenti. Più recentemente e per motivi legati alla sovranità territoriale, al commercio e alla disponibilità di risorse naturali, la popolazione Inuit è diventata forzatamente stanziale, insediandosi in villaggi che garantiscono la fruizione dei servizi essenziali e assicurano i collegamenti con il resto del Paese.
Arctic Adaptations
Vista della mostra Arctic Adaptations, 2014. Photo Sergio Pirrone
Negli anni Sessanta del secolo scorso, questa regione è stata interessata da un programma congiunto tra USA e Canada di difesa militare (DEW – Distant Early Warning) per il quale è stata creata una linea di difesa che andava dall’Alaska alla Groenlandia ed attraversava i territori dell’Artico canadese, costituita da installazioni radar per la protezione del Nord- America da un eventuale attacco sovietico.

Gli insediamenti sono prevalentemente costruiti all’interno di baie e sempre lungo la costa, anche se il rapporto con il mare è negato, per molti mesi, da una coltre di ghiaccio che si sovrappone all’acqua, al punto tale che il mare stesso offre infiniti percorsi durante l’inverno.

Gli aeroporti sono le principali risorse di queste comunità. A Iqalit, l’aeroporto è strettamente connesso alla maglia urbana dell’insediamento ed il piazzale antistante ad esso sembrerebbe essere il principale spazio pubblico, così come l’acceso colore dello stesso diventa un’icona urbana e un elemento di forte riconoscibilità della cittadina. Oltre a un numero di edifici di servizio, scuole, centri di ricerca, centri ricreativi, questi insediamenti sono costituiti da abitazioni che usano modelli e tipologie che provengono dal sud, eventualmente resi più efficienti dal punta di vista energetico, ma con poca attenzione alle forme tradizionali di difesa rispetto alla neve, ghiaccio e venti che appartenevano agli Inuit.

Arctic Adaptations
Modelli a bassorilievo in Corian rappresentano la condizione attuale delle comunità Nunavut, mentre 5 proposte indagano il ruolo futuro dell'architettura su questo territorio, Arctic Adaptations, 2014. Photo Sergio Pirrone
Le comunità che abitavano l’Artico e che vivevano di caccia e pesca vivono, oggi, di sussidi e contributi governativi. Ciononostante, la ricerca ci dice che i servizi sono scarsi, non esistono strutture di educazione superiore, i centri ospedalieri si trovano nelle regioni confinanti e, quindi, costringono i pazienti a viaggiare per curarsi. Sul piano delle residenze, il 49% delle case sono al di sotto degli standard abitativi, spesso sovraffollate e necessitano di continua manutenzione che raramente viene effettuata. La situazione generale, quindi, non è delle migliori.

L’aspetto d’interesse della mostra al padiglione canadese non è tanto nell’incisività o pregnanza di un tema di ricerca ma piuttosto come la mostra ci racconta la transizione di un territorio assolutamente atipico verso la modernità. La mostra presenta una regione sconosciuta, in parte primitiva, che ci trasmette al tempo stesso un paesaggio forte ed essenziale, unico e irrepetibile, quasi un paesaggio al limite tra realtà e immaginazione.

Un territorio che ha solo marginalmente “assorbito la modernità” in quanto estremamente estraneo rispetto ai  processi di trasformazione che hanno interessato altre regioni e anomalo rispetto alle dinamiche che hanno favorito lo sviluppo contemporaneo. La modernità in questa regione è stata sempre declinata secondo esigenze tecniche e di efficienza funzionale per garantire a tutte le comunità uno standard di vita accettabile e la fruizione dei servizi di base.

Arctic Adaptations
Il modello animato che mostra proposte residenziali per la città di Iqaluit, Arctic Adaptations; 2014. Photo Latreille Delage Photography
È stato citato che il nord ha vissuto una rapida transizione, nell’arco degli ultimi quaranta anni, “dall’igloo a Internet”, rimarcando che  questa regione è passata repentinamente da una situazione primitiva, che rispecchiava una tradizione e cultura locale, ad una modernità virtuale. La modernità è quindi principalmente legata alla globalizzazione che ha cercato di portare questi luoghi alla pari di qualsiasi altro luogo del globo. La cultura e le tradizioni locali sono state annullate nel nome dell’illusione di un’integrazione sociale e culturale, dell’estensione della sovranità nazionale anche in queste lande remote e della volontà artificiosa di annullare i forti divari esistenti tra queste popolazioni e ogni altra popolazione del Canada.

La tensione tra diversità e integrazione si è qui consumata con la speranza che la modernità diventasse la soluzione dei problemi. Il risultato è che i ragazzi Inuit vedono in media la tv per un numero di ore superiore rispetto ai loro coetanei del resto del Canada e patatine fritte e coca-cola hanno velocemente sostituito quei cibi che erano maggiormente calibrati rispetto al clima e alla disponibilità locali.

La questione cruciale è quindi come territori, popolazione e regioni remote possano affacciarsi alla modernità e come essa si coniughi rispetto alle tradizioni locali. Infatti, proprio per questa forse irrisolta contraddizione, il Padiglione del Canada ha ricevuto una menzione dalla giuria della Biennale, appunto per “lo studio approfondito su come la modernità riesca ad adattarsi in condizioni climatiche uniche e alle esigenze di una minoranza culturale”.

Arctic Adaptations
Modello territoriale animato che mostra progetti per il turismo, Arctic Adaptations; 2014. Photo Latreille Delage Photography
La mostra inoltre presenta anche un numero di progetti realizzati per questa regione da parte di gruppi di studenti di scuole di architettura di diverse Università canadesi, guidati da studi professionali che avevano già un’esperienza maturata nella zona dell’Artico e che hanno lavorato insieme con rappresentanti delle comunità locali. Questo connubio ha creato delle forti e positive dinamiche all’interno dei gruppi di lavoro con reciproche e molteplici influenze. Inoltre, la comunità locale era altamente motivata dal fatto che questo lavoro sarebbe approdato a Venezia alla Biennale, dando quindi una visibilità internazionale al loro lavoro ma soprattutto alla loro regione. I progetti propongono una visione futura per la regione di Nunavut, dove lo sforzo è quello d’interpretare in maniera più critica e contestuale il carattere di questi luoghi per creare architetture maggiormente legate al luogo.
I progetti fanno da controparte rispetto alla pregnanza dell’obiettivo principale della mostra che è quello di raccontare un territorio sconosciuto, remoto ed affascinante. Non essendoci mai stato personalmente, ma sicuramente interessato a intraprendere nel futuro un viaggio nella regione artica, ho per ora semplicemente e banalmente usato lo strumento di Streetview di Google Maps per fare una passeggiata virtuale in quei luoghi. Quello che ho visto è di sicuro interesse. Lo consiglio a tutti.
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