Forms of Energy #2

Contaminazioni tra tecnologia architettura e società. A Valencia, dal 6 al 10 settembre si è svolta la più grande conferenza mondiale sul fotovoltaico, che ha riservato uno spazio nuovo al racconto dell'architettura.

La 25th European Photovoltaic Solar Energy Conference, che quest'anno coincideva con la 5th World Conference on Photovoltaic Conversion, ha ospitato anche le altre due maggiori conferenze oltreoceano sugli stessi argomenti: la conferenza giapponese (20th Asia/pacific PV Science and Engineering Conference) e la conferenza americana (36th US IEEE Photovoltaic Specialists Conference).
In questo contesto di grande internazionalità, l'architettura ha potuto raccontare a ricercatori, produttori e politici come utilizza la tecnologia fotovoltaica e che forma prende l'energia. Gli architetti hanno potuto raccontare la loro esperienza, la loro lettura del fotovoltaico, poiché è stata volontà precisa del comitato scientifico, e degli organizzatori, predisporre degli spazi in cui l'architettura trovasse voce. "PV elegance and performance" e "PV Systems, Challenges for Integration" sono stati i titoli delle due sessioni "ibride" del lunedì e del venerdì, dove ha avuto luogo la contaminazione.

La conferenza di cui stiamo scrivendo (per i tecnici una sigla, EUPVSEC), non è una conferenza scientifica qualunque, e non lo è per diverse ragioni. Cercherò di seguito di connotarne brevemente il carattere specifico. In maniera oggettiva e neutrale, si potrebbe dire che essa sia un dominio dove, a cadenza annuale, ricercatori, così come produttori e politici da tutta Europa e da tutto il mondo si incontrano per discutere cosa sta accadendo nel campo della scienza, ma anche dell'industria del fotovoltaico, per individuare nuove sfide da superare. Sfide che trovano, per noi europei, un riscontro numerico preciso, e cioè il 20% di produzione da fonti rinnovabili fissato dall'Unione Europea come obiettivo da raggiungere entro il 2020.

Tuttavia, questa descrizione, seppure corretta, non restituirebbe appieno il senso di questa conferenza. Iniziamo col dire che, a differenza di altri eventi simili, essa è "per vocazione" un territorio ove la contaminazione è possibile, tanto da essere qualche volta "snobbata" da quei ricercatori che non intendano confrontarsi con ciò che è oltre i propri rigidi confini disciplinari. Per queste persone essa è, infatti, troppo eterogenea, troppo grande, troppo "caotica". In realtà, contaminazione non significa, non specializzazione. Contaminazione significa, nel caso specifico, un luogo ove le persone (4540 delegati, 1600 presentazioni scientifiche, 963 esibitori, 38000 visitatori) vanno per sapere cosa succede, per curiosare nel presente e trarne indicazioni per il futuro. La conferenza è un luogo adatto alla contaminazione poichè è fatta di gente che guarda, che prende appunti, che cammina tra gli stand, e poi che parla, e parla, e parla... E può parlare con gente che viene da tutto il mondo, e cha sa di poter incontrare l'anno successivo, per raccontarsi, di nuovo, le ultime novità. Contaminazione significa quindi, un flusso di persone, che si spostano dal luogo della fiera, al luogo della scienza e viceversa. Si tratta sempre di luoghi ove vengono presentati i prodotti: in un caso moduli, celle, inverter, macchinari di vario genere, nell'altro ricerche sugli argomenti più vari, che forse pongono le premesse affinché nuovi prodotti vengano sviluppati. Una conferenza di questo genere, quindi, è una sorta di messa in scena di un ciclo continuo, ove i protagonisti sono le persone, che si fanno portatrici materiali della contaminazione, muovendosi in uno spazio chiuso in cui tale processo di contaminazione prende forma. E se si guarda bene all'immagine che tutto questo rimanda, alle stanze separate in cui avvengono le presentazioni, e dalle quali le persone entrano ed escono continuamente per non perdere nulla di ciò che interessa loro, o alla moltitudine di stand, alla diversità dei prodotti, allora non è questa una buona immagine per descrivere la complessità dei nostri saperi e della nostra ricerca scientifica e tecnologica oggi, ma anche per cogliere la difficoltà del tenere tutto insieme nella concretezza della nostra vita quotidiana? Credo che la risposta sia sì, e che per questo sia particolarmente significativo che questo evento abbia dedicato uno spazio all'architettura. Perché quelle stesse persone che abbiamo sopra descritto, in continuo flusso, si saranno "contaminate", portandosi indietro un tassello in più di conoscenza e sensibilità, per cui sapranno che l'architettura può concretamente essere il tramite per introdurre il fotovoltaico nelle nostre vite e nelle nostre città. Che gli architetti stanno già usando, e con molta soddisfazione, i prodotti delle loro ricerche scientifiche o industriali che siano.

Se è così, se la contaminazione è già in atto, allora è tutto risolto? Il processo è già completo? Naturalmente no. Esperienze come quella di Valencia dimostrano che c'è bisogno ancora di molto lavoro e di molta passione. Il dominio di scambio e di confronto è caratterizzato ancora da una natura ancora troppo eterogenea e rigida. Intendo dire che saperi e sensibilità, anche quando vengano "estratti" dai propri confini per essere messi in un territorio comune, denunciano la difficoltà di dialogare utilizzando un linguaggio comune. Esiste una "tensione" verso obiettivi che sono comuni anche quando questo non sia dichiarato, e tuttavia si rende necessario che vi sia proprio una riflessione comune, una comune assunzione di responsabilità. Che questa sia la base per creare un linguaggio comune, in modo che si possa ancora tutti parlare specificamente delle proprie cose, ma allo stesso tempo, farsi capire e comprendere altre istanze.
Significa dire che i confini di cui stiamo parlando sono stati forzati, e questo è il primo passo, ma vanno ancora modellati, affinché proprio in questi bordi si sviluppi un dialogo costruttivo. Alessandra Scognamiglio

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