La strada è un teatro

Al Teatro Oficina di Lina Bo Bardi, Domus incontra il mitico animatore della compagnia, un tropicalista convinto del fatto che, se la città si lascia cannibalizzare dal teatro, ogni architettura può diventare uno spazio scenico.

Un intero pomeriggio all'Oficina: il fantastico spazio di sperimentazione teatrale realizzato a San Paolo del Brasile da Lina Bo Bardi. Le pesanti panche di legno vengono via via disposte in cerchio, al centro del palco. Ci sediamo. Il fotografo Pedro Kok si aggira per il teatro con la sua attrezzatura. Ed ecco che arriva lui, in completo turchese e maglietta bianca, l'attore, direttore e drammaturgo brasiliano José Celso Martinez Corrêa: uno dei fondatori della compagnia negli anni Cinquanta e capofila del movimento che rivoluzionò il teatro brasiliano. Forse il miglior interprete delle vertenze e dei diversi significati del tropicalismo, l'antropofago più completo fra tutti quelli che Oswald de Andrade ispirò. Intorno a Zé Celso gravita più di una dozzina di collaboratori: giovani registi, attrici, attori, artisti, tecnici, designer, giornalisti, architetti, e fra questi il fratello, João Batista Martinez Corrêa, e la nipote Beatriz Pimenta Corrêa, responsabili del recente progetto di ampliamento del teatro. A portarci qui, Daniela Castro, curatrice e saggista, e José Lira, architetto e professore universitario, che ha anche rielaborato l'intervista.

Domus: Parlaci del significato dell'Oficina nel Brasile degli anni Sessanta.

José Celso Martinez Corrêa: Nel 1967, lo spettacolo O Rei da Vela di Oswald de Andrade decolonizzò questo nostro teatro. Fu lui, che nel 1928 aveva scritto il Manifesto Antropófago, a ristabilire il nostro legame con gli indios antropofagi, gli 'africani' che crearono il candomblé, la samba, il funk. La rappresentazione del 1967 provocò un vero e proprio movimento spontaneo, sincronico. Da Glauber Rocha, che allora stava girando Terra em Transe, a Caetano Veloso che lanciò Tropicália, a Hélio Oiticica, che ambientò l'arte, rendendola viva con tanto di terra, piante, televisione. Fu così che prese vita il movimento Tropicália e che il Brasile si affrancò di tutta un'ideologia coloniale.


Domus: E per quanto riguarda lo spazio in senso stretto?

José Celso Martinez Corrêa: Questo è il terzo teatro che è stato costruito qui. Il primo, progettato da Joaquim Guedes, aveva due gradinate con il palco in mezzo. Venne realizzato nel 1961, in otto mesi, e andò a fuoco nel 1966. Il secondo progetto era di Flávio Império. All'epoca ero molto preso dal teatro di Brecht e Império fece un progetto molto pulito, con il palco girevole e la gradinata in cemento. Ci volle un anno e mezzo per costruirlo; nel 1967 fu inaugurato con O Rei da Vela, e quello fu un altro 'incendio'! Lina Bo Bardi venne a lavorare con me nello spettacolo Nella giungla delle città di Brecht nel 1969, il periodo in cui stavano costruendo il cosiddetto Minhocão—il viadotto Costa e Silva dal nome del dittatore—che deturpò questo quartiere. Lina prendeva tutta la spazzatura che trovava fuori e la portava sul palco, e con quella spazzatura costruivamo la scenografia, mettendoci anche gli alberi che erano stati abbattuti durante i lavori. Ogni atto era un round di pugilato.
In apertura: attorno al canuto José Celso Martinez Corrêa, 
i membri della compagnia, il fratello e la nipote dello studio JBMC di San Paolo, incaricato dell’estensione del teatro e gli inviati
di Domus. Qui sopra: ballatoi e impianti tecnici appaiono una sovrastruttura modulabile aggiunta ai muri perimetrali dell’edificio originario, dove anche un’ampia porzione del tetto può essere aperta
In apertura: attorno al canuto José Celso Martinez Corrêa, i membri della compagnia, il fratello e la nipote dello studio JBMC di San Paolo, incaricato dell’estensione del teatro e gli inviati di Domus. Qui sopra: ballatoi e impianti tecnici appaiono una sovrastruttura modulabile aggiunta ai muri perimetrali dell’edificio originario, dove anche un’ampia porzione del tetto può essere aperta
Domus: Il legame con Lina risale a quel periodo?

