Racconti della New Aesthetic

Nel corso di una recente serata al New Museum, Aaron Straup Cope, Joanne McNeil e James Bridle hanno parlato della loro crescente consapevolezza – e della loro relativa crescente competenza – dell'integrazione tra tecnologia e vita quotidiana.

A James Bridle piace molto una fotografia satellitare della frontiera tra Namibia e Sudafrica: in mezzo al deserto, lungo il corso del fiume Orange, ci sono due blocchi di pixel verde brillante. Sono due campi ben nitidi, ma secondo Bridle, con gli occhi di oggi, è difficile vedere questa griglia di sfumature monocrome altrimenti che come dei pixel.

Questo genere di paradosso è stato al centro di "Stories from The New Aesthetic", il penultimo incontro di un ciclo di dibattiti promossi dall'associazione Rhizome al New Museum di New York.

I tre oratori – Aaron Straup Cope, del Cooper-Hewitt; Joanne McNeil, direttore di Rhizome; e Bridle, che ha coniato l'espressione New Aesthetic, "Nuova estetica" (ma che è pronto a sottolineare di non andarne fiero) – hanno parlato della loro crescente consapevolezza – e della loro relativa crescente competenza – dell'integrazione tra tecnologia e vita quotidiana. In particolare del modo in cui esse hanno iniziato a funzionare nella reciproca sovrapposizione e nel reciproco riflesso.

Che le immagini da satellite e la localizzazione relativamente precisa via GPS siano a portata di mano di chiunque possieda un telefono aggiornato sarà anche un luogo comune, ma la scala di questa consapevolezza, in termini di ubiquità planetaria come di complessità dell'infrastruttura necessaria, si rivela stupefacente anche in un contesto storico più ampio. Solo pochi decenni or sono i sommergibili nucleari delle due potenze militari più dotate di risorse che il mondo avesse mai conosciuto non riuscivano a puntare i loro missili balistici con accettabile precisione perché, sostanzialmente, i sommergibili non sapevano neppure esattamente dove si trovavano.
In apertura: una fotografia satellitare del confine tra Namibia e Sud Africa. Nel bel mezzo di un deserto, lungo il fiume Orange, ci sono due blocchi di pixel verdi luccicanti. Foto di ALI/EO-1/NASA. Qui sopra: James Bridle, Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?)
In apertura: una fotografia satellitare del confine tra Namibia e Sud Africa. Nel bel mezzo di un deserto, lungo il fiume Orange, ci sono due blocchi di pixel verdi luccicanti. Foto di ALI/EO-1/NASA. Qui sopra: James Bridle, Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?)
L'intersezione, oggi costante, tra il mondo fisico e la sua rappresentazione digitale è stata il punto di partenza di tre delle più vivaci fantasie in mostra al New Museum. Cope, già specialista di geolocazione presso Flickr, si è dilungato sugli echi della realtà e sulla loro rappresentazione schematica: riflessi che si sovrappongono e insiemi di dati stratificati che, intenzionalmente o meno, diventano sempre più ricchi di significato. La complessità delle possibilità ermeneutiche ha condotto a una comparazione tra le misteriose oscillazioni delle statistiche sul funzionamento degli ascensori e i richiami sottomarini delle balene. In casi del genere la mappatura dei rispettivi schemi spesso non va a buon fine. Quando ciò si verifica nella sfera delle macchine gli anelli di retroazione e i relativi inconvenienti che si creano paiono aprire nuovi mondi alla percezione umana.
In Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?), James Bridle ha sbloccato l'elenco dei dati GPL del suo iPhone, che registravano i suoi spostamenti in una specie di diario geografico dell'anno precedente
In Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?), James Bridle ha sbloccato l'elenco dei dati GPL del suo iPhone, che registravano i suoi spostamenti in una specie di diario geografico dell'anno precedente
Bridle è rimasto colpito da un elenco dei più prolifici redattori di Wikipedia – oggi la singola risorsa di consultazione più esauriente del genere umano – in cui di fatto la maggioranza è costituita da robot. Specialmente nelle interfacce condivise più frequentate l'attività di confronto degli schemi in termini di bit di informazione da parte delle macchine si intreccia intimamente con le nostre forme cognitive. Lo scostamento tra le due può essere altrettanto profondamente sconvolgente: nel progetto di Bridle Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?), l'autore ha sbloccato l'elenco dei dati GPL del suo iPhone, che registravano i suoi spostamenti in una specie di diario geografico dell'anno precedente. Tuttavia, come ha spiegato nel dibattito, più tardi si è accorto che nell'elenco erano registrati luoghi dove non poteva essere stato – diciamo a mezz'aria sopra il Tamigi – che erano invece prodotto degli strumenti euristici del telefono destinati a stabilire la propria posizione geografica: "Stabilisce la sua posizione in rapporto a tutta una rete che noi non riusciamo a percepire concretamente. È un atlante fatto da robot che non considera solo lo spazio fisico ma anche le radiofrequenze e le fluttuazioni del sistema GPS. È un modo completamente differente di vedere lo spazio".

