States of Design 03: Thinkering

Alcune riflessioni su thinkering e open source: la via fai-da-te al design contemporaneo più aggiornata, efficace, economica, elegante e ambientalmente responsabile.

Questo articolo è stato pubblicato su Domus 948, giugno 2011

Nel 2007 John Seely Brown, fino al 2002 illustre direttore della ricerca alla Xerox per quasi un ventennio e responsabile fino al 2000 del mitico centro di ricerca Xerox di Palo Alto (Xerox PARC), usò per la prima volta in interventi e articoli il concetto di thinkering. In una tavola della sua presentazione Learning 2.0: the Big Picture ('Imparare il 2.0: una visione panoramica') la transizione da thinking (pensare), attraverso tinkering (pasticciare, sperimentare) per arrivare a thinkering viene individuata nell'interagire con una rete di conoscenze, strumenti e comunità d'interesse'. E ovviamente la parola nasce dall'atto di 'accrocchiare' in modo produttivo, provare, riprovare, adattare e contemporaneamente condividere il piacere di queste attività con altre menti in consonanza e impegnarsi nel mondo in una collaborazione libera e costruttiva con colleghi e con altri specialisti: in altre parole in modo open source.

Thinkering è il filo rosso che ci permette di leggere attraverso la storia episodi capitali di creatività sopraffina, raggiunti attraverso progressivi affinamenti collettivi. A differenza della cultura contemporanea degli hacker, questi casi storici sono su grande scala, non di nicchia, bensì poetici e universali. Come, per esempio, la pasta. La cucina, nell'editoriale di questo numero di Domus, viene definita una delle forme più antiche di modello operativo open source, e i diversi tipi di pasta, perfezionati nei secoli dalla cultura materiale e da generazioni di cuochi, sono tra le testimonianze più misconosciute, ma più convincenti di processo open source. Così aderente al paradigma, comunque, da resistere a ogni intervento individuale, stilistico e arbitrario, come dimostrano i tentativi sfortunati di numerosi designer/noti egotisti come Philippe Starck, Giorgetto Giugiaro e Luigi Colani. Hanno fallito, e miseramente. La pasta e l'open source sono l'antitesi della griffe. Come usarli, d'altra parte, dipende tutto da noi e dal nostro personale talento, purché si dia in cambio qualcosa alla comunità che ci ha aiutato ad arrivare dove siamo arrivati (sempre che non si venga esiliati nel paese degli stilisti).
Bob Lash nel 1975 nel regno dei <i>bricoleur</i> del computer, l’Homebrew Computer Club.
Bob Lash nel 1975 nel regno dei bricoleur del computer, l’Homebrew Computer Club.
Se la pasta è un buon punto di partenza, l'entusiasmo che oggi circonda il concetto di open source ci obbliga a tuffarci in un mondo di rituali antichi e di neologismi, ad analizzarne e a metterne alla prova alcuni collegamenti. Il collegamento tra open source e prototipazione rapida, o 'stampa tridimensionale', è proprio così immediato? Le soluzioni collettive del crowd-sourcing, l'hacking, i laboratori, l'open source e il fai-da-te tradizionale hanno davvero qualcosa in comune oppure sono stati messi uno accanto all'altro da saggisti e critici che credono di poter delineare il ritratto di un mondo fatto di genialità collettiva e di affidabilità etica? Che differenza c'è tra suor Germana e Gomma? Nei commenti alla cultura contemporanea dell'open source la stampa tende a essere piuttosto liturgica (non dimenticherò mai questo 'terribile' aggettivo, perché una volta sono stata accusata di questo peccato dal lettore di un articolo che avevo scritto, per l'appunto, sulla prototipazione rapida: significa esprimere certezze elogiative e noiose senza esercitare la critica). Il thinkering è il contrario dell'espressione individuale? Non proprio. Hacker e ingegneri possono essere molto solipsisti, e, anche se thinkering e open source sono sempre costantemente accoppiati, certamente si adattano a essere praticati in solitario. Il fenomeno dell'open source, che ha radici nel mondo della programmazione informatica, oggi riguarda tutta la gamma della produzione umana, dalla musica al cinema, ai documenti scientifici, ai robot, alle automobili, all'edilizia e alla frequentazione di mondi reali e virtuali di ogni scala, dall'architettura e dagli oggetti di design alla comunicazione visiva e al nanodesign. Storicamente, in quanto strategia per migliorare il software originario rendendolo leggibile e accessibile a membri di gruppi di utenza, l'open source risale agli anni Cinquanta e al gruppo SHARE della IBM. L'espressione open source fu coniata da Christine Peterson del Foresight Institute nel 1998 a Silicon Valley, in una riunione con Eric Raymond, Larry Augustin e altri, e canonizzata qualche settimana dopo all'incontro di vertice sul freeware organizzato da Tim O'Reilly, dove i convenuti proposero dei nomi, li votarono e decisero di attenersi agli esiti dell'incontro.