José Celso Martinez Corrêa: Ricordo che mi feci un viaggio di LSD con un amico, il mio compagno. Un ottimo acido. Uscimmo e ci mettemmo a correre per tutto il teatro e, all'improvviso, andammo a sbattere contro questo muro e ci accorgemmo che dietro c'era qualcos'altro... Era un periodo molto difficile. Arrivava la polizia e non sapevamo dove scappare. Ci ritrovavamo un muraglione davanti. Quando cominciarono quelle incursioni della polizia, iniziammo a preoccuparci, tanto che andai a parlarne con Lina. E lei mi disse: "Sono un architetto! Non attraverso le pareti! Non sono una strega! Io le pareti le rompo!". E fu così che Lina cominciò a sviluppare quest'idea di fare dell'Oficina una strada, una strada che sarebbe arrivata fino all'Anhangabaú da Feliz Cidade, nella regione del Vale do Anhangabaú [il quartiere dove sorge il teatro e si svolgono, tradizionalmente, i comizi e le manifestazioni pubbliche], nel Viaduto do Chá, per essere precisi. Poi fece un progetto molto bello in quella zona: costruire alberi di ferro e farci transitare il passaggio sopra, e l'Anhangabaú sarebbe stato di nuovo verde...
Senza precisa divisione degli ambiti, pubblico e attori condividono arredi, apparati tecnici e spazi durante le rappresentazioni. Sullo sfondo i due varchi dai quali è possibile ‘fuggire’ nei terreni adiacenti
Senza precisa divisione degli ambiti, pubblico e attori condividono arredi, apparati tecnici e spazi durante le rappresentazioni. Sullo sfondo i due varchi dai quali è possibile ‘fuggire’ nei terreni adiacenti
Domus: Lei che cosa pensava del progetto di Lina per l'Oficina?

José Celso Martinez Corrêa: Lina voleva costruire uno spazio che avesse un legame con la terra, e fece questo passaggio sotterraneo sotto il palco, dove c'è un pezzetto di terra. Negli spettacoli metteva sempre l'acqua e il fuoco. Ci sarebbe sempre piaciuto mettere in scena Os Sertões—il libro di Euclides da Cunha del 1902, che a partire dal 2001 avremmo realizzato con una serie di montaggi di 25 ore. Lina diceva: "Il sertão è qui". E proprio come nelle terre brasiliane dove si pratica il candomblé c'è sempre un albero sacro, anche noi abbiamo il nostro. È stato quest'albero a vincere la lotta, perché ha rappresentato la nostra avanguardia: è lui che ha invaso per primo il terreno confinante, capisce?
Il teatro di Lina corrispondeva alle nostre necessità quando fu realizzato. Quando tornai dall'esilio, nel 1979, la prima cosa che feci fu bucare le pareti per vedere cosa c'era dall'altra parte e avevo già notato tutto questo spazio intorno.
Lo sbocco dei varchi ad arco verso le proprietà di Silvio Santos. Qui la compagnia del Teatro Oficina appronta le attrezzature effimere per gli spettacoli che richiamano un pubblico numeroso
Lo sbocco dei varchi ad arco verso le proprietà di Silvio Santos. Qui la compagnia del Teatro Oficina appronta le attrezzature effimere per gli spettacoli che richiamano un pubblico numeroso
Domus: Dalla guerra di Canudos per i diseredati del Nordeste a quella contro Silvio Santos, proprietario di una rete televisiva molto importante.