Joanne McNeil ha affrontato i misteri della visione robotica dalla direzione opposta: ha osservato come i volti resi anonimi da Google Maps siano animati dalla loro stessa ambiguità: il loro straniamento è sottolineato dal fatto di comparire in spazi immobili, crudamente esposti. Un genere analogo di sovrapposizione narrativa è nato dal recente aggiornamento delle mappe di Apple, la cui topologia inflessa ha dato origine a strutture e collocazioni che sembrano fondersi in miscugli informi o zigzagare follemente su un piano. Benché questi errori si possano esclusivamente considerare dei rischi per la navigazione, McNeil ha sostenuto che possono anche essere visti come punti di contatto attraverso i quali la narrazione del "modo di visione" umano si confronta con quello della macchina.
Il punto di intersezione – tra rappresentazione e realtà – dopo tutto è il luogo in cui ha sempre trovato significato l'arte. Dobbiamo cercare in questi sistemi la chiave che li apre dall'interno: prima che diventino comprensibili, dobbiamo "trovare le metafore giuste".
Progetto di  James Bridle, Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?)
Progetto di James Bridle, Where The Fuck Was I (Dove accidenti ero?)
C'è nel discorso della New Aesthetic una tale preminenza della "bellezza degli inconvenienti" che è facile iniziare a pensare che l'espressione si riferisca puramente e semplicemente a essa. Ma mi è parso che il ventaglio degli esempi non si possa facilmente circoscrivere. Progetti analoghi, come 9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman, collezione di immagini grandangolari riprese da Google Street View, tende a fare riferimento a quelli che Henri Cartier-Bresson chiamava "momenti decisivi". Nel caso specifico essi nascono dalla distorsione spaziale o cromatica che affligge la macchina fotografica di Google a certe inclinazioni critiche, ma sono soprattutto momenti congelati in un istante di profondo significato: una pura e semplice posa sulla riva, una mandria di cavalli selvaggi scorta dietro antiche pietre tombali. La loro bellezza nasce pressoché interamente dagli elementi strettamente umani del loro contenuto.
Dalla serie 9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman, un'immagine di Google Maps in cui alcuni volti anonimi sono evidenti
Dalla serie 9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman, un'immagine di Google Maps in cui alcuni volti anonimi sono evidenti
Il punto che è parso rimanere non detto, o che forse è stato implicitamente rifiutato, è stato il consueto rimprovero al complesso della tecnologia della rappresentazione, espresso in prima istanza da filosofi come Jean Baudrillard e Umberto Eco, per i quali la rappresentazione e la distanza sono forme di impoverimento del "reale". Una nuova versione di questa critica derogatoria è stata espressa dall'antropologo David Graeber in un recente saggio pubblicato sul Baffler: "Le tecnologie che si sono evolute dagli anni Settanta sono soprattutto tecnologie mediche e tecnologie dell'informazione: in senso lato tecnologie di simulazione [...] Gli unici progressi sostanziali sono stati quelli che hanno facilitato la creazione, il trasferimento e la riorganizzazione di proiezioni virtuali di oggetti già esistenti, oppure, come abbiamo capito, che non esisteranno mai [...] Il momento postmoderno è stato solo un modo disperato di affrontare ciò che altrimenti sarebbe stato vissuto solo come un'amara delusione, e di travestirlo da qualcosa di epocale, interessante e nuovo."
9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman
9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman
Il suggerimento più profondo che sta dietro le varie argomentazioni della "New Aesthetic" è che il nuovo non si trova solo nel progresso lineare nell'ambito del "reale" (che forse si potrebbe semplicemente definire meglio come il "materiale" ). Si trova invece nei bizzarri sottotesti della risonanza tra il modo in cui una rappresentazione viene generata automaticamente e il modo in cui abbiamo imparato a considerarla nell'ordinaria amministrazione della nostra esistenza materiale.
la serie 9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman è una collezione di immagini grandangolari riprese da Google Street View, che tende a fare riferimento a quelli che Henri Cartier-Bresson chiamava "momenti decisivi"
la serie 9 Eyes (9 Occhi) di Jon Rafman è una collezione di immagini grandangolari riprese da Google Street View, che tende a fare riferimento a quelli che Henri Cartier-Bresson chiamava "momenti decisivi"
Il punto di intersezione – tra rappresentazione e realtà – dopo tutto è il luogo in cui ha sempre trovato significato l'arte. Ha sottolineato Bridle che, per comprendere a pieno quello che è oggi un vero e proprio 'palazzo degli specchi', dobbiamo cercare in questi sistemi la chiave che li apre dall'interno: prima che diventino comprensibili, dobbiamo "trovare le metafore giuste". Anche se Theodor Adorno sarebbe rimasto perplesso di fronte a una simile prospettiva, credo che uno dei suoi insegnamenti rimanga valido: far danzare le forme pietrificate cantando il loro stesso canto. Zachary Sachs (@CerealRecords)
Ristampa del <em>Wohlgemeynte Gedanken über den Dannemarks-Gesundbrunnen</em> di Greg Allen, un trattato del XVIII secolo di "hydrologie",  trasformate in paesaggi tipografici che scorrono e si increspano in maniera impressionante
Ristampa del Wohlgemeynte Gedanken über den Dannemarks-Gesundbrunnen di Greg Allen, un trattato del XVIII secolo di "hydrologie", trasformate in paesaggi tipografici che scorrono e si increspano in maniera impressionante

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