Martino Gamper, 
100 chairs in 100 Days.
Martino Gamper, 100 chairs in 100 Days.
Nella produzione di oggetti (e più di recente, grazie al controllo parametrico, anche nella produzione dell'architettura) il concetto di open source è andato di pari passo con i progressi della tecnica di prototipazione rapida e di 'fabbricazione rapida' o Rapid Manufacturing (RM). Trasferendo i dati direttamente da un documento di computer a una macchina utensile la RM permette innumerevoli modifiche del progetto originale, e quindi una buona dose di thinkering. Ma quando iniziò a diffondersi negli anni Ottanta, la prototipazione rapida produceva solo fragili modelli scultorei di espanso: in realtà non realizzava alcun prodotto, ma dava più che altro volume alle idee, al vero o in scala, ed era molto costosa. I materiali usati divennero sempre migliori, più strutturali e 'rifiniti'. Al MoMA abbiamo iniziato a collezionare oggetti costruiti tramite RM nel 2003, proprio nel momento in cui si cominciava a chiamarli 'prodotti' e non solo 'prototipi', e nel 2006 abbiamo allestito una mostra della collezione con il titolo Digitally Mastered. In quell'occasione, elencavo un'intera lista di conseguenze positive nel caso il mondo dell'industria decidesse di investire sulla RM. 'La differenza tra prototipi e produzione in serie diventerà irrilevante, poiché ogni oggetto sarà contemporaneamente un prototipo e uno degli elementi di una serie diversificata. Certi designer sceglieranno di conservare il loro ruolo tradizionale e di distruggere il documento originale dopo la realizzazione di un certo numero di esemplari oppure di mantenere il controllo sulla maggior parte delle varianti, mentre altri invece sceglieranno un nuovo ruolo, quello di supervisori del progetto. Non lavoreranno su singoli oggetti ma su intere famiglie di oggetti e su sistemi progettuali. I produttori comunicheranno spesso con i consumatori e impareranno, magari riprogettando la loro strategia programmatica sulla base di questi dibattiti scambi di idee. Alcuni di questi produttori forse investiranno in catene di laboratori di RM dove gli ordini dei clienti verranno evasi on demand, eliminando l'esigenza di trasporto e di magazzino. Quest'impostazione eliminerebbe lo spreco di risorse e di spazio, ma anche, purtroppo, i saldi di fine stagione.' [Design and the elastic mind, MoMA, p. 185]
Thinkering consiste nell’interagire con una rete di conoscenze, strumenti e comunità d’interesse
Natural Fuse, design: Haque Design + Research Ltd. 
Questo microsistema naturale serve a monitorare, e prevenire, l’eccesso di produzione di CO2 sfruttando le proprietà delle piante di assorbire biossodio di carbonio. Per gentile concessione di Haque Design + Research.