José Celso Martinez Corrêa: La nostra lotta contro Silvio Santos. Trent'anni passati a fare buchi nei muri, come in una lite fra vicini. Ma quando vincemmo la nostra prima vertenza presso la segreteria del ministero dell'Ambiente, loro fecero una gettata di cemento per bloccarci l'accesso al terreno. Una lotta di trent'anni per impedire che i nostri vicini costruissero prima un centro commerciale, che avrebbe distrutto tutta questa finestra, e poi torri di appartamenti. Il terreno era tutto costruito: c'erano addirittura due case sotto la tutela dei beni culturali e un'antica sinagoga. Quando Silvio Santos si avvicinò, stavamo allestendo Os Sertões.

Attrice: Cominciammo a studiare Os Sertões, a decifrarli insieme ai sertanejos di San Paolo, gli operai edili che alloggiavano nelle pensioni qui intorno, nelle palazzine di case popolari che vennero spazzate via dalla speculazione immobiliare. Cominciammo i primi lavori con persone semianalfabete: di giorno, lavoravano nei cantieri e la sera con noi; ci insegnarono l'arte della danza della ciranda, i ritmi nordestini, le pietanze tipiche... Fu questa, giustamente, l'influenza urbanistica del teatro.

Per fortuna, Silvio Santos alla fine si arrese. E il nostro teatro fu messo sotto tutela dall'IPHAN (Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional), che impose anche l'esproprio demaniale dei terreni circostanti. Attrice: Stavamo rappresentando Dionisíacas.

José Celso Martinez Corrêa: Proprio così. Ma dopo trent'anni di battaglie con Silvio Santos, oggi sono diventato suo amico. E adesso lui dice: "Non voglio ostacolare il vostro lavoro e non voglio che voi ostacoliate il mio. Vi propongo lo scambio di questo terreno con un altro terreno demaniale". Ma, al momento, il Brasile sta attraversando una fortissima crisi, con una ministra della cultura molto debole e l'assenza di un progetto culturale da parte del presidente Dilma Roussef. Ormai sono già 180 giorni che stiamo aspettando una decisione per rispondere alla proposta di Silvio Santos, ed è quasi sicuro che ci lasceranno in sospeso fino all'anno prossimo. Dobbiamo lottare con tutte le nostre forze. Riassumendo: per tanti anni lo spettacolo in cartellone è stato Oficina contro Silvio Santos. Adesso il programma è cambiato: Oficina contro la burocrazia del governo Dilma.
A sinistra: lo sbocco dei varchi ad arco. A destra: al centro, il grande albero che ha invaso, per primo, il terreno confinante. José Celso scruta l’intorno, il teatro “continua a cercare un varco! Nell’atrio del palcoscenico stradale sfileranno i palcoscenici mobili e le Baccanti, divinità del teatro, aprono cammini verso Oswald de Andrade”
A sinistra: lo sbocco dei varchi ad arco. A destra: al centro, il grande albero che ha invaso, per primo, il terreno confinante. José Celso scruta l’intorno, il teatro “continua a cercare un varco! Nell’atrio del palcoscenico stradale sfileranno i palcoscenici mobili e le Baccanti, divinità del teatro, aprono cammini verso Oswald de Andrade”
Domus: Dunque, quella attuale è una lotta diversa.

José Celso Martinez Corrêa: Stiamo già occupando il terreno. Ci abbiamo fatto gli spettacoli. Quando siamo rientrati da una tournée in giro per il Brasile in cui abbiamo recitato sotto un enorme tendone da 2.000 posti rappresentando un no giapponese, Cacilda—uno spettacolo su un'attrice brasiliana molto importante—, As Bacantes e O Banquete, abbiamo chiesto a Silvio Santos di prestarci il suo terreno e lui ha acconsentito. Ci abbiamo montato un "gioco dell'oca" e abbiamo aperto questo passaggio nella parete dei fondali. C'erano delle belle macerie lì fuori, e abbiamo messo in scena Macumba Antropófaga Urbana, uno spettacolo che attraversava il quartiere, il bairro, passava per la casa dove morì Oswald de Andrade, svoltava in una strada pericolosa ed entrava nel terreno dalla porta della sinagoga distrutta... Noi siamo attori: un attore recita per sé, per il pubblico e per gli spazi della città. Non solo per lo spazio urbano, ma anche per quello cosmico. A volte, facciamo gli spettacoli nel pomeriggio, altre la sera, con la luna, e certe volte anche sotto la pioggia. E il Minhocão è sempre lì, con quel rumore di auto, che a noi sembra quello del mare [ridono].
Nel 2005, lo studio JBMC ha presentato il progetto chiamato Anhangabaú da Feliz Cidade come estensione del Teatro Oficina. Responsabili del progetto: João Batista Martinez Corrêa e Beatriz Pimenta Corrêa. Collaboratore: Alessio Dionisi. www.jbmc.com.br
Nel 2005, lo studio JBMC ha presentato il progetto chiamato Anhangabaú da Feliz Cidade come estensione del Teatro Oficina. Responsabili del progetto: João Batista Martinez Corrêa e Beatriz Pimenta Corrêa. Collaboratore: Alessio Dionisi. www.jbmc.com.br
Domus: Perché adesso c'è la necessità di rompere con il progetto di Lina?

