Letter from St.Petersburg

Il destino della fabbrica Bandiera Rossa di San Pietroburgo di Erich Mendelsohn sospeso tra rischi di demolizione e trasformazione, allargano la questione del retrofitting urbano ai capolavori del Moderno e alla loro riprogrammazione ideologica.

Lo scorso anno la stampa celebrava un imprenditore russo di nome Burdinsky che sembrava intenzionato a reinventare una perla architettonica del Novecento: l'ex fabbrica tessile Krasnoye Znamya (bandiera rossa) di Erich Mendelsohn, espressionista tedesco di fama mondiale, a Leningrado (oggi, San Pietroburgo) ( http://www.theartnewspaper.com/article.asp?id=8547). L'unico progetto di Mendelsohn rimasto in Russia, sarebbe stato così riconvertito in un centro per l'arte e gli affari.
Sono i modelli presentati da Burdinsky però a scoprire le carte destando non poche perplessità in chi ha sostenuto il progetto con entusiasmo poiché la sua formula magica sembra essere la demolizione.
La fabbrica tessile, quattro ettari di complesso industriale formato dai tre grandiosi edifici delle tintorie, dalla stecca dell'officina e dall'imponente centrale elettrica a forma di nave, segna una linea di continuità stilistica con la fabbrica di cappelli di Luckenwalde. Tipica opera mendelsohniana presa fra due fronti ideologici, dopo aver sfidato la scarsa manutenzione e la disapprovazione ufficiale dei suoi tratti distintivi, si è ritrovata ad affrontare nuove minacce dissimulate sotto il pretesto della conservazione e della riqualificazione. Il 2 aprile, la Sovrintendenza per i Beni culturali di San Pietroburgo ha preso in esame la proposta David Chipperfield, investito da Burdinsky del compito di elaborare un progetto: qual era la sua idea in proposito? Secondo la stampa locale, niente meno che la negazione del valore architettonico della fabbrica. In uno slancio di generosità, sarebbe stata mantenuta la centrale elettrica, mentre le altre parti e l'officina, di cui si cercava di negare la stessa attribuzione a Mendelsohn, considerate strutturalmente poco sicure e che comunque non valeva la pena di restaurare essendo in cemento, avrebbero dovuto fare spazio a qualcosa di nuovo, una serie di parallelepipedi più funzionali alla struttura! Burdinsky aveva chiesto alla Sovrintendenza di togliere la centrale elettrica e i tre edifici delle tintorie della fabbrica dalla lista del patrimonio architettonico, impegnandosi a conservare la centrale elettrica se avesse avuto carta bianca sul resto, e minacciando di adire le vie legali se la sua proposta non fosse stata accettata.
La Sovrintendenza ha aggiornato la discussione. Le iniziative locali promosse da VOOPIK, l'Ente federale russo per la conservazione dei Beni culturali, hanno messo in moto una vasta campagna di sensibilizzazione sul valore della fabbrica: e ironia della sorte, proprio mentre i tedeschi restauravano la fabbrica di Luckenwalde riportandola alla sua vecchia gloria, lodavano le qualità del cemento di una volta e ripristinavano l'originale tetto appuntito a forma di cappello, quella di San Pietroburgo correva l'enorme rischio di venire radicalmente snaturata o, peggio, demolita? Chi c'era dietro la serie di articoli usciti sulla stampa locale specializzata secondo l'intero complesso non sarebbe starto esattamente un'opera d'arte totale, una Gesamtkunstwerk di Erich Mendelsohn quanto piuttosto un collage fatto da un pezzo originale di Mendelsohn (la centrale elettrica) combinato a un gruppo di altri edifici simili scopiazzati da progettisti locali? Chi ha lanciato la storia secondo la quale Mendelsohn avrebbe disconosciuto l'opera (un fatto non menzionato da Bruno Zevi che comunque sostiene una certa insofferenza di Mendelsohn per il risultato della realizzazione)? Perché il developer e il suo architetto si sono rifiutati di far conoscere al pubblico i loro progetti, mentre hanno insistito che gli articoli usciti sulla stampa "fossero tutti falsi" e che "nessuno degli edifici sarebbe stato sottoposto a demolizione"?
All'inizio di giugno si è tenuta la terza sessione consecutiva della Sovrintendenza per discutere le sorti della fabbrica. Sorpreso dall'improvviso interesse suscitato sia a livello locale che internazionale, il developer ha ridimensionato i suoi piani di demolizione. Si può cantar vittoria?
Per quanto sorprendente possa sembrare, le scuole russe di restauro, pur avendo riportato al vecchio splendore un numero infinito di edifici storici, mancano ancora di alcuni rudimenti nel recupero del patrimonio storico. Nel 2007, un intervento italiano alla porta San Pietro nella fortezza dei S. Pietro e Paolo di San Pietroburgo, e la sensibilità dimostrata nei confronti della muratura e delle pietre logorate dal tempo, aveva gettato enorme scompiglio sia fra i professionisti che fra le autorità le quali si chiedevano perché dedicare tanto tempo e tanta fatica a restaurare delle rovine, pezzo per pezzo, pietra dopo pietra? Non era meglio buttare giù e ricostruire tutto, meglio di prima? Ne era nata una collaborazione fra i restauratori di San Pietroburgo e i colleghi italiani che nel 2009 doveva essere estesa, pare, a livello tematico e geografico. Dal momento che molte opere del primo modernismo, – dalla Torre Einstein al Padiglione De La Warr, dalla fabbrica della FIAT a Villa Savoy, – sono state riportate a nuova vita, restituendole al loro vecchio splendore, non sarebbe veramente ora di sfruttare l'esperienza fatta? Altrimenti le scarse risorse a disposizione, l'abbandono, o la negligenza e il pregiudizio continueranno a portarci via le pietre preziose della nostra storia.