Natural Fuse, design: Haque Design + Research Ltd. Questo microsistema naturale serve a monitorare, e prevenire, l’eccesso di produzione di CO2 sfruttando le proprietà delle piante di assorbire biossodio di carbonio. Per gentile concessione di Haque Design + Research.
Gran belle idee, ma un futuro di questo genere richiede attenzione e investimenti. Nel 2006, le stampanti tridimensionali 'da scrivania' già esistevano, e anche i Fab Labs del MIT, che dal 2001 fornivano apparecchiature per la produzione digitale a comunità sfavorite di ogni parte del mondo, dalla Norvegia settentrionale al Ghana, all'India rurale. Ma questa tecnologia non ottenne molto ascolto né significativa attenzione finché non si mise di mezzo la nuova cultura degli hacker. C`è chi dice che questo movimento sia nato con il primo numero della rivista Make, pubblicata da O'Reilly nel gennaio del 2005, e con i suoi irresistibili Maker Faires (i saloni del fai-da-te). Fatto sta che gli hacker hanno adottato la prototipazione rapida e l'hanno trasferita nell'universo dell'open source. In confronto con la stupefacente semplicità e l'autorevolezza dei due protagonisti assoluti della rivoluzione open source (Processing, il linguaggio di programmazione pensato per tutti elaborato da Ben Fry e Casey Reas nel 2001, e Arduino, la scheda elettronica che sta alla base dell'attuale universo fisico dell'open source e che dobbiamo a Massimo Banzi e David Cuartielles del 2005), la celebre Thing-O-Matic della MakerBot Industries di Brooklyn non pare poi così rivoluzionaria. Non è un'idea nuova, se non perché è open source e copiabile all'infinito, e le sue applicazioni sono ancora immature, quasi infantili: il primo modello si chiamava Cupcake perché era in grado di realizzare una bella tortina. E, tuttavia, la passione e l'interesse che ha attirato su di sé, sulla stampa tridimensionale e sul movimento dell'open source non sono da sottovalutare.
Immagine di apertura: Dave Bullock, Hacked Furbies. Bullock ha sottoposto il New Furby a un’attenta opera di dissezione per studiarne 
le componenti. Sopra: Maya Pedal è una ONG Guatemalteca con la missione di raccogliere le biciclette offerte dagli Stati ricchi del Nord America per reimpiegare le componenti in una vasta gamma di ‘bicimaquinas’ (macchine a pedali a energia umana).
Immagine di apertura: Dave Bullock, Hacked Furbies. Bullock ha sottoposto il New Furby a un’attenta opera di dissezione per studiarne le componenti. Sopra: Maya Pedal è una ONG Guatemalteca con la missione di raccogliere le biciclette offerte dagli Stati ricchi del Nord America per reimpiegare le componenti in una vasta gamma di ‘bicimaquinas’ (macchine a pedali a energia umana).
In certi ambienti, la parola hacker suscita ancora disagio e timore dell'ignoto. Eppure, come gremlin a rovescio, gli hacker sono passati dalla manipolazione dei Furby alla realizzazione di programmi e dispositivi open source per consentire a un graffitista paralizzato (e in futuro a centinaia di altre persone nelle stesse condizioni) di esprimersi, e perfino di segnare gli edifici con un suo tag al laser, usando solo gli occhi. La celebre EyeWriter Initiative di Zach Lieberman, James Powderly, Evan Roth, Chris Sugrue, TEMPT1 e Theo Watson è un esempio di quanti passi avanti abbiano fatto gli hacker. Senza sacrificio dei loro tatuaggi di guerra le idee degli hacker su un futuro migliore per l'umanità sembrano più in linea con quelle della maggioranza. Perfino una militante d'avanguardia come Natalie Jeremijenko, i cui Feral Robotic Dogs, per citare solo uno dei suoi numerosi progetti, rimangono un paradigma per ogni hacker.
Fondata nel 1997, Elephant design ha adottato il modello collaborativo di design su richiesta (DTO-Design to Order). Attraverso il sito cuusoo.com, LEGO® Shinkai 6500, il sottomarino giapponese, a sinistra, è stato votato da oltre 1.000 supporter.