José Celso Martinez Corrêa: Lo spazio è diventato troppo piccolo. Per Macumba gli spettatori erano il doppio del consentito. Il teatro di Lina corrispondeva alle nostre necessità quando fu realizzato. Quando tornai dall'esilio, nel 1979, la prima cosa che feci fu bucare le pareti per vedere cosa c'era dall'altra parte e avevo già notato tutto questo spazio intorno. Arrivai con un ingegnere: se non c'erano gli archi, sarebbe crollato tutto. Rinforzammo le gradinate e le fondamenta. Fu un intervento d'emergenza. Non potevamo demolire la facciata perché eravamo sotto tutela. Ma Lina ci costrinse a mettere un'incudine di ferro, perché lei era di religione candomblé e diceva: "Se mettete l'incudine in bella vista, a mo' di simbolo, non perderete mai questo spazio".


Domus: Questo rapporto fra il teatro e gli architetti—architetti molto diversi fra loro: Guedes, Império, Lina, Paulo Mendes da Rocha—è sempre stato così intenso?

Ho sempre pensato che l'architettura fosse uno spazio scenico. Sono molto grato agli architetti. Anche Paulo Mendes fu molto importante. Cominciò a sviluppare il progetto dell'Agora, come chiamiamo l'occupazione dello spazio sotto il Minhocão, e dei terreni adiacenti. Fece un progetto in uno spazio molto piccolo, con due torri strette: una per la produzione e una piccola locanda per gli attori, l'altra per l'archivio elettronico.
L’intervento dello studio JBMC prevede un teatro-stadio, una Università antropófaga aperta a tutti, una “officina forestale” per reintegrare la vegetazione e aree per spettacoli a cielo aperto.
L’intervento dello studio JBMC prevede un teatro-stadio, una Università antropófaga aperta a tutti, una “officina forestale” per reintegrare la vegetazione e aree per spettacoli a cielo aperto.
Domus: E il progetto del teatro-stadio?

Beatriz Pimenta Corrêa: L'idea è di fare uno stadio nel terreno a fianco. L'Oficina sarà lo skené greco del futuro stadio. Le due arene dovranno essere integrate con l'albero. Non si tratta di ignorare l'Oficina, ma di costruire altro. Nel progetto di Lina, lo stadio doveva sorgere qui [nei fondali dello stabile originario]. Così quando Silvio Santos provocò questo scenario di guerra, demolendo tutto, noi ampliammo il progetto e pensammo: lo stadio qui, le Oficinas das Florestas là e l'Università Antropófaga più in alto.

José: Per tutti questi anni, dal 1967 a oggi, abbiamo prodotto un sapere fondato sull'esperienza. Attraverso l'antropofagia abbiamo rivisitato praticamente tutto il repertorio del teatro mondiale—i greci, Shakespeare, Gorki, Tennessee Williams, Nelson Rodrigues, Brecht. E tutto con i cori e la musica, perché volevamo fare un teatro corale. Questa strada non può non essere intestata a Lina Bo Bardi, così come il Teatro de Estádio non può non essere intestato a Oswald de Andrade. Le macerie sono materia prima. Vedo le pareti, vedo il pavimento.

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