Vostro, arch. ing. Dimitri Suchin


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Dimitri B. Suchin nasce a Leningrado nel 1974, si laurea alla Technische Universität di Berlino nel 2003. Dal 2005 lavora a Rotterdam e collabora con l'architetto Erick van Egeraat. Ricercatore di Modernismo ed Espressionismo tedesco, si è specializzato in Prussia orientale e Hans Scharoun. È membro del direttivo della Scharoun Society (Berlino). Collabora con diverse riviste russe come critico di architettura; i suoi articoli si possono leggere su http://mitya.ebbs.net e sull'Enciclopedia Kaliningrad di prossima uscita.
La centrale elettrica della fabbrica tessile "Bandiera rossa" di San Pietroburgo, 1926
La centrale elettrica della fabbrica tessile "Bandiera rossa" di San Pietroburgo, 1926
Per il progetto dello stabilimento tessile Krasnoje Snamja (letteralmente “Bandiera rossa”) di San Pietroburgo Mendelsohn chiamò a collaborare l’ingegner Erich Lasser, esperto in macchinari, e l’ing. Salomonsen, strutturalista. Al centro del recinto dei fabbricati industriali, i tre alti laboratori di tintoria alti 45 metri e lunghi 105 metri, ripetono ingigantendoli quelli della Cappellificio Friedrich Steinberg Hermann & C a Luckenwalde: forse l’edificio più significativo dell’espressionismo tedesco. La sezione degli edifici, rastremata verso l’alto, oltre a richiamare la forma di un cappello, funziona da camino per la ventilazione interna. © Erich Mendelsohn. <i>Opera completa</i>, Testo & Immagine e Bruno Zevi, Torino 1997
Per il progetto dello stabilimento tessile Krasnoje Snamja (letteralmente “Bandiera rossa”) di San Pietroburgo Mendelsohn chiamò a collaborare l’ingegner Erich Lasser, esperto in macchinari, e l’ing. Salomonsen, strutturalista. Al centro del recinto dei fabbricati industriali, i tre alti laboratori di tintoria alti 45 metri e lunghi 105 metri, ripetono ingigantendoli quelli della Cappellificio Friedrich Steinberg Hermann & C a Luckenwalde: forse l’edificio più significativo dell’espressionismo tedesco. La sezione degli edifici, rastremata verso l’alto, oltre a richiamare la forma di un cappello, funziona da camino per la ventilazione interna. © Erich Mendelsohn. Opera completa, Testo & Immagine e Bruno Zevi, Torino 1997
Cappellificio Friedrich Steinberg, Herrmann & C. a Luckenwalde (1921–1923)
Cappellificio Friedrich Steinberg, Herrmann & C. a Luckenwalde (1921–1923)

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