Fondata nel 1997, Elephant design ha adottato il modello collaborativo di design su richiesta (DTO-Design to Order). Attraverso il sito cuusoo.com, LEGO® Shinkai 6500, il sottomarino giapponese, a sinistra, è stato votato da oltre 1.000 supporter.
Naturalmente non ogni thinkering è digitale. Le forme più precoci di progetto fai-da-te in realtà sono collegate con il progetto dell'abitazione e dell'arredamento. Per non andare troppo lontano nel tempo si pensi alla modesta, ma grande e politica Autoprogettazione di Enzo Mari, la sua strategia di produzione di mobili basata sulla scatola di montaggio, precedente l'Ikea (per lo meno in Italia), che di recente ha conosciuto un recupero molto apprezzato. Con un penchant politico altrettanto pronunciato Jerszy Seymour usa le due magiche parole 'dilettante' e 'laboratorio' in un progetto che ha presentato al Mudam in Lussemburgo nel 2009. Nel museo ha messo di fronte ai visitatori dei pezzi di legno e una speciale cera al policaprolattone (mantenuta allo stato fluido a bagnomaria dentro recipienti a forma di vulcano) che secondo lui possiede la capacità simbolica di dar corpo alla creatività e al potere delle persone. La sua utopia riguarda 'il compimento della produzione nella mani della gente', espressione purissima di fede nel crowd-sourcing. Un altro tipo di riferimento è quello praticato da Martino Gamper nel suo 100 chairs in 100 days (100 sedie in 100 giorni), progetto del 2006 che è un esempio di maratona del thinkering estremo. Dopo aver scelto materiali dai rifiuti nel corso di due anni, Gamper ha realizzato una sedia al giorno per cento giorni, in composizioni il cui evidente pragmatismo rendeva ancor più fresca la profondità della ricerca formale e strutturale. Tre differenti strategie di thinkering e di open source che possono dare materia a parecchi laboratori in studi, musei e scuole di tutto il mondo che vogliano insegnare la via fai-da-te al design contemporaneo più aggiornata, efficace, economica, elegante e ambientalmente responsabile.
Kit della stampante 3D
open source MakerBrot CupCake: ‘la tua piccola fabbrica personale’.
Kit della stampante 3D open source MakerBrot CupCake: ‘la tua piccola fabbrica personale’.
Dopo tutto, questa impostazione non è per nulla una novità in zone che non hanno conosciuto l'abbondanza per decenni, a volte secoli, come la maggior parte dell'Africa, l'India rurale, molte località asiatiche, o certe regioni dell'America Latina. L'hacking viene naturale a chi ha bisogno di riciclare, di riusare, e di ottimizzare per una questione di sopravvivenza, e ha ispirato designer come Fernando e Humberto Campana, le cui trovate da strada di San Paolo hanno dato forma non solo ai prodotti d'alta gamma che oggi vendono nelle 'gioiellerie del mobile' di tutto il mondo, ma anche ai generosi e appassionanti laboratori che ancor oggi offrono ai loro studenti internazionali. Questa profonda sapienza e questa abitudine antica alla cultura materiale dell'origine collettiva è quella che rende così irresistibile il produttore guatemalteco di macchine a pedali Maya Pedal, ed è il motivo per cui l'unica Maker Faire che tengo veramente a visitare è quella africana. La prima si è tenuta nel 2009 ad Accra, in Ghana. Nulla, credo, rappresenterebbe una visita più necessaria per gli amabili snob che frequentano il sito ikeahackers.net (sì, rifanno i prodotti Ikea e se ne vantano…). Fin dai primi tentativi di formalizzare il crowd-sourcing nel design e nella produzione (primo fra tutti quello di Elephant Design, società fondata a Tokyo nel 1997 da Kohei Nishiyama, il cui primo 'prodotto partecipato dall'utente' fu una cover per cellulare lanciata nel 1998), il design open source si è evoluto in modo affascinante e non lineare, giocando su livelli differenti di coinvolgimento estetico ed etico.
EyeWriter è un sistema a basso costo e open source per tracciare e registrare i movimenti oculari: permette ai graffitisti e artisti affetti da paralisi di disegnare usando solo gli occhi. Il team di progetto comprende membri di Free Art and Technology (FAT), OpenFrameworks e il Graffiti Resarch Lab: Tempt1, Evan Roth, Chris Sugrue, Zach Lieberman,Theo Watson e James Powderly. Per gentile concessione di EyeWriter.org
EyeWriter è un sistema a basso costo e open source per tracciare e registrare i movimenti oculari: permette ai graffitisti e artisti affetti da paralisi di disegnare usando solo gli occhi. Il team di progetto comprende membri di Free Art and Technology (FAT), OpenFrameworks e il Graffiti Resarch Lab: Tempt1, Evan Roth, Chris Sugrue, Zach Lieberman,Theo Watson e James Powderly. Per gentile concessione di EyeWriter.org
Da un lato società come la Elephant Design e la .MGX, divisione della società belga Materialize, (che fu la prima a diffondere la stampa tridimensionale come strumento consapevole per produrre design di qualità), si sono mosse sulla linea di ricerca del design tradizionale, considerando le nuove strategie come strumenti nuovi per realizzare progetti che cercassero di entrare in competizione con i capolavori del passato creando però un nuovo linguaggio formale. D'altro canto Fab Labs e altre sperimentazioni d'impronta ingegneristica e scientifica hanno dato spazio a un laissez-faire estetico che, insieme con un atteggiamento etico ampiamente pubblicizzato (che a tratti sfiora la spocchia) alla lunga rischiano di conferire al movimento dell'open source un'immagine di austerità, con una traiettoria simile a quella del movimento verde. I casi in cui lo spirito genuino dell'open source e del thinkering recano il segno dell'attenzione alla personalità, alla funzione, al senso e alla qualità formale come ulteriore valorizzazione dell'insieme sono gli unici che ci fanno guardare con interesse al futuro professionale del design. Ci sono già molti begli esempi e, a mano a mano che l'alfabetizzazione sul design si diffonde e viene considerata una componente essenziale della formazione visiva, ce ne saranno sempre di più.
Jerszy Seymour Design Workshop, Workshop Chair 2009.
Jerszy Seymour Design Workshop, Workshop Chair 2009.
Sappiamo che andrà sempre meglio, ma intanto la corrente dell'open source/fai-da-te/hacking ha già ottenuto un successo importante: quello di rafforzare la centralità del bene comune. Il processo parte da una comunità, un gruppo la cui omogeneità non è più definita dagli storici parametri dell'età, del genere, della razza, della classe sociale, della provenienza geografica o della religione, quanto piuttosto da un interesse e da una passione comuni; e ha il suo punto di arrivo in un'altra comunità, per ricominciare attraverso il modo in cui il prodotto viene usato, adattato, scartato, magari glorificato in una seconda vita. In passato raggiungere il 'consumatore' con un prodotto finito significava raggiungere il capolinea del processo progettuale. Ma erano i tempi, per citare Ilse Crawford, che ha illustrato questa idea in occasione del convegno My Way, organizzato a Milano il 3 aprile 2011 dalla Design Academy Eindhoven, in cui 'noi designer' eravamo abituati a progettare per 'loro consumatori'. Quel tempo stantio è passato. Oggi progettiamo per noi: persone con le persone per altre persone. Paola Antonelli, Critico e curatore, MoMA
Enzo Mari, modello 1123XD della Proposta per un’autoprogettazione, 1973 
(il catalogo è attualmente edito da Edizioni Corraini).
Enzo Mari, modello 1123XD della Proposta per un’autoprogettazione, 1973 (il catalogo è attualmente edito da Edizioni Corraini).

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